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l'ho creduto dire già è parecchie sere, ma sommene tenuto ») Conculcarlo: “annientarlo, sopprimerlo”

(TLIO). Cfr. Guittone (Lettere, 13, 18: «mostri el valor vostro se nulla vale conbattendo con visio e conculcando esso, che voi à conculcato e avilito»); Jacopone (Laude, 14, 8-9: «aguardanno a soi maiure, una Envidia c'è nata; / non la pote iettar fore, teme d'esser conculcata»). E: “e invece”. Fe'gli: aferesi.

12-14. “Qui, grazie a un autore degno, puoi leggere del suo esilio e della perfidia degli altri e di come lui

visse in maniera gloriosa”.

12. Del suo esilio: dell'esilio di Dante Alighieri si parla lungamente nel Trattatello. Cfr. Boccaccio (Vita

Dante, par. 4: «per pervenire al mio principale intento una sola mi fia assai avere raccontata […] ricordando

l'esilio del chiarissimo uomo Dante Alighieri»; Vita Dante, par. 67: «Dopo questa cacciata non molti dì […] poi che i vittoriosi ebbero la città riformata secondo il loro giudicio, furono tutti i prencipi de' loro avversarii, e con loro, non come de' minori ma quasi principale, Dante, sì come capitali nemici della republica dannati a perpetuo esilio, e li loro stabili beni o in publico furon ridotti, o alienati a' vincitori»; e delle peregrinazioni di Dante esiliato da Firenze si narra in Vita Dante, parr. 72-79). Dell'altrui perfidia: si tratta della perfidia dei concittadini nei confronti di Dante, della quale si racconta diffusamente nel Trattatello. Cfr. Boccaccio (Vita

Dante, par. 6: «Se a tutte l'altre iniquità fiorentine fosse possibile il nascondersi agli occhi di Dio, che veggono

tutto, non dovrebbe questa una bastare a provocare sopra sé la sua ira?»; e una lunghissima invettiva antifiorentina è in Vita Dante, parr. 92-109).

13. Glorioso: “in maniera gloriosa”. In questo caso, infatti, come accade spesso nell'italiano antico,

l'aggettivo è usato in funzione di avverbio. Per l'aggettivo in funzione di avverbio, cfr. ROHLFS, par. 886. Gli

antichi biografi si soffermano spesso sulle qualità e sulle virtù di Dante, non solo in quanto poeta, ma anche in quanto uomo. Cfr. Boccaccio (Vita Dante, par. 4: « […] il chiarissimo uomo Dante Alighieri […] antico cittadino né d'oscuri parenti nato, quanto per vertù e per scienzia e per buone operazioni meritasse, assai il mostrano e mostreranno le cose che da lui fatte appaiono»; par. 8: «conoscendo io me essere di quella medesima città, avvegna che picciola parte, della quale, considerati li meriti, la nobiltà e la vertù, Dante Alighieri fu grandissima, e per questo, sì come ciascuno altro cittadino, a' suoi onori sia in solido obligato come che io a tanta cosa non sia sofficiente, nondimeno secondo la mia picciola facultà, quello che essa dovea verso di lui magnificamente fare, non avendolo fatto, m'ingegnerò di far io; non con istatua o con egregia sepoltura, delle quali è oggi appo noi spenta l'usanza, né basterebbono a ciò le mie forze, ma con lettere povere a tanta impresa»; par. 114: «Ne' costumi domestici e publici mirabilmente fu ordinato e composto, e in tutti più che alcuno altro cortese e civile»; par. 116: «Niuno altro fu più vigilante di lui e negli studii e in qualunque altra sollecitudine il pugnesse»: parr. 123-124: «Fu ancora questo poeta di maravigliosa capacità e di memoria fermissima e di perspicace intelletto, […] D'altissimo ingegno e di sottile invenzione fu similmente»; par. 175: «Compose questo glorioso poeta più opere ne' suoi giorni»; par. 177: «Certo, io mi vergogno dovere con alcuno

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difetto maculare la fama di cotanto uomo; ma il cominciato ordine delle cose in alcuna parte il richiede; perciò che, se nelle cose meno che laudevoli in lui mi tacerò, io torrò molta fede alle laudevoli già mostrate. A lui medesimo adunque mi scuso, il quale per avventura me scrivente con isdegnoso occhio d'alta parte del cielo ragguarda.»; par. 202: «In così fatte cose, quali di sopra sono dimostrate, consumò il chiarissimo uomo quella parte del suo tempo, la quale egli agli amorosi sospiri, alle pietose lacrime, alle sollecitudini private e publice e a' varii fluttuamenti della iniqua Fortuna poté imbolare»).

14. Qui: “nel Trattatello”. Merito: ant. e letter. “meritevole, degno di aspirare a riconoscimenti per le proprie doti o opere”. Usato come appellativo onorifico e di rispetto (GDLI). Merito

aüttore:

si riferisce all'autore del Trattatello in laude di Dante, Boccaccio, il quale viene celebrato in questo sonetto.

15-17. “Perché (nessun) oratore ebbe mai al mondo una tecnica letteraria così tanto raffinata e piacevole, simile a (quella) che fu di Boccaccio nella prosa e di Dante nella poesia”.

15. Oratore: “chi esercita l'arte oratoria nell'ambito politico, giudiziario, culturale, e ha le doti naturali necessarie per farlo, o ne ha acquisita la pratica con l'esercizio” (GDLI).

15-16. Oratore non ebbe: enjambement.

16-17. Lima, rima: la rima è presente in Petrarca (Disperse e attribuite, 146, 4-5: «Come adamante in cui non puote lima; / over foss'io or sì dicente in rima») e Antonio da Ferrara (Rime, 30, 20-22: «non vo' dir che la rima / el potesse narrar per mio concetto; / ma come fabro a cui manca sua lima»). Ma questa rima, seppur in maniera invertita, si trova anche in Brunetto Latini (Tesoretto, 411-412: «Ma perciò che la rima / si stringe a una lima») e Dante (Rime, 113, 21-22: «è tal che non potrebbe adequar rima. / Ahi angosciosa e dispietata lima»).

16. Lima: metafora col significato di “tecnica letteraria”. Il topos del labor limae, di ascendenza oraziana, è ampiamente recuperato nella letteratura volgare. Sì dolce lima: “tecnica poetica tanto raffinata e piacevole”. Il sintagma è derivato da Petrarca (Rvf. 293, 7-8: «non posso, et non ò più sì dolce lima / rime aspre et fosche far soavi e chiare»).

17. 'L: “del”. Aferesi. Saviozzo inserisce questa forma aferetica non canonica per far rimanere il verso endecasillabo. Nel caso non avesse adoperato l'aferesi infatti, si sarebbe creato un dodecasillabo.

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