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non ebbe al mondo mai sì dolce lima, che fu 'l Boccaccio in prosa e Dante in rima.

1. Facundia: “eloquenza, capacità di parlare con proprietà ed eleganza”. Latinismo. La parola è di derivazione dantesca (Conv. 3, 4.3: «la lingua mia non è di tanta facundia che dire potesse ciò che nel pensiero mio se ne ragiona»; Conv. 3, 13.8: «e dicemo l'uomo facundo eziandio non parlando, per l'abito della facundia, cioè del bene parlare»). Melodia: “dolcezza, soavità del verso poetico”. Gloria, facundia e melodia: enumerazione.

1-2. Melodia dell'italica lingua: enjambement. Gloria...dell'italica lingua: cfr. Dante (Purg. 11, 98: «la gloria de la lingua»). Per l'immagine di Dante come gloria della lingua italiana, cfr. Boccaccio (Vita Dante par.

85 «e glorioso sopra ogni altro fece il volgar nostro») e SAVIOZZO (26, 11-12 «sacro fiorentin poeta / che nostra

lingua ha fatta in ciel salire»; 26, 22-24

:

«Felice ventre in cui tutto il valore / dell'idïoma nostro in fra' latini / acquistò gloria, e tu porti l'onore!»

).

2.

Bel vulgare: cfr. B. Latini (Tesoretto 11, 1119-1121: «ma 'n bel volgare e puro / tal che non sia oscuro

/ vi dicerò per prosa»); Boccaccio (Vita Dante par. 19: «per costui ogni bellezza di volgar parlare sotto debiti numeri è regolata»; par. 191: «e mostrando la bellezza del nostro idioma […] e diletto e intendimento di sé diede agl'idioti»). Vulgare: arcaismo.

3. “Ordinamento, regole, criteri della poesia e dell'esposizione in volgare”. Per l'immagine di Dante come

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d'amore, e d'uomini inesperti»). Ordine...del parlare: cfr. Andrea da Grosseto (Volgarizzamento del Liber de

doctrina loquendi et tacendi di Albertano da Brescia, 6: «et perciò diligentemente dèi guardare lo tempo et

l'ordine del tuo parlare»).

4. “uscirono da un unico corpo, e insieme a esso Dante”. Uscîr: forma apocopata. In compagnia: “insieme”. Locuzione avverbiale. Cfr. Compagni (Cronica, 2, 7: «il dittatore fu messer Donato d'Alberto Ristori, con più altri giudici in compagnia»); Sacchetti (Trecentonovelle, 75: «uomini e donne in compagnia ne vanno la su a diletto, più che a perdonanza»).

5-8. “(Con lui) nacquero le ninfe, Apollo e la melodia del fonte d'Elicona e del suono della cetra d'Orfeo, e la concentrazione, l'adesione alle poesia, alla teologia e alla filosofia”.

5. Ermonia: “armonia, melodia”. La forma 'ermonia' non è attestata, fra Duecento e Trecento, in nessun autore. Compare per la prima volta in Saviozzo, il quale, tuttavia, adopera questa forma sistematicamente al posto di 'armonia'. Inoltre, 'ermonia' non risulta nella lista delle forme dell'italiano antico della parola 'armonia' data dal TLIO.

5-6. Ermonia del fonte d'Elicona: enjambement.

6. Fonte d'Elicona: secondo la mitologia greco-romana, dal monte Elicona, sede delle Muse, sgorgavano due fonti in grado di dare ispirazione poetica a chi vi attingeva. Si tratta in questo caso di una sineddoche, in quanto vuole significare genericamente 'poesia', 'ispirazione poetica'. Sonare: verbo sostantivato: “suono”.

6-7. Sonare della citra d'Orfeo: enjambement.

7. Citra: “cetra”. Latinismo. Contemplare: verbo sostantivato. cfr. Jacopone (Laude, 13, 3: «e loco pone lo tuo contemplare»); Dante (Conv. 4, 2.9: «che altro non è a dire se non che l'anima filosofante non solamente contempla essa veritade, ma ancora contempla lo suo contemplare medesimo e la bellezza di quello, rivolgendosi sovra se stessa e di se stessa innamorando per la bellezza del suo primo guardare»).

7-8. Contemplare le Muse: enjambement.

8.

Muse: metonimia. Indicano la poesia. Cielo: metonimia. Indica la teologia. Per l'immagine di Dante

teologo, cfr. Boccaccio (Vita Dante, par. 24: «E, acciò che niuna parte di filosofia non veduta da lui rimanesse, nelle profondità altissime della teologia con acuto ingegno si mise»; par. 123: «essendo egli a Parigi, e quivi sostenendo in una disputazione de quodlibet che nelle scuole della teologia si facea, quattordici quistioni da diversi valenti uomini e di diverse materie […] senza mettere in mezzo raccolse, e ordinatamente, come poste erano state, recitò»; Carmina, 5, 18-19: «Hinc illi egregium sacro moderamine virtus / theologi vatisque dedit»). Filosofia: per l'immagine di Dante filosofo, cfr. Boccaccio (Vita Dante, par. 23: «E avvedendosi le poetiche opere non essere vane o semplici favole o maraviglie, […] ma sotto sé dolcissimi frutti di verità istoriografiche o filosofiche avere nascosti; […] partendo i tempi debitamente, le istorie da sé, e la filosofia sotto diversi dottori s'argomentò […] d'intendere»). Le Muse, il cielo e la filosofia: il verso, almeno per quanto riguarda il contenuto, sembra riprendere Boccaccio (Vita Dante, par. 26: «E di tanti e sì fatti studi non ingiustamente meritò altissimi titoli: perciò che alcuni il chiamarono sempre “poeta”, altri “filosofo”, e molti

“teologo”, mentre visse»); ma cfr. anche SAVIOZZO (26, 56-57: «a Parici / volse abbracciar filosofia e Dio»).

Ma quella di Dante competente in tutte le arti liberali e in teologia è un'immagine molto ben consolidata, la quale si diffonde sin dalla prima biografia del poeta, quella di Giovanni Villani, a lui contemporaneo.

9.

Giovane innamorato: per l'immagine di Dante innamorato di Beatrice, cfr. Boccaccio (Vita Dante, par.

32: «è certo questo esserne divenuto, cioè Dante nella sua pargoletta età fatto d'amore ferventissimo servidore.

Ma, lasciando stare il ragionare de' puerili accidenti, dico che con la età multiplicarono l'amorose fiamme, intanto che niuna altra cosa gli era piacere o riposo o conforto, se non il vedere costei»). Virtüoso: per la virtù di Dante, cfr. Boccaccio (Vita Dante, par.8: «conoscendo io me essere di quella medesima città, avvegna che picciola parte, della quale, considerati li meriti, la nobiltà e la vertù, Dante Alighieri fu grandissima, e per questo, sì come ciascuno altro cittadino, a' suoi onori sia in solido obligato come che io a tanta cosa non sia sofficiente, nondimeno secondo la mia picciola facultà, quello che essa dovea verso lui magnificamente fare, non avendolo fatto, m'ingegnerò di far io»).

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10-11. “Visse nella sua patria (Firenze), finché l'invidia (dei Fiorentini) non ebbe in animo di annientarlo, mentre invece gli fece (avere) onore”.

10. Invidia: l'invidia dei Fiorentini è un topos ben radicato nelle numerose invettive antifiorentine della Commedia. Cfr. Dante (Inf. 6, 49-51: «la tua città, ch'è piena / d'invidia sì che già trabocca il sacco / seco mi tenne in la vita serena»; Inf. 6, 74-75: «superbia, invidia e avarizia / sono le tre faville che hanno i cuori accesi»;

Inf. 15, 67-69: «Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; / gent'è avara, invidiosa e superba: / dai lor costumi

fai che tu ti forbi»). Il topos viene recuperato e abbondantemente adoperato nelle molte biografie e nei componimenti in lode di Dante che fioriscono nel corso del Trecento, e che vedono nell'invidia dei Fiorentini verso il poeta la causa dell'esilio di Dante da Firenze. Cfr. Boccaccio (Vita Dante, par. 101: «Morto è il tuo

Dante Alighieri in quello esilio che tu ingiustamente, del suo valore invidiosa, gli desti»); SAVIOZZO (26, 31-

33: «non fûr gli antichi tuoi tanto molesti / che discacciasse le virtù l'invidia / sol per ben far, come che tu

facesti»).

10-11: Invidia credette conculcarlo: enjambement.

11. Credette: “ebbe in animo di” (TLIO). Cfr. Sacchetti (Trecentonovelle, 100:

«Messer lo frate, io ve