SECONDA PARTE
III. 3 “Sub specie sanctorum”
III.3.2 La maschera entra nello studio
In questa sequenza di santi, tutti declinati al maschile e immancabilmente velati, si ritagliano un posto particolare due dipinti, spesso letti l’uno vicino all’altro anche perché divisi solo da un quarto di secolo, sui quali la critica molto si è spesa alla ricerca di un nome che restituisca una biografia concreta ai volti, dai tratti fisionomici così
250Secondo Polignano (Ritratto e biografia: due insiemi a confronto, dalla parte dell’iconologia, cit., p. 21) da attuarsi tramite “adesione incondizionata nell’altro”.
precisi, dei loro protagonisti. Conviene partire dal secondo, in termini cronologici, in quanto enigma all’apparenza più semplice da sciogliere.
Intorno alla tela di Carpaccio, La visione di Sant’Agostino, che si conserva nel luogo per cui fu commissionata e realizzata, ovvero la Scuola di San Giorgio degli Schiavoni a Venezia, in realtà per molto tempo ci si è interrogati pure sul soggetto (fig. 38).251 Non
una rappresentazione di san Gerolamo, che sarebbe tuttavia parsa coerente con il programma iconografico affidato al pittore, ma la visione che di costui ebbe Agostino mentre si trovava nel suo studio. L’episodio narrato, sebbene non abbia un parallelo agiografico rintracciabile nella Leggenda aurea di Jacopo da Varazze e quindi risulti “mancante” di un sostrato letterario di riferimento, coglierebbe l’attimo in cui, proprio mentre sant’Agostino sta scrivendo a san Gerolamo, questi gli compare davanti sotto forma di luce, improvvisa e soprannaturale, a preannunciare un destino di sofferenza a cui sarebbe però seguita la meritata ascesa al cielo.252
Il dottore della Chiesa, dai lineamenti bruni e caratterizzato come un uomo di mezza età, tradisce nei tratti del proprio volto un’inclinazione ritrattistica che ha portato la critica a riconoscervi, per lunghi decenni, il profilo ben preciso del defunto cardinale Bessarione, intellettuale, uomo colto e in stretto rapporto con l’ambito di committenza.253 Carpaccio
stesso non era nuovo a soluzioni di questo tipo: è stato dimostrato come l’umanista Ermolao Barbaro presti i tratti del proprio viso alla figura togata di rosso accanto al pontefice nell’episodio dell’Incontro col Papa, appartenente al ciclo di Sant’Orsola e datato un decennio prima della tavoletta con il sant’Agostino nello studio.254 Anzi:
proprio il contesto riallestito attorno al dipinto e all’auspicato riconoscimento del volto – forte del rinvenimento di un’indulgenza concessa dal Bessarione, datata però
251Sulla tela si leggano, per iniziare, P. ZAMPETTI, Vittore Carpaccio, Venezia 1966, p. 72, n. 35 e V. SGARBI, Carpaccio, Bologna 1979, n. 22.
252Tale singolarità nella soluzione iconografica emerge dal confronto con il catalogo delle altre immagini del santo approntato in L. DAINA, S. Agostino nella pittura dal XIV al XVIII secolo, in S. Agostino. Il santo nella pittura dal XIV al XVIII secolo, acura di L. Daina, D. Funari, Cinisello Balsamo (Milano) 1988, pp. 49-74.
253L’ipotesi era stata avanzata nel 1956 da Pedrocco, ripresa in modo dubitativo da Vittore Branca (V. BRANCA-R. WEISS, Carpaccio e l’iconografia del più grande umanista veneziano (Ermolao Barbaro), in «Arte Veneta», XVII, 1963, pp. 35-40), e accettata senza riserve da Zampetti (Vittore Carpaccio, cit., p. 72). Riassume l’iter delle varie tesi GENTILI, Bessarione sì e no nel ciclo di Vittore Carpaccio per la Scuola degli Schiavoni, cit., pp. 197-206.
254BRANCA-WEISS, Carpaccio e l’iconografia del più grande umanista veneziano (Ermolao Barbaro), cit., pp. 35-40.
quarant’anni prima della realizzazione dell’opera – hanno suggerito e ribadito più volte tale identificazione.255 La quale tuttavia viene a cadere piuttosto decisamente se al viso
ritratto agli Schiavoni si affianca l’effige ufficiale del cardinale, di mano di Gentile Bellini e quindi, per motivi professionali, si suppone accessibile con facilità anche a Vittore. Il nome nuovo, chiamato in causa di recente da Augusto Gentili, a cui spetterebbe il compito di assumere le sembianze dell’illustre predecessore, è quello di Angelo Leonino.256 Un altro vescovo, sulle orme di Agostino, anch’egli benefattore
della Scuola in una data coincidente quasi con quella della tela e, al pari del predecessore, uomo colto che poteva ambire a tale prestigioso travestimento criptico. L’aspetto più interessante della vicenda – che è ancora in attesa di un qualche rinvenimento archivistico o della comparsa di almeno un ritratto “palese” di tale intellettuale che permetta un confronto visivo tra le due fisionomie e sostanzi la suggestiva ipotesi – resta tuttavia, dalla prospettiva di questo studio, un altro. Il disegno preparatorio per la tela, ora al British Museum, restituisce un foglio estremamente dettagliato negli elementi incaricati di delineare l’ambiente in cui si colloca l’episodio ma che difetta, improvvisamente, di precisione proprio là dove dovrebbe collocarsi il volto del santo-committente (fig. 39).257 Al pari dei sarcofagi antichi legati alla
dimensione funeraria, qui il pittore sembra aver immaginato la sua composizione fin dove gli era permesso farlo per poi fermarsi in attesa di una personalità reale che meritasse di ricoprire il ruolo al centro della scena, incarnando virtù e competenze di Agostino.258 In uno ambiente lontano e del tutto diverso rivive una pratica attestata e
diffusa, per quanto concerne la produzione di “immagini”, in epoca classica. In pieno Quattrocento non solo si continua a trovare nella maschera criptica la risposta
255Sul nome di Bessarione si allinea anche POLLEROSS, Das sakrale Identifikationsporträt, cit., I, p. 304.
256Sul telero in generale, e sul volto di sant’Agostino in particolare, molto ha scritto negli anni Augusto Gentili. Oltre al già citato contributo (Bessarione sì e no nel ciclo di Vittore Carpaccio per la Scuola degli Schiavoni, in particolare alle pp. 202-204 per un tentativo di svelamento del volto nascosto), si leggano Carpaccio e Bessarione, in Bessarione e l’Umanesimo, Catalogo della mostra (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana 1994), a cura di G. Fiaccadori, Napoli 1994, pp. 297-302, e Le storie di Carpaccio. Venezia, i turchi, gli ebrei, Venezia 1996, pp. 85-90. A tali testi va aggiunto anche il contributo di P. FORTINI BROWN, Sant’Agostino nello studio di Carpaccio: un ritratto nel ritratto?, in Bessarione e l’Umanesimo, cit., pp. 303-318.
257Per un’analisi del disegno si rimanda alla scheda di Bernard AIKEMA in Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano, cit., p. 219, n. 18.
258In merito si consulti il ricchissimo repertorio approntato in P. ZANKER-E.B. CHRISTIAN, Vivere con i miti. L’iconografia dei sarcofagi romani, Torino 2008.
congeniale alla propria richiesta di sopravvivenza “personalizzata”, ma lo si fa ricorrendo a un modulo, noto e a quanto pare ancor valido, sviluppatosi secoli e secoli prima.
Non vi sono invece mai stati dubbi, a partire dalla corretta lettura effettuata nel 1529 da Marcantonio Michiel, sul fatto che il protagonista della tela di Antonello da Messina, ora alla National Gallery di Londra, sia San Girolamo nello studio (fig. 40).259
Circondato da tutti gli attributi che ci si aspetterebbe di trovare attorno alla sua figura, il cardinale – secondo un’iconografia poco battuta ma che, come dimostrato, vanta comunque una tradizione trecentesca ripresa in ambito fiammingo all’inizio del Quattrocento260 – si appresta a leggere, seduto e visto di profilo. Quest’ultimo dettaglio
non è trascurabile: nell’ottica di una rappresentazione tipica anch’essa dell’età antica e ripresa con dovizia di esempi in età rinascimentale, si connota di inequivocabili rimandi celebrativi tanto quanto, al contempo, commemorativi. Di nuovo comunque un interno, un ambiente dedicato alla lettura e al silenzio, nel quale fanno bella mostra, come nel dipinto di Carpaccio, libri e strumenti di studio.
Uno scarto iconografico seppur minimo rispetto alla tradizione (l’assenza della barba dal volto dell’uomo)261 e l’impressione che le fattezze del protagonista siano così
singolari da svelare un intento ritrattistico alla base dell’opera, hanno pertanto autorizzato gli studiosi a indagare il viso nella prospettiva che vi possa essere celato un criptoritratto. Ed è qui che il quadro esegetico si è complicato in virtù di una serie di ipotesi identificative – ognuna presentata e sorretta da una mole di argomenti a supporto – che hanno finito inevitabilmente anche per influire sulla datazione dell’opera e sul
259M.A. MICHIEL, Notizia d’opere del disegno, ed. critica a cura di T. Frimmel (Vienna 1896), a cura di C. De Benedictis, Firenze 2000, p. 56.
260Sulla tavola si veda la scheda di Mauro LUCCO in Antonello da Messina. L’opera completa, cit., pp. 212-214, n. 31. Del piccolo dipinto si è occupato in più occasioni, tra gli altri, Lionello PUPPI ai contributi del quale si rimanda per rinvenire contesto, tradizioni iconografiche nonché possibili svelamenti criptici. Si vedano pertanto L. PUPPI, Un racconto di morte e di immortalità: «S. Girolamo nello studio» di Antonello da Messina, in Modi del raccontare, a cura di G. Ferroni, Palermo 1987, pp. 34-45; ID., Il terzo nome del gatto. Raffaello, la metamorfosi e il labirinto. Quesiti sul significato dell’arte, Venezia, 1989, pp. 119-125; ID., Antonello da Messina. San Girolamo nello studio, Cinisello Balsamo (Milano) 2003.; ID., Il San Girolamo di Antonello. Esercizio di lettura di un ritratto ’nascosto’, in Antonello da Messina. San Girolamo nello studio, Catalogo della mostra (Messina, Museo Regionale 2006), a cura di G. Barbera, Napoli 2006, pp. 21-30.
261Intorno alla barba si sofferma, quale dettaglio importante e differenza “sorprendente” nel tema, PUPPI, Il San Girolamo di Antonello. Esercizio di lettura di un ritratto ’nascosto’, cit., pp. 26-27.
luogo della sua possibile realizzazione (da Venezia a Napoli, e ritorno).262 Ogni teoria, in
realtà, ha inciso anche su tutti i tentativi di sistemazione sia biografica che cronologica intorno al catalogo del messinese. Sono stati presi in considerazione e vagliati, di volta in volta, i nomi di Alfonso V d’Aragona, il sovrano che tuttavia non fu mai cardinale; al pari di quelli di Nicola Cusano e Pietro Riario.263 Per finire (almeno per ora) con la tesi
circostanziata, ma al momento ancor anonima, che vede celato nell’immagine devozionale di san Girolamo il profilo d’una personalità veneta dotata di un’identità storica ben rintracciabile, verosimilmente morta da poco (da qui la resa di profilo), al tempo stesso cardinale e uomo di cultura. Non necessariamente di nome Girolamo, come la natura del ritratto in disguise autorizzerebbe a supporre: il cartellino, illeggibile già all’epoca di Michiel, sembra confermare di fatto tale aspetto prendendosi gioco dello spettatore e di tutti i suoi sforzi.264
La questione è affascinante e l’impasse che nasce da tali supposizioni non fa che rinsaldare l’impressione che alla base di dipinti di questo tipo ci dovesse essere un committente (forse poi anche soggetto in prima persona) conscio della forza che poteva avere un’immagine come questa, abile nel mescolare la propria identità reale con quella ben più proclamata e celebre di Girolamo. Le parole di Giovanni Aurelio Augurello, ricordate da Settis al cospetto dei soggetti “nascosti” nei dipinti di Giorgione, suggellano tale appassionata propensione per le immagini criptiche: “Molti esprimono molte opinioni, nessuno si trova d’accordo con un altro: ebbene, tutto ciò è ancor più bello delle immagini dipinte”.265
262Sulla base di una disamina iconografica approfondita e del confronto con le coeve realizzazioni fiamminghe Penny Howell Jolly ritiene che l’opera possa essere nata solo nel milieu napoletano, cfr. P.H. JOLLY, Antonello da Messina’s St. Jerome in his study: a disguised portrait?, in «The Burlington Magazine», 124, 1982, 946, pp. 26-29 (in cui già si avanza il nome di Alfonso V) e EAD., Antonello da Messina’s Sant Jerome in His Study: an iconographic analysis, in «The Art Bulletin», 65, 1983, 2, pp. 238-253. Tale tesi non viene condivisa invece da B. RIDDERBOS, Antonello’s Saint Jerome in His Study, in «The Burlington Magazine», 124, 1982, 952, p. 449, che propone a propria volta il nome di Cusano.
263Ripercorrono le diverse posizioni assunte dalla critica Bernard AIKEMA nella scheda in Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano, cit., pp. 214-217, n. 16, e Mauro LUCCO in Antonello da Messina. L’opera completa, cit., p. 214, in cui si ripropone – “a sfavore” del dipinto alla National Gallery – il confronto con il San Gerolamo nello studio realizzato da Lucas Cranach nel 1525 e ora a Darmstadt, verosimilmente un ritratto velato di Alberto di Brandeburgo. Sul nome di Niccolò Cusano si allinea invece senza riserve POLLEROSS (Das sakrale Identifikationsporträt, cit., I, p. 308).
264Le osservazioni più condivisibili, in merito al ritratto nascosto e a un suo possibile svelamento, sono di PUPPI, Il San Girolamo di Antonello. Esercizio di lettura di un ritratto ’nascosto’, cit., pp. 28-30. 265“Multi multa ferunt, eadem sententia nulli est: pulchrius est pictis istud imaginibus”; leggo la
In questo campo gli italiani, Antonello e poi Carpaccio, non furono tuttavia i primi a sperimentare la consuetudine che unisce nello stesso perimetro dipinto il binomio “religioso umanista”/“santo erudito”. Proprio lo spunto a indagare in tal senso l’opera della National Gallery nasce da una felice intuizione che, supportata da documenti e confronti stilistici, tende a riconoscere – solo per citare l’exploit più celebre – le fattezze del cardinale Albergati nel volto, ancora una volta, di san Girolamo nella tavoletta ora a Detroit attribuita alla bottega di Van Eyck (fig. 41).266 Tale scoperta non solo costituisce
un precedente importante all’opera di Antonello (oltre a configurarsi come “referenza fondamentale e inalienabile della fortuna figurativa del rinnovamento narrativo del tema di «San Girolamo nello studio»”267) ma s’inserisce a pieno titolo nel dibattito tra i
paralleli tra Nord-Sud delle Alpi in epoca rinascimentale. I casi oltramontani sono diversi e, sebbene alcuni di loro siano ancora allo stato di ipotesi, delineano un tessuto di scambi e possibili (ovviamente tutte da dimostrare) influenze reciproche anche nell’ambito delle immagini velate, oltre a ribadire la diffusione di una pratica che, come s’è accennato, travalica i confini nazionali.268
citazione in S. SETTIS, La Tempesta interpretata. Giorgione, i committenti, il soggetto, Torino 1978, p. 118.
266Intorno al dipinto, datato in modo variabile intorno al 1442, si sono soffermati comprensibilmente molti critici. Si vedano almeno gli interventi di E. HALL, Cardinal Albergati, St. Jerome and the Detroit Van Eyck, in «The Art Quarterly», 31, 1968, pp. 3-34; E. FAHY, A portrait of a Renaissance Cardinal as St. Jerome, in «The Minneapolis Institute of Arts Bulletin», 59, 1970, pp. 4-19; P.H. JOLLY, Antonello da Messina’s Sant Jerome in His Study: an iconographic analysis, cit., pp. 251-253; M. VALE, Cardinal Henry Beaufort and the ’Albergati’ Portrait, in «The English Historical Review», 105, 1990, 415, pp. 337-354; J. HUNTER, Who is Jan van Eyck’s “Cardinal Nicolo Albergati”?, in «The Art Bulletin», 75, 1993, 2, pp. 207-218, e E. HALL, The Detroit Saint Jerome in search of its painter, in «Bulletin of the Detroit Institute of Arts», 72, 1998, 1/2, pp. 10-37. Anche in merito all’attribuzione vi sono pareri discordanti: potrebbe verosimilmente trattarsi di una collaborazione tra Van Eyck e Petrus Christus, con quest’ultimo incaricato di completare il lavoro. Per un riassunto delle diverse posizioni si rinvia alla scheda di Bernard AIKEMA in Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano, cit., p. 212, n. 15. Il nodo della questione e, pertanto, dell’auspicato svelamento criptico ruota intorno al dibattuto riconoscimento dell’uomo effigiato, sempre da Van Eyck nel 1438 circa, nel Ritratto virile ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna, che condividerebbe con la tela di Detroit lineamenti e – nel caso dell’Albergati – anche il titolo cardinalizio.
267PUPPI, Il San Girolamo di Antonello. Esercizio di lettura di un ritratto ’nascosto’, cit., p. 28. Lo studioso non manca di ricordare quali siano stati i primi passi mossi in questa direzione atti a riconoscere dei ritratti nascosti di ecclesiastici nei panni di santi con cui, all’evidenza, sentivano una particolare affinità. Dell’analisi del Ritratto di Alberto di Brandeburgo come sant’Erasmo realizzato da Grünewald tra 1517 e 1523, e ora all’Alte Pinakotek di Monaco, si è occupato per primo WIND, Studies in Allegorical Portraiture I. II, cit., pp. 142-162, gettando le basi anche per il plausibile riconoscimento dello stesso cardinale nella tela di Cranach a Darmstadt.
268Prova ora a mettere in fila e ragionare in serie queste occorrenze POLLEROSS, Das sakrale Identifikationsporträt, cit., I, pp. 297-298, 305-312.