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SECONDA PARTE

III. 3.5 “Guardala, guardala, scioglie i capelli ”

III.3.7 Altro che anonimi astant

Le fonti della letteratura artistica hanno, come detto, un occhio di riguardo nel sottolineare la presenza di ritratti velati all’interno di scene corali. A volte si tratta di poche figure, riunite intorno alla Vergine; in altri casi invece il palcoscenico è decisamente più affollato e alcuni volti spiccano in mezzo agli altri per la loro caratterizzazione decisa. In entrambe le situazioni, il loro inserimento si connota come tutt’altro che scontato o “dovuto” e risponde spesso viceversa alle logiche più profonde del criptoritratto.

È il 1568 quando Giorgio Vasari, in coda alla Vita di Tiziano, appunta questo dettaglio in merito a una pala di Paris Bordon.

In Crema ha fatto in Santo Agostino due tavole, in una delle quali è ritratto il signor Giulio Manfrone, per un San Giorgio tutto armato.370

Marcantonio Michiel, nel citare per primo l’opera, si era limitato a ricordarne la corretta paternità e a riportare la giusta lettura iconografica dei suoi protagonisti, tra i quali, appunto, “el san Zorzi tutto armato”.371 La segnalazione dell’aretino invece,

puntualmente ripresa da Ridolfi,372 permette di far luce sulla figura del santo guerriero

all’interno della tela con la Madonna in trono tra san Giorgio e san Cristoforo (fig. 64), profilo che anche in assenza della testimonianza dello storiografo sollecitava la curiosità dell’osservatore per la sua singolarità. In una pala nella quale la plasticità e la vitalità si uniscono all’idea del movimento – suggerito dai gesti accentuati e dalle direttrici oblique tracciate dalla Vergine col Bambino e dall’imponente san Cristoforo – spicca la figura sottodimensionata, vagamente ieratica e quasi assorta, di san Giorgio. Una mano sul fianco, la lancia sorretta senza fatica nella sinistra, catafratto di tutto punto: anche lui “in posa”, per l’appunto, davanti al pittore.373

370VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, cit., VII, pp. 464-465.

371Marcantonio Michiel la vide nel monastero dei frati di Sant’Agostino: “La palletta a man dextra a meza chiesa della nostra donna che tol el puttino de spalla S. Christophoro, cun el S. Zorzi, fo de man de Paris Bordon” (cfr. MICHIEL, Notizia d’opere del disegno, cit., p. 49).

372“Due (tavole) per la città di Crema, in una delle quali fece il Cavalier San Giorgio, in cui ritrasse Giulio Manfrone”, cfr. RIDOLFI, Le Maraviglie dell’arte, cit., I, p. 232.

373Sull’opera si veda la scheda di Giordana Mariani CANOVA in Paris Bordon, Catalogo della mostra (Treviso, Palazzo dei Trecento, 1984), a cura di E. Manzato, Venezia 1984, pp. 56-58, n. 3, e ora anche A. DONATI, Paris Bordone. Catalogo ragionato, Soncino (Cremona) 2014, pp. 31-32, 258, n.

Giulio Manfron era un esponente di spicco di una famiglia di condottieri di origine veneta al servizio della Repubblica di Venezia. Formato al mestiere delle armi sin da giovane, il rampollo venne incaricato dal padre (altrettanto celebre uomo d’armi alle dipendenze della Serenissima) di prendere il suo posto al comando delle truppe in occasione dell’assedio di Cremona, snodo vitale delle vicende belliche che in quegli anni vedevano opporsi gli imperiali a Venezia. Proprio durante uno scontro tenutosi presso le mura della città lombarda, nell’estate del 1526, Giorgio però perse la vita. È abbastanza comprensibile, quasi lineare, quindi che egli venga rappresentato dal Bordon nei panni di un santo guerriero, a ripercorrere idealmente le orme del martire caduto in nome della fede: lo sdoppiamento funziona qui, per analogia, in modo ottimale. Nondimeno, al netto di tutte queste informazioni che si possono raccogliere intorno all’opera non è ancora chiaro l’anno di realizzazione e, non meno significativo, a chi spetti la responsabilità della committenza.374

La pala infatti, che ora si conserva all’Accademia Tadini di Lovere, fu pensata per la chiesa di sant’Agostino agli Eremitani ed è stata datata dalla critica in un intervallo che va dal 1524 al 1527. Chi vi ha visto un dipinto votivo – la richiesta avanzata in prima persona dal protagonista velato in favore di un’intercessione presso la Vergine alla vigilia della partenza (o quale ex voto dopo uno scampato pericolo) – è propenso a datarla precocemente e comunque a ridosso delle vicende di Cremona.375 Da ultimo,

l’ipotesi è stata ripresa avvicinando, sulla scorta di indizi figurativi, il san Giorgio (alias Giulio Manfron) al Ritratto d’uomo, sempre di mano del Bordon e ora conservato a Monaco (fig. 65).376 Tale opera – che porta un’iscrizione al 1523, verosimilmente molto

ridipinta e oggetto di numerose attribuzioni negli anni – restituirebbe quindi le fattezze dello stesso condottiero. Una lettura viceversa in termini post mortem, implicherebbe il coinvolgimento del padre Giampaolo (prima che anche questi perdesse la vita in battaglia, l’anno successivo a Giorgio) impegnato pertanto a ricordare e celebrare la

32.

374Analizza la pala calandola nel contesto in cui vide la luce e attraverso il filtro di tutti i dati documentari raccolti fino ad ora anche A. COSMA, La memoria di un guerriero. Paris Bordon e la pala di Lovere, in «Venezia Cinquecento», XXV, 2018, 50, pp. 115-159: 136-151.

375Riassume bene le possibili opzioni, senza sbilanciarsi in mancanza di dati ulteriori a favore di nessuna delle due, CANOVA in Paris Bordon, cit., p. 56.

376Istituisce il parallelo con la tela, che si conserva presso l’Alte Pinakothek, DONATI, Paris Bordone. Catalogo ragionato, cit., pp. 31, 382-383, n. 179.

caduta del valoroso figlio sul campo. Il profilo all’antica che si scorge sul basamento del trono, oltre ad alludere a un parallelo eroico tra Giulio e il ben più celebre Cesare (il generale per antonomasia), sembra suggerire una destinazione commemorativa in absentia che all’idea della gloria affianca quella della perdita. Anche la corrispondente figura di san Cristoforo invocato, tra l’altro, come protettore contro la morte violenta rivestirebbe un ruolo ambiguo: presagio del pericolo incombente o, viceversa, ricordo di un avvenimento funesto.377

In entrambi i casi tuttavia l’inserimento del volto del Manfron, fortemente voluto e rivendicato dall’artista stesso,378 conferisce al dipinto una carica emozionale aggiuntiva.

È infatti un racconto di morte e immortalità quello che viene dispiegato sulla tela. Sebbene realizzato all’interno di una pala nata da una commissione privata, esso trovava posto nella chiesa più celebre di Cremona. E, sulla scorta del riconoscibilissimo Giorgio camuffato,379 permetteva agli spettatori di ripercorrere le vicende belliche recenti

evocandone i protagonisti di primo piano in modo più reale e coinvolgente rispetto al susseguirsi di anonimi profili.

Il travestimento nelle vesti del santo guerriero per eccellenza sembra riaffiorare, una quindicina d’anni dopo l’esperienza di Paris a Crema, grazie ai pennelli di Dosso Dossi.380 Il San Giorgio che ora si conserva alla Pinacoteca di Brera nasce in realtà

come pannello laterale di un trittico che prevedeva sul lato opposto, voltato quindi verso sinistra, un analogo San Giovanni Battista (anch’esso attualmente nel medesimo museo milanese), e al centro una Madonna col Bambino e san Giovannino, di cui si sono perse le tracce a inizio Ottocento (fig. 66).381 Le due tavole provengono da Massa 377CANOVA in Paris Bordon, cit., p. 56. Sulla convocazione di san Cristoforo riflette diffusamente

anche COSMA, La memoria di un guerriero. Paris Bordon e la pala di Lovere, cit., pp. 129-136. 378Fu verosimilmente Paris stesso a segnalare a Vasari l’opera, come una delle più riuscite della sua

giovinezza; cfr. CANOVA in Paris Bordon, cit., p. 56.

379L’inserto della barba sul volto del cripto-santo guerriero, attributo inusuale per Giorgio, si perde infatti nella copia antica, che risale al XVII secolo, conservata anch’essa all’Accademia Tadini di Lovere; per un confronto tra le due realizzazioni si veda DONATI, Paris Bordone. Catalogo ragionato, cit., p. 258, nn. 32 e 32.1.

380Questo e (pochi) altri casi rinvenibili in territorio italiano vengono discussi nell’ampia sezione dedicata da POLLEROSS (Das sakrale Identifikationsporträt, cit., I, pp. 259-284) alle figure dei santi guerrieri.

381A. PATTANARO, Ritratti di principi, condottieri, umanisti e cortigiani, in Dosso Dossi. Rinascimenti eccentrici al Castello del Buonconsiglio, Catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio 2014), a cura di V. Farinella, L. Camerlengo, F. de Gramatica, Cinisello Balsamo (Milano) 2014, pp.

Lombarda e vengono considerate, su base stilistica, tra le ultime opere del maestro realizzate poco prima della morte e pertanto intorno al 1540. Tale circostanza ha alimentato per decenni l’ipotesi di una collaborazione a quattro mani col fratello Battista solo di recente ridimensionata dalla critica in favore di una piena autografia spettante al meno giovane tra i due Dossi.382

Lo stato di conservazione del dipinto non è ottimale. Ciononostante dalla superficie pittorica emerge con slancio e segno deciso il profilo nervoso e scattante dell’uomo. Gli arti si dispongono in posizione di contrappunto: alla gamba destra leggermente spinta in avanti e fasciata, come l’altra, in un rosso acceso fa eco la mano impegnata a reggere la lancia. La sinistra è invece puntata con nonchalance sul fianco, causa prima di un abbassamento generale della postura e in particolare delle spalle, e orienta quasi obbligatoriamente l’attenzione dello spettatore sulla spada. L’armatura indossata dal guerriero è infatti, oltre che sfavillante e in perfetto ordine, moderna e in linea con le prerogative della moda bellica del tempo.

Non sfuggirà come la figura ricalchi la stessa posa, sebbene qui vista “di lato”, dell’appena incontrato Giulio Manfron e con lui condivida, inusuale nell’iconografia di san Giorgio, una vistosa barba. Vi sono buone ragioni per credere che nei panni del santo guerriero si celino le sembianze storiche di Francesco d’Este, marchese di Ferrara che, nato nel 1516, poteva ben esibire intorno agli anni Quaranta del secolo un volto tanto irsuto su di un viso già maturo. Ad avvalorare tale identificazione vi sono dei confortevoli confronti che si possono istituire proprio tra il profilo fermato su tavola da Dosso e alcune medaglie celebrative dell’epoca.383 Francesco, terzogenito di Alfonso I

d’Este (storico committente del pittore), fu a tutti gli effetti un uomo d’armi: capitano di cavalleria già a sedici anni ricevette, per nomina papale, proprio il titolo di marchese di Massa Lombarda nel 1544.384

Due ulteriori elementi intervengono a sostegno dell’identificazione. San Giorgio, oltre

107-117: 112-113.

382F.L. GIBBONS, Dosso e Battista Dossi: court painters at Ferrara, Princeton (NJ) 1968, p. 186, n. 36. 383Ibidem. Per un confronto con le medaglie si veda invece C.M. ROSENBERG, Money talks:

numismatic propaganda under Alfonso I d’Este, in L’età di Alfonso I e la pittura del Dosso, cit., pp. 145-164.

384Cfr. PATTANARO, Ritratti di principi, condottieri, umanisti e cortigiani, cit., pp. 112-113. Sull’ambiente culturale ferrarese e il rapporto stretto dagli Estense con il pittore si vedano i contributi presentati al convegno internazionale L’età di Alfonso I e la pittura del Dosso del 2004.

che alter ego ideale per chiunque vantasse meriti militari era, ed è tuttora, patrono di Ferrara, corte alla quale l’artista fu legato per lunghi anni. E Francesco d’Este poteva vantare entrambe le caratteristiche, per meriti e nascita. Anzi: di Ferrara era uno dei figli più illustri per cui appare legittima tale celebrazione nelle vesti per l’appunto di san Giorgio.385 In seconda battuta, le precedenti versioni del tema realizzate dal pittore –

come ad esempio la tavola che si conserva ora a Londra, anch’essa forse in origine pendant di un San Giovanni Battista – al netto di ragioni e destinazioni differenti rispetto all’opera in questione, si connotano per una resa più drammatica, quasi viscerale.386 Di certo non così analitica da rincorrere il profilo tanto aquilino e ossuto,

tipico di un ritratto, che restituisce il dipinto ora a Brera.387

Ha portato curiosamente per anni una problematica attribuzione a Dosso anche la tela, ora alla National Gallery di Washington, conosciuta col nome di Ritratto d’uomo in figura di san Giorgio (fig. 67).388 Meno dubbi sono sorti in relazione alla

datazione – a partire da Longhi che la considerava “un bellissimo ritratto giovanile, intorno al 1545”389– che ora si assesta per l’appunto tra le prime realizzazioni di 385Di aperta allegoria politica si parla in POLLEROSS, Das sakrale Identifikationsporträt, cit., I, p. 277. 386Per un confronto si veda la scheda di Peter HUMFREY in Dossi Dossi. Pittore di corte a Ferrara nel

Rinascimento, Catalogo della mostra (Ferrara, Civiche Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea 1998 – New York, Metropolitan Museum of Art 1999 – Los Angeles, The J. Paul Getty Museum 1999), a cura di P. Humfrey, M. Lucco, A. Bayer, Ferrara 1998, pp. 106-107, n. 8.

387Le opinioni più recenti sui meriti ritrattistici di Dosso sono discordi. Se per Alessandra Pattanaro si riscontra “un naturale acume che sollecita il pittore a proporre, anche all’interno del quadro di storia sacro e profano, straordinari pezzi di verità fisionomica (si veda PATTANARO, Ritratti di principi, condottieri, umanisti e cortigiani, cit., p. 107), Mauro Lucco sottolinea, all’interno della produzione del pittore, la presenza di “facce, magari ripetute più volte […], ma non dei volti. Ecco perché Dosso non mostra di avere delle reali doti di ritrattista” (il rimando è a M. LUCCO, Fantasia, arguzia e divertimento: l’arte di Dosso Dossi, in Dossi Dossi. Pittore di corte a Ferrara nel Rinascimento, cit., pp. 17-24: 23). Accanto a tali contributi va segnalato anche il saggio, di natura non ritrattistica, di J. BRIDGEMAN, Date, dress, and Dosso: some problems of chronology, in Dosso’s fate: painting and court culture in Renaissance Italy, a cura di L. Ciammitti, S.F. Ostrow, S. Settis, Los Angeles 1998, pp. 176-199. Partendo da un punto di osservazione diverso, legato ai dettami e dettagli della moda riscontrabili nelle realizzazioni del pittore, la studiosa mette insieme un corpus di dipinti e un numero di figure singolari in bilico tra la “spinta all’attualizzazione” tramite le vesti, all’interno soprattutto delle scene religiose, e dei possibili ritratti nascosti.

388Ricordata però già con l’attribuzione al Robusti in B.B. FREDERICKSEN-F. ZERI, Census of the Pre-Nineteenth-Century Italian Paintings in North American Public Collections, cit., p. 201. Negli ultimi anni la critica si è mostrata sostanzialmente concorde sul nome di Tintoretto; diverge da questa posizione Rearick che a margine della mostra dedicata nel 1994 proprio ai ritratti del maestro ha avanzato l’ipotesi che il Ritratto d’uomo in figura di san Giorgio spetti in realtà al pittore bolognese Girolamo Mirola e che la datazione corretta di conseguenza cada intorno al 1552-1555.; cfr. W.R. REARICK, Reflections on Tintoretto as a portraitist, in «Artibus et Historiae», 16, 1995, 31, pp. 51- 68: 58-60.

Jacopo Tintoretto, da collocarsi verosimilmente al 1547-48.390

Ciò che appare evidente a prima vista è l’originale regia compositiva che pervade il dipinto. L’uomo viene infatti presentato in un ardito taglio ’di spalla’, forse retaggio di alcune soluzioni di Giorgione e dei suoi seguaci,391 in un interno scuro in cui dominano

il rosso della veste, che richiama quello del vessillo crociato, e il bianco vaporoso del cappello di piume. L’impaginazione compositiva ricorda da vicino, in chiave criptica, pure alcune soluzioni di Savoldo come ad esempio il già visto Ritratto di dama in veste di santa Margherita.392 Anche in questo caso si attua infatti sulla tela una felice

combinazione tra le ragioni e le logiche insite a un ritratto – e quindi la posa ricercata verosimilmente in una stanza in cui si apre in alto una finestra, i dettagli della veste che denunciano uno status sociale benestante, la cura con cui viene reso l’elmo nonché l’analisi fisionomica del volto – e i motivi tipici della rappresentazione di un santo sintetizzati qui, al pari del dipinto alla Capitolina, da un unico ma emblematico elemento che proviene dal mondo fantastico. Sulla sinistra infatti, a liberare l’artista dalla necessità di coronare il suo protagonista di aureola, fa la sua comparsa un grande drago di cui si coglie soprattutto il muso malinconico in primo piano. Se la critica non ha mancato di sottolineare l’innegabile carattere allegorico sotteso all’opera,393 non è

riuscita purtroppo parimenti a sciogliere l’identità dell’effigiato, arricchendo con un nome un’opera che ha all’apparenza tutte le cifre di un ritratto “in veste di” (tra tutte, di nuovo, la presenza di una barba quanto meno straniante con l’immagine agiografica standard tipica del miles christianus). Immaginando per la tela una destinazione privata, nata da richieste specifiche di un committente che si può supporre esigente e aggiornato sul gusto (forse qualcuno che di Giorgio portava il nome?), e ritenendo al contempo poco plausibile l’eventualità che si sia di fronte a un suggestivo cripto-autoritratto del

390Tale cronologia viene ribadita in Washington. National Gallery of Art. Catalogue of Italian paintings, a cura di F. Rusk Shapley, 2 voll., Washington, 1979, I, pp. 462-464, e ripresa, dopo essere stata sostenuta già in precedenza, da Paola ROSSI in Jacopo Tintoretto. Ritratti, Catalogo della mostra (Venezia, Gallerie dell’Accademia-Vienna, Kunsthistorischen Museum, 1994), Milano 1994, p. 82, n. 5.

391Oltre alla scheda in Jacopo Tintoretto. Ritratti, cit., p. 82, si veda anche, all’interno dello stesso catalogo, P. ROSSI, I ritratti di Jacopo Tintoretto, pp. 13-37: 15. In entrambi i contributi la studiosa sottolinea i debiti, sviluppati in senso “decorativo”, del pittore nei confronti pure di Paris Bordon. 392 ROSSI in Jacopo Tintoretto. Ritratti, cit., p. 82.

393Ibidem. Se già in FREDERICKSEN-ZERI, Census of the Pre-Nineteenth-Century Italian Paintings in North American Public Collections, cit., p. 201 veniva definito “Portrait of Man as St. George”, RUSK SHAPLEY (National Gallery of Art. Catalogue of Italian paintings, cit., p. 463) parla di profilo “presented in the imaginary role of St. George”.

pittore,394 in attesa del rinvenimento di eventuali nuovi documenti la questione resta, per

ora, sospesa.395

Poche sono le pagine che Vasari dedica, nell’edizione giuntina delle Vite, al profilo professionale e alla produzione di Paolo Morando; colpisce tuttavia il rilievo e l’accento sulle sue abilità ritrattistiche che vengono esemplificate, tra le righe, con il ricordo di alcune pregevoli realizzazioni.396 L’incrocio di due annotazioni, riferite a diverse

commissioni da portare a termine tuttavia per la medesima chiesa (anzi, contigue l’una all’altra), permette – abbinato a un confronto iconografico favorito già in origine dalla vicinanza delle due opere – di risalire al nome di più contemporanei celati in panni altrui. Solo qualche anno prima dell’impresa di Paris a Crema, nel 1522, una schiera ben più nutrita di santi trovava posto infatti nella parte inferiore della grande tela della Madonna con il bambino e i santi Antonio e Francesco in gloria, e in basso i santi Elisabetta d’Ungheria, Bonaventura, Luigi di Francia, Ivo, Ludovico di Tolosa ed Eleazaro (la cosiddetta Pala delle Virtù), collocata in origine sull’altare di san Francesco nella chiesa di san Bernardino a Verona (fig. 68).397 L’aretino dapprima

ricorda il nome della committente che spunta in basso, al pari di tanti altri donatori, col velo e le mani in preghiera. Lo fa, a onor del vero, confondendo nomi propri e famiglie di provenienza, ma individuando correttamente l’ambiente aristocratico a cui risalire:

394L’ipotesi, ritenuta “suggestiva” ma indimostrabile da Rossi, è stata avanzata da RUSK SHAPLEY in National Gallery of Art. Catalogue of Italian paintings, cit., p. 463.

395Parimenti assai poco si sa in merito a un dipinto, ora al Bowes Museum di Durham, che presenta all’apparenza gli elementi fondamentali per rubricarlo nella categoria delle immagini “in veste di” san Giorgio. Il milite cristiano occupa tutto il primo piano, in una resa di tre quarti con un taglio abbassato, e una curiosa visione di sotto in su. In posizione di riposo, armato anch’egli di tutto punto e munito di aureola, si mostra allo spettatore quasi trasognato: verosimilmente sta ripensando all’esito vittorioso del suo incontro con il drago – rievocato sullo sfondo a destra – mentre un mezzo sorriso gli increspa le labbra. La resa del volto e i dettagli che lo completano – su cui cade, al pari degli abiti militari, la luce – lascia trasparire in modo piuttosto inequivocabile i lineamenti propri a un ritratto che potrebbe essere, come si è visto, sia quello di qualcuno che di Giorgio portava il nome (il committente?) al pari di un devoto e agguerrito sostenitore della fede deciso a mostrarsi pronto al conflitto contro il male. Nel catalogo del museo la tela porta una generica attribuzione a un artista italiano (secondo Roberto Longhi potrebbe trattarsi di una copia da un originale perduto di Velázquez) della metà del Seicento: cfr. The Bowes Museum. Catalogue of Spanish and Italian paintings, Durham 1970, pp. 108-109, n. 62).

396Cfr. PLEBANI, Verona e gli artisti veronesi nelle «Vite» di Giorgio Vasari, cit., pp. 126-131: 130-131. 397Sull’imponente pala si legga Gianni PERETTI in Museo di Castelvecchio. Catalogo generale dei

dipinti e delle miniature delle collezioni civiche veronesi. 1. Dalla fine del X all’inizio del XVI secolo , cit., pp. 257-259, n. 360, e ID., in Le Vite dei veronesi di Giorgio Vasari. Un’edizione critica, cit., pp.