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Di' a ciascun cristian che stia giocondo

di tanta grazia e della nova manna,

e ogni spirto mondo

tolga l'olivo e canti: "Osanna, osanna!".

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1-8. “Benedetto il Signore Dio d’Israele, perché ha fatto visita e ha redento il popolo a lui sottomesso; ora così come in cielo gli angeli si impegnano a cantare in versi “O santo Emanuele!”, così noi canteremo quella pregher: “è giuto il tempo del buon Saturno e della prima età”.

1. Incipit del cosiddetto cantico di Zaccaria (Lc. 1, 68-79), canto di ringraziamento a Dio intonato dal sacerdote a seguito della visita dell’Arcangelo Gabriele che gli profetizza la nascita di un figlio, Giovanni, destinato ad essere precursore di Cristo. Il brano evangelico entra a far parte del repertorio liturgico medievale e, dunque, ha ampia fortuna anche indipendentemente dal contesto evangelico: la citazione in latino rimanda appunto al suo uso liturgico.

2-3. I vv. sono una traduzione del secondo versetto del cantico di Zaccaria: «qui visitavit, et fecit redemptionem plebis suae». Nella traduzione serdiniana i due complementi si concordano col verbo “fatto redenzione” e solo ad sensum con quello “ha visitato”; inoltre la traduzione amplifica il latino “plebis” nell’endiadi “del popol della plebe sua”, dove il termine “plebe” ha valore di “insieme della popolazione soggetta ad azione politica o ad ammaestramento morale” (TLIO) e, dunque, specifica il termine generico “popol” in riferimento alla sola comunità dei Cristiani soggetti all’autorità del Papa.

4. Angeletti: angeli, diminutivo. Indua: latinismo, da ”induo” (“sforzarsi, impegnarsi”). Il latinismo prosegue anche nel primo verso originale del componimento lo stile sostenuto assicurato all’incipit dalla citazione e dalla traduzione liturgica.

5. I versi: la poesia. “O santo Emanuèl”: non risulta essere effettivamente una citazione, ma piuttosto una composizione originale di Saviozzo a la maniera di un inno rivolto a un santo.

6. Canteren: “canteremo”. Cfr. Rohlfs, par. 587. Noi: ossia il popolo cristiano, individuato nell’endiadi “del popol della plebe sua” (v. 2). Orazione: “preghiera”. Alla preghiera degli angeli in cielo corrisponde quella dei cristiani sulla Terra, a offrire l’idea che l’intero creato festeggi il medesimo evento, ossia l’elezione di Innocenzo VII al soglio pontificio.

7-8. Citazione non riscontrata. Il riferimento è alla cosiddetta età dell’oro (“prima etade”), allorquando sotto il regno di Saturno il mondo fu casto e perfetto. La cristianizzazione dell’idea classica di età dell’oro è comune nel Medioevo e si sviluppa associando la mitologia classica relativa al regno di Saturno con quella cristiana dell’Eden (cfr. Dante, Pg., 28, 139-144). Su questa base, la celebrazione del ritorno di un’età di assoluta perfezione morale e politica come quella del regno di Saturno può associarsi al cantico di ringraziamento e lode a Dio nel segno del quale si apre il componimento.

9-14. “O bontà di Dio, che ci ha donato il glorioso Veltro! Costui non si ciberà né di terra né di denari, ma di sapienza, amore e virtù, nato tra feltro e feltro, quale sicura salvezza sarà per i Cristiani!”.

9. Divina bontade: sintagma dantesco (cfr., ad es., If., 11, 96), che traduce l’espressione latina “divina bonitas”, indicante la bontà in quanto uno degli attributi principali di Dio in quanto elargitore di benefici agli uomini (cfr. ST, I, q. 47, a. 3).

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10. Prestato: “concesso” (GDLI). Glorïoso: l’aggettivo è attributo tipico della divinità cristiana e delle sue dirette emanazioni (TLIO) e, dunque, qualifica il Veltro come diretto inviato di Dio. Veltro: “cane da caccia”, con riferimento alla profezia pronunciata da Virgilio a If., 1, 100-111. L’avvento di un’entità salvifica identificata con un veltro viene profetizzata come futura in Dante, mentre Serdini ne parla come di cosa appena avvenuta, facendo coincidere le identità di questa con quella del Papa la cui elezione viene celebrata in questo componimento (Innocenzo VII). L’interpretazione serdiniana non individua dunque nel veltro un Papa, in controtendenza con l’esegesi antica alla Commedia, incline piuttosto a scorgervi un Imperatore (cfr. Bellomo, ad If., 1, 101). Tuttavia, la rielaborazione del Saviozzo sembra debitrice della tradizione di commento al poema dantesco nel far coincidere l’intervento provvidenziale del Veltro con la restaurazione dell’età dell’oro (cfr. vv. 7-8) in linea con un argomento diffuso sin dai commenti di Iacomo della Lana e dell’Ottimo.

11-12. Citazione quasi letterale di If., 1, 103-104 («Questi non ciberà terra né peltro, / ma sapïenza, amore e virtute»). Cibarà: “nutrirsi”. La forma del futuro in -arò è di regola a Siena. Cfr. Rohlfs, par. 587. Indica metaforicamente l’atto di desiderare e, dunque, introduce la definizione dell’oggetto delle ambizioni del veltro.

Peltro: indica, come in Dante, una lega di metalli impiegata anche per il conio di monete e, dunque, per

sineddoche l’avarizia di ricchezze terrene. Con “terra” indica i due ambiti di esercizio dell’avarizia che il veltro non coltiverà: da un lato i possedimenti terreni e dall’altro le ricchezze. Sapïenza, amore e virtute: tricolon. Alla brama di beni terreni (“terra” e “peltro”) si contrappone, come in Dante, questo terzetto di virtuose aspirazioni che indica le gli attributi delle tre persone della Trinità (“sapïenza”, sapientia, “amore”, caritas e “virtude”, potestas, come in Dante (cfr. Bellomo, ad If., 1, 104), in perfetto accordo con l’identificazione del veltro in un Papa qui proposta da Serdini.

13. Altro calco dantesco, If., 1, 105 («e sua nazion sarà tra feltro e feltro»). Il v. condivide con quello della

Commedia la sua ambiguità (cfr. Bellomo, ad If., 1, 105), anche se, alla luce dell’identificazione del veltro con

Innocenzo VII, l’espressione non può indicare gli umili natali del personaggio data l’estrazione cardinalizia della famiglia del futuro Papa.

14. Ferma: “sicura, certa”. Salute: “salvezza”, Cfr. Dante, If., 1, 106 («di quella umile Italia fia salute»). Tuttavia, Serdini, a differenza di quanto fatto nei vv. precedenti, non ripropone qui passivamente il verso dantesco, ma ne tramuta il tono in un’esclamazione e il senso facendo coincidere l’intervento del veltro non, come in Dante, con la salvezza dell’Italia, ma dei Cristiani. Quest’ultima rielaborazione serve ad adattare il senso della profezia dantesca al suo scioglimento in senso papale qui proposto da Serdini.

15-20. “Venite e celebriamo il nostro Dio, venite a contemplare il grande monarca, eletto da Dio a nostro padre e salvatore; ora sia Babilonia dispersa e svuotata di falsi dei e sia soggiogato il velenoso mostro, e la superbia e la simonia!”

15. Come il v. 1, anche questo ripropone direttamente in latino un incipit liturgico. Si tratta del Salmo 95 («Venite, exultemus Domino»), qui riproposto con una variante («Dëo nostro» al posto di «Domino») non attestata nella tradizione liturgica. Come nel caso del cantico di Zaccaria, anche qui Serdini ripropone un cantico di lode e ringraziamento al Signore in riconoscimento della sua azione benefica nei confronti degli uomini.

16. Venite: riproduce in volgare l’attacco dell’inno latino citato al v. precedente. Serdini continua in volgare il Salmo, adattandone il senso al contesto storico di riferimento della canzone. Alto: aggettivo tipicamente associato alla divinità cristiana e alle sue emanazioni (TLIO) e in questo senso riferito al nuovo Papa. Monarca: “re”, può in italiano antico indicare anche Dio in quanto Re dell’Universo (TLIO) e il Papa in quanto capo dell’autorità parallela all’Impero. Il termine indica qui il Papa appena eletto.

17. Eletto: “scelto”. Il termine ha valore tecnico e indica un individuo scelto da Dio per svolgere una missione profetica sulla Terra (cfr. il sintagma “vas electionis”). La definizione dell’elezione di Innocenzo VII come direttamente ispirata da Dio fa sistema con la serie di inni liturgici citati ai vv. 1 e 15. Padre e messia: dittologia di attributi del nuovo Papa che indica il senso della missione affidatagli da Dio nel ruolo di guida e tutela della cristianità. Messia: indica tecnicamente un salvatore e, dunque, s’accorda con la definizione della missione del nuovo papa offerta ai vv. 11-12.

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18. Ora: in conseguenza dell’elezione di Innocenzo VII. Babillonia: allusione alla curia papale di Avignone, in linea con un toponimo metaforico reso canonica da Petrarca, Rvf 136-138. Spersa e scarca: allitterazione. Spersa: “dispersa”, ossia distrutta. Scarca: “scaricata”, in riferimento ai vizi indicati al v. successivo (“scarca de’ falsi numi: enjambement).

19. De’ falsi numi: sono le false divinità che vengono scacciate dalla curia avignonese a seguito dell’elezione di Innocenzo VII. L’accusa di idolatria rivolta agli ecclesiastici compromessi con i beni terreni (cfr. il v. successivo) è dantesca, If., 19, 112-14(«Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento; / e che altro è da voi a l’idolatre, / se non ch’elli uno, e voi n’orate cento?») e viene applicata alla polemica anti-avignonese da Petrarca, da cui è ripresa anche l’idea che l’avvento profetico di una restaurazione divina porterà alla distruzione degli idoli babilonesi (cfr. Rvf, 137, 9-11). Come nel caso della profezia del Veltro, anche qui Serdini presenta come attuata dall’elezione di Innocenzo VII quella che in Petrarca è un auspicio profetico.

Venenoso: “velenoso”. L’espressione “venenoso mostro” allude all’anipapa Benedetto XIII, regnante dalla

corte di Avignone.

20. Conculcata: “schiacciata, annientata” (TLIO), dunque “vinta”. Allusione alla sconfitta dell’antipapa Benedetto XIII a opera di Innocenzo VII. La stessa elezione di quest’ultimo era legata alla stringente necessità di porre fine allo scisma avignonese (cfr. DBI, s.v. Innocenzo VII). Superbia e simonia: coppia di vizi tipici della polemica antiavignonese (cfr. Rvf 138, vv. 9-14).

21-24. “Che sia celebrata e benedetta, signore Dio, la tua giusta clemenza: o divina potenza, impietosita per la sua santa fede!”

21. Magnificato e benedetto: aggettivi concordati ad sensum con “clemenza” (v. successivo). La coppia traduce in volgare due tecnicismi dell’innografia liturgica cristiana (“magnificetur” e “benedicetur”) e, dunque, proseguono con una riscrittura originale della medesima materia nei vv. precedenti sviluppata citando direttamente testi liturgici.

22. Iusta: “giusta”. Cfr. Rohlfs, par. 156. Clemenza: “disposizione al perdono”, attributo specifico di Dio (TLIO). Serdini qualifica l’elezione di un papa destinato a risolvere lo scisma avignonese come un atto di clemenza divina, che sana le storture degli uomini nonostante le loro colpe.

23. Divina potenza: “Dio”, indicato in una delle sue proprietà principali, la potestas. Ripresa variata del vocativo del v. precedente.

24. Pietà: caratteristica di Dio, la pietas, è la ragione per cui egli ha deciso di salvare l’umanità dalla degenerazione avignonese per mezzo dell’elezione di Innocenzo VII. Santa fede: la fede cristiana, minacciata dal dilagare del vizio presso la corte di Avignone (cfr. vv. 19-20). In contrasto con Petrarca, che profetizza la distruzione di Avignone come conseguenza dell’ira giusta di Cristo per la sua degenere condotta morale (cfr.

Rvf 136, 14; 137, 2; 138, 7-8), Serdini qualifica l’intervento divino come un atto di pietà e misericordia nei

confronti della fede cristiana e, dunque, come un sostegno prestato alla curia romana e non come una vendetta contro quella avignonese.

24-25. Fede… fede: rima identica.

25-28. “Il tuo popolo era già fuorviato, ti invocava con lacrime e grida: ora la tua pietà ci ha dato il bene che desideravamo così tanto”.

25. Fuor della fede: lett. “fuori dalla retta via”. I cristiani sono smarriti dalla degenerazione morale conseguente alla cattività avignonese.

26. Chiamava: termine tecnico dell’innografia cristiana, sull’onda delle numerose occorrenze del verbo “clamare” nei Salmi, indica l’atto di rivolgere una preghiera di soccorso a Dio quando ci si trova in una situazione disperata. Stridi: “grida”, forma assieme a “lagrime” una dittologia utile a qualificare la situazione in cui si è venuto a trovare il popolo cristiano in seguito alla cattività avignonese. La misericordia divina (cfr. vv. 21-24) è qui qualificata come risposta di Dio a una diretta invocazione d’aiuto.

27. Mercede: “pietà, grazia”, indica la positiva accoglienza da parte di Dio delle preghiere dei cristiani (cfr. v. 24).

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28. Ben: “il bene”, con riferimento alla liberazione dalla cattività avignonese. S’espettava: l’uso impersonale del verbo rimarca come tale liberazione fosse desiderata da tutti e ha dunque valore enfatico.

29-34. “Gloria al Padre Dio nel più alto dei cieli, in terra pace, carità e amore, Dio sia sempre lodato e ringraziato: gioite, mandrie, ecco il pastore! Non vi sembrerà né Titiro né Melibeo: dotato di una capacità diversa e maggiore”.

29. Citazione, con variazioni, dell’incipit del Gloria in excelsis Deo. Serdini prosegue nella citazione di inni liturgici, in questo caso riferendosi al canto derivato dal gioioso annuncio della nascita di Cristo ai pastori da parte degli angeli (cfr. Lc. 2, 14). Anche in questo caso l’elezione di Innocenzo VII è salutata riproducendo inni liturgici legati alla celebrazione dell’arrivo di entità messianiche e salvifiche.

30. In terra pace: traduzione dell’avvio del secondo versetto dell’inno citato in latino al v. precedente («In terra pax hominibus bonae voluntatis»). Caritade e amore: dittologia sinonimica che completa in maniera originale la traduzione di questo versetto amplificando il senso della parola “pace” in riferimento all’amor-

caritas.

31. Laudato: prosegue la traduzione dell’inno, il cui terzo versetto recita «laudamus te, benedicimus te». Come al v. precedente si tratta di una rielaborazione originale, in cui Serdini amplifica per iterazione sinonimica il senso generale del versetto, in questo caso aggiungendo il verbo “ringraziare”.

32. Mandrie: metaf. “il popolo cristiano”, identificato come mandria di pecore in accordo con la definizione dell’entità salvifica annunciata dall’inno come “pastore”. Ecco il pastore: “Innocenzo VII”, così identificato in quanto Papa e con riferimento alla parabola evangelica del «pastor bonus» (Io, 10, 11), laddove indica Cristo. Prosegue l’identificazione del neo eletto Papa con Cristo avviata con la citazione-traduzione del Gloria in

excelsis. Ecco: formula tipica di annuncio dell’avvento un’entità divina nella Bibbia (cfr., ad es., Io, 12, 15:

«ecce rex tuus venit» e Io, 19, 5: «ecce homo»).

33. Titiro: pastore della tradizione bucolica, protagonista della prima egloga delle Bucoliche di Virgilio.

Parràvi: “parrà a voi”, 2° pers. plur. futuro semplice. Legge Tobler-Mussafia. Melibeo: pastore della tradizione

bucolica, protagonista della prima egloga delle Bucoliche di Virgilio. Il riferimento ai due pastori della prima egloga virgiliana serve a creare un contrasto tra il pastore cristiano (Innocenzo VII, associato a Cristo in quanto pastor bonus) e quelli pagani (Titiro e Melibeo) onde rimarcare la superiorità del pastore evangelico rispetto a quello bucolico (cfr. v. successivo).

34. Altra: ossia diversa, di altra natura rispetto a quella dei pastori pagani. Industria: capacità, nel senso di “qualità o disposizione di chi si prodiga assiduamente con scrupolo e diligenza” (TLIO). Il: il pastore del v. 32. Più dotato: sempre rispetto ai pastori pagani. Da legare a d’altra: tmesi.

35-42. “Sulmona ha generato lui e Ovidio, fertile, bella, preziosa e degna, piccola ancorché reda grande e immortale grazie a tali due uomini. Felice ventre grazie al quale ci è stato dato nella nostra vita l’aiuto di tanto e tale lume, che sotto la sua protezione oggi la cristianità sarà esaudita!”.

35. Ovidio: nato a Sulmona, il riferimento serve ad associare il Papa al più illustre individuo cui Sulmona ha dato i natali. Lui: Innocenzo VII, nato appunto a Sulmona nel 1336.

36. Atta: “degna” (TLIO), nel senso di “degna in quanto arricchita delle bellezze descritte nella parte precedente del v. di aver dato i natali a personaggi illustri come Ovidio e Innocenzo VII.

37. Benché: la celebrazione della città passa qui attraverso la contrapposizione tra le sue piccole dimensioni e la grande fama che gli assicurano i personaggi menzionati al v. 35.

38. Fatta grande: enjambement. Viri: “uomini”, latinismo. E immortale: da legare a “grande”, tmesi. 39. Felice ventre: traduzione dell’evangelico «beatus venter qui te portavit» (Lc, 11, 27), grazie alla quale continua l’associazione di Innocenzo VII a Cristo: le parole evangeliche si riferisco a ventre di Maria dal quale nacque Cristo. La traduzione sostituisce il “beatus” con il termine “felice”, analogo nel significato (TLIO), in accordo con l’impiego liturgico del versetto lucaneo (cfr. Bonaventura, Stimulus, p. 148). Unde: “dal quale”.

40. Lume nel mondo: altra immagine cristologica (Mt, 4, 16).

41. Ale: “ali”. L’utilizzo della -e finale per il plurale è tipico di alcune varietà dell’Italia centrale. Cfr. Rohlfs, par.

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42. Fia: “sarà”. Cfr. Rohlfs, par. 592. Essaüdita: “esaudita”. L’elezione di Innocenzo VII è di nuovo presentata come l’esaudimento di una preghiera del popolo cristiano per la sua stessa salvezza.

43-52. “Salve Rabbi, salve grande sacerdote padre e signore a cui sono affidate le somme chiavi e il governo della Chiesa di oggi! A te ricorre ogni fedele cristiano, unico rifugio in cui trova compassione la nostra anima: ora purificala e correggila! La tua bontà protegge e sorregge l’ardente desiderio che sempre ci nutre che l’antica lupa sia maciullata dai tuoi giusti denti”.

43. Il v. è frutto della contaminazione di due luoghi: da un lato le parole pronunciate da Giuda nell’orto dei Getzemani, Mt, 26, 49 («Ave rabbi»), evidentemente qui assunte avulse dal contesto come semplice allocuzione di saluto a Cristo, sono associate ad altri documenti liturgici (Delcorno, Note, p. 318). Prosegue in questo modo la connotazione cristologica di Innocenzo VII.

44. Padre e signore: dittologia sinonimica, impiegata anche per riferirsi a Dio stesso ma qui allusiva al ruolo di guida e protezione riconosciuto al Papa nei confronti della cristianità. Poste in mano: “affidate”.

45. Somme chiave: le chiavi del Regno dei Cieli, che Cristo affidò a san Pietro (Mt 16, 13-20) e che dalla fine del XIV s. divengono simbolo del Papa. In quanto tali già definite «somme chiavi» da Dante, If. 19, 101 («la reverenza de le somme chiavi»). Moderna legge: la responsabilità di governare la Chiesa (“legge”, per sineddoche, indica il governo, l’amministrazione) nel tempo contemporaneo alla stesura della canzone (e, quindi, “moderno” in quanto contrapposto al tempo antico della Chiesa primitiva). In quest’accezione, il sostantivo “legge” ricorre anche in Dante (cfr. ED, s.v. Legge).

46. Recorre: “ricorre”, ha qui il valore di “ricorrere in cerca di aiuto, soccorso” ed è verbo tecnico per indicare la richiesta di aiuto a una divinità (cfr. Pd., 33, 14). Fidel: “fedele”.

47. Refugio: “rifugio”. Ricompiagne: “compiange”, con ri- iterativo, qui nel senso di “provare compassione” (TLIO) e, dunque, essendo al riflessivo “trovare compassione”. Viene qui riferita a Innocenzo VII una caratteristica, quella di accogliere compassionevolmente richieste dei cristiani, indicata come propria del Dio cristiano al v. 24.

48. Corregge: 2a pers. sing. imper. Cfr. Rohlfs, par. 605. Assieme a “mondala” forma una dittologia

sinonimica che indica la funzione del Papa come redentore dei peccati dei cristiani.

49. Benignità: “bontà”, già indicata come attributo di Dio al v. 9, proseguendo la connotazione in senso divino di Innocenzo VII (cfr. v. 47). L’intero avvio del v. riproduce una formula innologica dantesca (cfr. Par. 33, 16: «La tua benignità»). Protegge e regge: omoteleuto, la dittologia riecheggia quella del v. 48.

50. Espettato: “atteso”, nel senso di “desiderato” l’aggettivo indica che l’elezione di Innocenzo VII soddisfa un desiderio da lungo tempo maturato dal popolo cristiano. Disio: ant. Nutrica: “nutre”, da collegare a “pur” (v. 51): enjambement.

51. Lupa: animale associato al vizio sin da Dante (cfr. If., 1, 49-54); come in Dante, la lupa in quanto emblema del vizio viene sconfitta dal Veltro (cfr. If., 1, 100-105). Serdini si riallaccia qui al riferimento dantesco avviato ai vv. 10-13. Antica: nel senso di “presente nel mondo sin dal suo inizio”, l’aggettivo è citazione dantesca, Pg., 20, 10 («antica lupa»); è proprio la secolare presenza di questa lupa-vizio nel mondo a rendere la preghiera di esserne liberati particolarmente cara e desiderata agli uomini (cfr. v. 50).

52. Giusti: perché diretti contro la lupa-peccato. Conculcata: lett. “schiacciare” (TLIO), ma “maciullare” siccome l’offensiva viene scagliata con i denti.

53-62. “In questo modo verrà amplificata la Fede, ed eliminata ogni eresia e ogni scisma; si vedrà l’anima beata cantare come non mai: Salve, redenzione! Te, Dio, lodiamo, a te i cieli e le stelle, ringrazieremo la stagione, il giorno e l’ora in cui Dio ci ha fatto visita con tanta pace! Una viva speranza ormai ci fa innamorare ancora di più di te, che hai le virtù per sorelle e al quale piace ciascuna persona virtuosa”.

53. Amplificata: “diventare più grande” (TLIO). Tale azione benefica sulla Fede consegue direttamente (“così”) alla sconfitta della lupa-vizio da parte di Innocenzo VII (cfr. vv. 51-52).

54. Scisma: assieme all’eresia, la divisione della Chiesa a essa consegue sono i due effetti dell’azione della lupa-vizio nel mondo, che l’elezione di Innocenzo VII sanerà (cfr. vv. 51-52). Nello specifico Serdini allude

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alla cattività avignonese e alla presente dell’antipapa Benedetto XIII, che nel 1404 si sperava di sanare con l’elezione di Innocenzo.

55. Vedrai: tu con funzione impersonale. Beata: “felice, lieta”, non ha qui il valore tecnico di “beata in quanto assunta in Paradiso”, ma indica genericamente la lietezza dell’anima di ciascun cristiano di fronte alla vittoria contro l’eresia (cfr. v. 54).

56. Giamai: “mai”, l’avverbio aggiunge enfasi alla celebrazione della sconfitta del vizio da parte del popolo cristiano. Ave baptisma: inno latino originale, ma composto sulla falsariga dell’”ave” già citato al v. 43; Serdini usa la variante greca del termine “battesimo”, di estrazione biblica, per significare la purificazione della cristianità dal peccato descritta ai vv. 51-52 e 54.

57. Il v. è il frutto della contaminazione dell’incipit del Te Deum, testo liturgico di lode e ringraziamento a Dio, amplificato in maniera originale sostituendo al liturgico «tibi omnes angeli, tivi caeli et universae potestates» il serdiniano «tibi coeli et stellae».