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mi recomanda a lui e <a> l'opre sante Poi gli appresenta e donagli sto Dante,

ch'a istanzia sua ho scritto e ho notato;

poi te gli getta inante,

e io son certo che t'avrà a grato.

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1-6. “La mia debole poesia si rivolge e celebra l'illustre e gloriosa fama e le azioni magnifiche dell'onorevole e benevola signora, parlo di quella Colonna che dura eternamente nel mondo per merito delle sue virtù, e il cui nome non si celebra mai abbastanza adeguatamente”.

1. Inclita: “nobile, gloriosa, illustre”. Inclita fama: cfr. Saviozzo, 30, 2 («inclita fama, o cuor gentile, altero»). Il sintagma appartiene al Boccaccio latino. Cfr. Boccaccio, Carmina, 9, 43 («inclita fama virens orbi iam cognita tota»); De mulieribus, 42, 2 («et ipsa inclita fama pulchritudinis […] per omnem Affricam delata est»); 100, 1 («ut ceteris gentilibus inclita fama preponenda sit»); De montibus, 3, 21 («et opitulans infirmitatibus variis ceteros excedit inclita fama»). Ma lo stesso sintagma si rintraccia anche nell’epitaffio scritto per la tomba di Dante dal ravennate Menghino Mezzani («Inclita fama cuius universum penetrat orbem»). Magnifiche: “grandi, nobili d'animo, generose, liberali”. Opre: “azioni”. Ant. Cfr. Rohlfs, par. 138.

Magnifiche opre: per il sintagma, anche in questi casi riferito all'operato di principi e uomini di governo, cfr.

Boccaccio, Trattatello, 99 («tu sola, quasi i Camilli, i Publicoli, i Torquati, i Fabrizii, i Catoni, i Fabii e gli Scipioni con le loro magnifiche opere ti facessero famosa e in te fossero […] l'hai da te cacciato»); Esposizioni, 2, 43-45 («e ciò fu di cantare d'Enea e delle sue magnifiche opere in onore di Ottaviano Cesare»); 2, 58-60 («sì

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come noi sentiamo e ragioniamo delle magnifiche opere di Scipione Africano» e «Fama è quello ragionare che lontano si fa delle magnifiche opere d'alcun valente uomo»); Filocolo, 2, 3 («ma ancora le loro magnifiche opere l'occidente non sentiva»); ma cfr. anche Malatesta Malatesti, Rime, 11a, 13 («e con l'usate tue magnifiche opre»).

2. Onorata: “degna, illustre, onorevole”. Grazïosa: “benevola, benigna”. Onorata e grazïosa: dittologia.

Donna: “signora”. Lat. Si tratta del casato dei Colonna. Personificazione.

3. Colonna: è una delle parole-chiave delle rime serdiniane, nelle quali è usato spesso come senhal di Gian Colonna e della sua casata. Cfr. Saviozzo, 9, 14-15 8«che per una colonna / tutte han passato a ritrovare il core»); 15, 33 («o colonna gentil, che già molti anni»). Il senhal è di reminescenze petrarchesche. Cfr. Petrarca, Rvf, 10, 1 («Glorïosa columna in cui s’appoggia»); 53, 72 («ad una gran marmorëa colomna»); 266, 12 («Un lauro verde, una gentil colomna»); 269, 1 («Rotta è l’alta colonna e ‘l verde lauro»).

4. Che: “la cui fama”. Per: “per merito di” (Pasquini). Al: “nel”. Stato in luogo (Pasquini). Vive: “dura”. 5. Debile: “insufficiente, scarsa”. Penna: “poesia, arte”. Metonimia. Induce: “si rivolge verso”. Cfr. Dante, Rime, 46, 28 («di lei in parte ov’altri li occhi induca»). Scopre: “celebra” (Pasquini). Induce e scopre: dittologia.

6. Nome suo: del casato dei Colonna. Si perscrive: “si celebra adeguatamente”. Lat. Hàpax.

7-12. “O indispensabili e divine Muse, aiutatemi nel mio discorso: io canterò della sua nobiltà, per quanto ne sarò capace; perché per parlare di lei ci vorrebbe un canto più degno, una lingua diversa”.

7. Prezïose: “indispensabili”, in quanto senza l’ispirazione delle Muse il poeta non riuscirebbe a celebrare in poesia la grandezza del casato dei Colonnesi. Dive: “divine”. Ant. Lett.

8. Parlare: “discorso”. Sost. Nel mio parlare or m’aiutate: il v. riecheggia Dante, Rime, 46, 1 («Così nel mio parlar voglio esser aspro»).

9. Cantarò: “canterò”. Il verbo caratterizza il poeta come il cantore epico della casata ed ha un richiamo, sempre in riferimento ai Colonna, in un altro sonetto (35, 4: «io cantarò dell’atto virtüoso»). La forma in -arò per il futuro è di regola a Siena. Cfr. Rohlfs, par. 587. Nobilitate: “nobiltà, elevatezza”. Ant. Il sostantivo si riferisce sia alla nobiltà di stirpe dei Colonna, che sono una delle famiglie di più alto e antico rango, che all’elevatezza morale di Gian Colonna e dei suoi parenti.

10. Quanto: “per quanto, secondo che”. Per: “grazie a, per merito di”. Voi: le Muse, cui il poeta si rivolge per chiedere di infondergli l’ispirazione necessaria a celebrare i Colonna. Saper: “essere capace”. Fia: “sarà”. Ant. Cfr. Rohlfs, par. 592.

11. Degna: “meritevole, proporzionata”. Ermonia: “canto”. Il sostantivo si lega al verbo “cantarò” del v. 9, a rafforzare l’immagine del poeta-cantore dell’epos dei Colonna. La forma non è attestata, tra Due e Trecento, in nessun autore. Compare per la prima volta in Saviozzo, il quale la adopera sistematicamente al posto di 'armonia'. Inoltre, 'ermonia' non risulta nella lista delle forme dell'italiano antico del termine 'armonia' offerta dal TLIO.

12. Dir: “parlare”. Lei: la casata Colonna.

13-16. “O dono favorevole grazie al quale prende nome il bene che fu fra noi per dare ammirazione, parlo della nobile Roma che generò una figlia così venerabile!”.

13. Benigna: “favorevole, benevola”. Virtù: “dono”. Estens. Ant. Lett. Benigna virtute: si riferisce a Roma, la quale fa dono al mondo dei Colonna. Si noma: “prende nome”.

14. Ben: i Colonna, la cui magnificenza non può stupire e ammirare il poeta. Per: “per dare” (Pasquini).

Meraviglia: “ammirazione”. Ant. Lett.

15. Alma Roma: sintagma tipico per definire la grandezza dell’antica Roma. Cfr. Boccaccio, Fiamm., 7, 1 («più copiosa di quelle che non fu mai l’alma Roma»); Dante, If., 2, 20 («ch’ e’ fu de l’alma Roma e di suo impero»).

16. Venerabil figlia: la casata dei Colonna, diretta discendente dei Romani. La discendenza dei Colonna dagli antichi Romani è uno dei topoi usati da Saviozzo per la celebrazione dei Colonna. Cfr. Saviozzo 15; 35.

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17-24. “Io non parlerò di Orazio o di Catone, di Camillo, di Fabio o di Marcello, non parlerò di Metello, che contrastò l’erario di Cesare; di Emilio e dell’uno e dell’altro Scipione, o di Fabrizio, [che può essere considerato] fra loro un uomo venerabile, che Pirro, possessore dell’oro, volle corrompere, ma la virtù non è cosa che si possa vendere o comprare”.

17. Io non dirò: “io non parlerò”. Preterizione. Orazio: Orazio Coclite, eroe del mito romano noto per aver difeso da solo contro gli Etruschi di Porsenna il ponte che conduceva a Roma. Catone: Marco Porcio Catone detto l’Uticense, per antonomasia possessore delle virtù romane e difensore delle libertà repubblicane. 18. Camillo: Marco Furio Camillo, anche noto come Pater Patriae o secondo fondatore di Roma per via dell’impegno profuso per il bene dello Stato. Fabio: Quinto Fabio Massimo, politico e dittatore romano conosciuto come il “Cunctator”, il “Temporeggiatore” per via della sua strategia del temporeggiamento, tesa a fiaccare le truppe cartaginesi senza combattimenti diretti. Marcello: Marco Claudio Marcello, militare e politico romano che guidò la rivincita di Roma dopo la sconfitta di Canne, da Livio definito “Spada di Roma”. 19. Metello: Quinto Cecilio Metello, politico romano di età repubblicana.

20. Contradisse: “contrastò”. Tesoro: “erario”. Contradisse a Cesare il tesoro: il v. si riferisce all’episodio narrato da Lucano nel III libro della Pharsalia, vv. 130-155, in cui si parla della spoliazione dell’erario di Roma da parte di Cesare. Ma cfr. anche Dante, Pg., 9, 136-138 («non rugghiò sì né si mostrò sì acra / Tarpëa, come tolto le fu il buono / Metello, per che poi rimase macra»).

21. Emilio: Lucio Emilio Paolo, politico e militare romano morto eroicamente nella battaglia di Canne del 216 a. C. dopo essersi rifiutato di fuggire abbandonando i combattimenti contro Annibale. L’uno e l’altro

Scipïone: Scipione l’Africano e Scipione l’Emiliano, rispettivamente il vincitore della battaglia di Zama,

durante la quale viene sconfitto Annibale, e il vincitore della terza guerra punica.

22. Fabrizio: Gaio Fabricio Luscino, console romano divenuto esempio positivo di austerità e disprezzo della ricchezza. Cfr. Dante, Pg., 20, 25-27 («Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio, / con povertà volesti anzi virtute / che gran ricchezza posseder con vizio.»»); Petrarca, Tr.Famae, 1, 55-57 («un Curio et un Fabrizio, assai più belli / con la lor povertà che Mida o Crasso / con l’oro» ); Boccaccio, Comedia, 36, 25-26 («e ‘l buon Fabrizio ancora, che la graia / moneta rinunciò e de’ Sanniti»; Am Vis, 9, 67-69 («Seguia Fabrizio che gli eccelsi onori / più disiò che posseder ricchezza, / avendo que’ per più cari e maggiori»). Padre: “uomo venerabile” (Pasquini).

23. Possessor dell’oro: Pirro, nemico dei Romani e alleato dei Sanniti. Perifrasi. 24. Ben: “virtù”. Possesso: “cosa che si possa acquistare o comprare” (Pasquini).

23-24. I vv. si riferiscono all’episodio narrato da Valerio Massimo nei Factorum et dictorum memorabilium libri IX (liber IV, 3. 6) secondo cui Fabrizio, pur essendo povero, rifiuta per ben due volte il denaro e gli schiavi che una prima volta i Sanniti e poi Pirro gli inviano per cercare di ingraziarselo, facendo così fallire entrambe le spedizioni.

25-32. “Non parlo di colui che ritenne giusto per la salvezza di Roma gettarsi nella voragine, non di colui che esiliò il re Tarquinio, e nemmeno di Cincinnato; non parlo di Sempronio, di Papiro e dell’onorevole Numa Pompilio seguace della pace e di quanto fu ricco di meriti il suo trono imperiale, che oggi giace senza luce di virtù”.

26. Salute: “salvezza”. Vorage: “voragine”. Lat.

25-26. I vv. si riferiscono con una perifrasi a Marco Curzio, eroe del mito romano che si narra abbia deciso di sacrificarsi per il bene supremo di Roma gettandosi nella voragine apertasi nel Foro Romano nel 362 a. C., la quale i sacerdoti avevano predetto si sarebbe aperta fino a inghiottire Roma se nessuno avesse deciso di lanciarsi dentro per fermarne l’estensione progressiva. Per la storia di Marco Curzio cfr. Tito Livio, Ab Urbe

condita, 7, 6 («Tum M. Curcium, iuvenem bello egregium […] silentio facto templa deorum immortalium,

quae foro imminent, Capitoliumque intuentem et manus nunc in caelum, nunc in patentes terrae hiatus ad deos manes porrigentem, se devovisse; equo deinde quam poteratmaxime exornato insidentem, armatum se in specum immisisse»); Valerio Massimo, Factorum, 5, 6. 2; Boccaccio, Am. Vis. 9, 61-66 («Dietro veniva quel

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Curzio ch’a valle / armato si gittò per la fessura, / in forse di sua vita o di suo calle, // intendendo a voler render sicura / piuttosto Roma e i suoi abitatori / che di se stesso aver debita cura»).

27. Fece strage: “esiliò”. Figur.

27-28. I vv. si riferiscono con una perifrasi a Lucio Giunio Bruto, responsabile della cacciata di Tarquinio il Superbo e fondatore, per questo motivo, della Repubblica Romana.

28. Cincinnato: Lucio Quinzio Cincinnato, console e dittatore romano definito da Tito Livio, Ab Urbe condita, 3, 26 «spes unica imperii populi romani».

29. Sempronio: Tiberio Sempronio Longo (Pasquini), console romano ai tempi della seconda guerra punica.

Papirio: Lucio Papirio Cursore, politico romano e importante generale dei Romani nel periodo della seconda

guerra sannitica.

30. Essecutor di pace: “seguace della pace”. L’appellativo si riferisce all’attività unificatrice di Numa Pompilio, che con le sue riforme crea unità fra i Romani e i Sabini sia dal punto di vista politico-giuridico, che da quello religioso, ponendosi in maniera diametralmente opposta rispetto al re guerriero Romolo per via della sua avversione nei confronti delle guerre.

31. Dotato: “ricco di virtù” (Pasquini). Solio: il trono imperiale di Roma, dall’antichità fino al Medioevo. 32. Spento: “privo di virtù, privo della luce emanata dalla virtù”. L’aggettivo si pone in contrapposizione con “dotato” del v. 31. Si giace: “giace come morto” visto il deterioramento delle virtù romane e la corruzione del presente.

33-40. “Roma, tutti sanno che la terra tutta intera si inchinò di fronte alla tua insegna ardita, e [tutti sanno] la condizione di pace che ti regalarono gli eredi di Marte; i tuoi grandi trionfi e la guerra fortunata, la forza e l’arte guerresca del tuo esercito: ne sono piene così tante scritture che la tua gloria vivrà per sempre”.

33. Universa: “tutta intera”. Ant. Universa terra: “la terra tutta intera”. Cfr. Dante, Conv., 4, 19. 7 («Di questa nobilitade nostra, che in in tanti e tali frutti fruttificava, s’accorse lo Salmista, quando fece quel Salmo che comincia: “Segnore nostro Dio, quanto è ammirabile lo nome tuo nell’universa terra”»); Saviozzo, 18, 28 («e l’universa terra ancor t’onora»).

34. Chinò le spalle: “si inchinò, si piegò”. Cfr. Saviozzo, 70, 44 («chinar voglio le spalle e la mia spene»); Beccari, Rime, 10, 84 («chinar le spalle e drizzar i occhi a Dio»). Franco: “ardito” (Pasquini).

35. Stato tranquillo: “condizione di pace”. Si riferisce allo stato pacifico vissuto da Roma dopo la Pax

Romana. Cfr. Saviozzo, 18, 32 («forse migliori a più tranquillo stato»).

36. T’acquistâro: “ti regalarono, ti donarono”. La forma del passato remoto in -aro è tipica dell'Italia centrale per la coniugazione debole. Cfr. Rohlfs, par. 158. I successor di Marte: “gli eredi di Marte”. Perifrasi usata in riferimento ai Romani, la cui discendenza da Marte è data dal fatto che il dio della guerra è secondo la leggenda il padre di Romolo, fondatore e primo re di Roma.

37. Triunfi: lat. Felice: “fortunata, feconda”.

38. L’arte: l’arte della guerra, nella quale eccellono i Romani. La forza e l’arte: dittologia. 39. Carte: “scritture”. Sonne pien tante carte: “è stato scritto tanto”.

40. Sempre: “per sempre, in eterno”.

39-40. I vv. fanno riferimento alla famosa locuzione “verba volant, scripta manent”, per cui ad assicurare eternità alla gloria di Roma concorre anche il fatto che molto è stato scritto sulle imprese dei Romani, impedendone quindi l’oblio.

41-48. “Ma questa signora, l’amore per la cui onorevole memoria mi spinge a parlarne molto, fu nutrita dal tuo dolce e venerando cibo e dalla tua eccellente stirpe. Questa fu già stimata nel mondo tanto quanta può essere la fama che si acquista per merito di una grande virtù, di modo che nel senato romano è reputata non meno gloriosa delle altre”.

41. Donna: “signora”. Lat. Personificazione della casata dei Colonna.

42. Il v. riprende in maniera esatta una formula tipicamente usata nella lirica amorosa quando si vuole iniziare un’argomentazione o una lode in favore dell’amata trasferendola in una disquisizione di carattere politico-

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encomiastico come quella che si sta svolgendo in questo componimento di celebrazione del casato dei Colonnesi.

43. Tuo: di Roma. Dolce e santo: dittologia.

43-44. Santo latte: “cibo venerando, l’insegnamento di Roma” (Pasquini). Figur. Cfr. Beccari, Rime, 8, 69 («L’ubere grazïose e ‘l santo latte»). Per la metafora dell’allattamento, seppur riferita all’insegnamento poetico, cfr. Dante, Pg., 22, 100-102 (« “Costoro e Persio e io e altri assai”, / rispuose il duca mio, “siam con quel Greco / che le Muse lattar più ch’altri mai”»); Pd., 55-57 («Se mo sonasser tutte quelle lingue / che Polimnia con le suore fero / del latte lor dolcissimo più pingue»).

44. Sangue egregio: “stirpe eccellente”. 45. Questa: la casata Colonna.

46. Per: “per merito di”.

47. Collegio: il Senato romano. Antonomasia.

48. Dell’altre: le altre famiglie patrizie romane che siedono nel Senato romano. Il v. ribadisce ancora una volta la discendenza dei Colonnesi dagli antichi Romani di nobile stirpe. Vista: “reputata”.

49-56. “Questa (famiglia) nobile assunse il nome di Colonna, quando fu portata sul cammino della fama nel quale allora erano raffigurati l’emblema cavalleresco e la spada dei nobili uomini. E perché discendenti di tale sorta ebbero questo nome, la virtù fu ricompensata con un onore tanto grande che acquistò una fama tale che sarà sufficiente a vivere finché dura il mondo”.

49. Questa gentil: la nobile famiglia dei Colonna.

50. Fu posta in la famosa strada: “fu portata sul cammino della fama e della gloria” dai Romani, che infondono tutti i propri valori e i propri insegnamenti ai discendenti Colonnesi.

51. Arme: “insegna cavalleresca”. L’arme e la spada: dittologia. Metonimia. Il riferimento è alle virtù cavalleresche e militari dei Colonna.

52. Viri illustri: “nobili uomini”, gli eroi Romani e, per via della loro discendenza diretta da questi, i Colonna. Lat. Scolpita: “raffigurata”.

53. Tal: “di tale sorta, così importanti”. Cognome: il nome dei Colonna.

54. Tanto: “tanto grande”. Lat. La virtù: si tratta della virtù dei Colonna, la cui grandezza è già stata rimarcata al v. 46. Gradita: “ricompensata”. Per l’uso dell’aggettivo con tale accezione, anche se voltata con connotazione negativa, cfr. Dante, Pd., 6, 128-129 («luce la luce di Romeo, di cui / fu l’ovra grande e bella mal gradita»).

55. L’: “ella”, la casata dei Colonna. Vita: “fama” (Pasquini). Cfr. Dante, Pd., 17, 98-99 («poscia che s’infutura la tua vita / vie più là che ‘l punir di lor perfidie»); 119-120 («temo di perder viver tra coloro / che questo tempo chiameranno amico»).

56. Bastarà: la forma del futuro in -arò è di regola a Siena. Cfr. Rohlfs, par. 587.

57-64. “Per cui se guardi bene troverai incisi nella scultura di marmo sacro molti (personaggi) che si imposero nell’arte militare che presero il nome da questa stirpe: o stirpe imperiale, o onorevole stirpe, derivata da Iulo dall’antichità, Colonna di giustizia, stirpe nobile, magnanima e casta!”.

57. Dunde: “per cui”. Lat. Scoltura: statua.

58. Sacro marmo: il marmo è reso sacro dalla gloria dei Colonna. Trovarai: la forma del futuro in -arò è di regola a Siena. Cfr. Rohlfs, par. 587.

59. Nomati: che presero nome. Essa stirpe: il casato dei Colonna.

60. Molti: molti personaggi, molti eroi. Triunfâro: “eccelsero, primeggiarono, furoreggiarono, prevalsero”. Lat. Cfr. Rohlfs, par. 565. Milizia: “arte militare” (Pasquini).

61. Cesarëa: “imperiale”, in quanto derivata dai Romani. Prole: “stirpe”. Primizia: “stirpe”. Il sostantivo “primizia” con l'accezione di “stirpe” è di derivazione dantesca; ma in Dante significa “capostipite”, Pd., 16, 22 («ditemi dunque, cara mia primizia»); Pd., 25, 14 («di quella spera ond'uscì la primizia»). Gran primizia: cfr. Saviozzo, 33, 5-6 («I buon signori al petto si conservi, / levinsi in ciel per fama e gran primizia»).

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62. Il v. costituisce una ripresa piuttosto esatta di un verso dantesco. Cfr. Dante, If., 15, 61-62 («Ma quello ingrato popolo maligno / che discese di Fiesole ab antico»). Iulio: Iulo, figlio di Enea, da cui discende la gens Iulia e, quindi, indirettamente anche i Colonnesi, discendenti a loro volta degli antichi Romani.

63. Colonna: cfr. v. 3.

64. Sangue: “stirpe”. Gentil: “nobile”. Magnanimo: “grandioso”. Pudico: “casto”. Sangue gentil: cfr. Petrarca,

Rvf, 128, 74 («Latin sangue gentile»). Gentil, magnanimo e pudico: tricolon. Gli aggettivi positivi costruiscono

un’immagine contrapposta a quella fornita da Dante in If., 15, 61-62, dove la discendenza dall’antica Fiesole è accompagnata dalla caratterizzazione dei Fiorentini con due aggettivi dalla connotazione negativa («quello ingrato popolo maligno»).

65-72. “Per lei non ci furono solo sculture di marmo, ma anche innumerevoli cronache e opere scritte che raccontavano perfettamente l’ingegno e il destino delle loro grandiose vicende. Ma dopo che Bonifacio manifestò ai Colonna il suo odio feroce, allora si perse tutto quanto di lei riuscì rintracciare. Perché non volle soltanto devastare quegli uomini, ma sotterrare la loro memoria nel profondo”.

65. Di lei: “per lei, dedicate a lei”, alla casata dei Colonna. Accesi: “scolpiti” (Pasquini). 66. Infinite: “innumerevoli”. Croniche: “cronache, narrazioni”. Croniche e scolture: dittologia. 67. Senno: “ingegno”. Lett. Venture: “destino”. Senno e venture: dittologia.

68. Lor: dei Colonna. Gran fatti: “vicende grandiose”. Cfr. Dante, Pd., 16, 110-111 («e le palle dell’oro / fiorian Fiorenza in tutt’i suoi gran fatti»). Dimostrava: “rivelava” (TLIO).

69. Bonifazio: papa Bonifacio VIII.

70. Rabido: “feroce, rabbioso”. Lat. A quanto mi risulta, si tratta della più antica attestazione dell’aggettivo in volgare. Veneno: “odio”. Figur.

71. Venne meno: “si perse, perì”.

72. Di lei: della casata dei Colonna. Giamai: rafforzativo. Seppe trovare: “riuscì a rintracciare”.

69-72. I vv. fanno riferimento all’aperta ostilità tra papa Caetani e i Colonna (in particolare i cardinali Giacomo e Pietro, ma anche Stefano), che porta Bonifacio a pronunciare un feroce discorso contro i Colonna auspicandone l’eliminazione (9 maggio 1297), e successivamente a deporre i due cardinali con una bolla (In

excelso throno) e poi a scomunicandoli e a confiscarne i beni con un secondo provvedimento (Lapis abscisus)

e, infine, ad attaccarne militarmente i possedimenti e le fortezze.

73-80. “Perché non ebbe soltanto intenzione di devastare quegli uomini, ma anche di sotterrare il ricordo di essi nel profondo. O pastore, anzi lupo, Dio non ti insegnò la superbia e l’ira! Ma a chi medita e guarda bene la sua vendetta divina, essa non manca mai di arrivare a colui al quale spetta e quello ancora piange, perché presto subì una meritata vendetta”.

73. Più: “soltanto”. Quegli: i Colonna. Intese: “ebbe intenzione”. Desolare: “devastare”. 74. In cupo: “nel profondo”. Cfr. Dante, If., 7, 10 («Non è sanza cagion l’andare al cupo»).

75. Il v., che vuole rimarcare la corruzione di Bonifacio VIII, che da pastore di anime diviene, per via del suo attaccamento ai beni terreni, lupo, riprende in maniera piuttosto esatta Dante, Pd., 9, 130-132 («però che fatto ha lupo del pastore»); 27, 55 («In vesta di pastor lupi rapaci»).

76. Comandò: “impartì un insegnamento morale e religioso” (TLIO). Cfr. Iacopone da Todi, Laude, 36, 39 («osservarai la legge che Deo t’ha commandato»). Superbia e ira: i due peccati che commette Bonifacio VIII nel cedere all’odio per i Colonna, in totale disaccordo con gli insegnamenti cristiani che, in quanto capo della Chiesa, dovrebbe perseguire. Nel v. si evince un’altra ripresa del passo dantesco di Pd. 9 già adoperato al v. 75. La superbia e l’ira di cui è preda Bonifacio VIII corrisponde all’invidia e all’avarizia di cui peccano, secondo Dante, i Fiorentini, Pd., 9, 129 («e di cui è la ‘nvidia tanto pianta»); 9, 130 («produce e spande il maladetto fiore»).

77. Giudicio: “vendetta divina” (Pasquini). Cfr. Dante, If., 2, 96 («sì che duro giudicio là su frange»); Pg., 6, 100 («giusto giudicio da le stelle caggia»). Pensa: “medita”. Mira: “guarda bene, contempla”. Pensa e mira: dittologia. Il riferimento all’aspirazione alla vendetta di Dio, pur se con esiti differenti, riprende uno dei due passi danteschi citati al v. 75, più precisamente Pd. 27, in cui si invoca la vendetta divina contro il clero,

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trasformatosi da pastore in lupo. Ma in Dante, a differenza di quanto accade in Saviozzo (vv. 78-79) la giustizia di Dio sembra tardi ad arrivare, Pd., 27, 57 («o difesa di Dio, perché pur giaci?»).

78. Giustizia: cfr. “giudicio”, v. 77. L’aspetta: “si affida”, con riferimento al riporre la propria fiducia in Dio, il cui “giudicio” non manca di arrivare, rendendo giustizia a chi ha subito un torto (in questo caso i Colonna). 79. Anco: “ancora”. Sospira: “piange”. Ant. Lett.

80. Merita: “meritata”. Vendetta: cfr. “giudicio”, vv. 77. 76-80. Constructio ad sensum.

81-88. “L’odio e la superbia non riuscirono (ad arrivare) a tanto da consumare del tutto tutte le memorie