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II. Dalle biografie degli artisti alla ricostruzione di un fenomeno

II.2 Un primo setaccio

Un primo dato che affiora dallo spoglio, soprattutto se messo a confronto con i criptoritratti che verranno presentati nella seconda parte del lavoro, è la decisa preponderanza di volti velati rintracciabili all’interno di scene corali, prevalentemente di natura religiosa. Colpisce come vengano ricordate con scrupolo le fattezze precise di un determinato committente, o di un membro della sua famiglia, impegnati a ricoprire il ruolo di dramatis personae, e quindi parte attiva dell’episodio biblico o evangelico che si sta mettendo in scena. Quasi che, escluse poche eccezioni, ai compilatori non interessasse il ritratto singolo di per se stesso, benché singolare nel suo presentarsi “mascherato”. Quest’ultimo, nell’accezione per così dire “palese”, viene abbondantemente incluso nelle loro trattazioni. Diventa pregnante e interessante, proprio per il suo essere criptico, tuttavia solo nel momento in cui tale figura si mette in azione e partecipa attivamente alla scena dipinta. La vasta e articolata categoria di cripto-santi, quale esempio sintomatico di tale modo di procedere, si compone quasi esclusivamente di immagini singole che non hanno in pratica un parallelo scritto – legato alle biografie d’artista – a sorreggerle. Mentre numerosi sono i volti “noti” che Vasari e i suoi colleghi si impegnano a ricordare all’interno di pale d’altare, quali partecipanti a una santa assemblea riunita intorno alla Vergine o a Cristo stesso, o semplicemente impegnati a dare il proprio contributo all’episodio narrato.

All’interno di tali contesti “di gruppo”, un ulteriore elemento che emerge scorrendo le biografie prese in esame è il numero consistente di autoritratti: quasi un’urgenza da parte dell’artista di mostrarsi agli altri, sebbene spesso formalmente nascosto nelle fattezze altrui. Rintracciare, dalla prospettiva opposta degli storiografi, un’immagine fedele del volto dell’artista di cui si accingevano a parlare pare altrettanto importante. Di ognuno di loro si cita, o viceversa si evidenzia, l’impossibilità di reperire un ritratto attendibile da accompagnarsi alle parole. Va da sé che dove questo non fosse recuperabile tra gli autoritratti “palesi”, non risultava meno funzionale agli occhi dei compilatori ricavarne uno scorgendo i tratti del pittore inseriti all’interno di storiae pictae. L’artista ricompariva opportunamente mascherato ma, al tempo stesso, riconoscibile.103

Se le fonti della letteratura artistica non hanno mancato di registrare con scrupolo la convocazione cospicua di astanti e figuranti silenziosi (i quali, anche grazie agli storiografi, hanno potuto sottrarsi in tal modo all’oblio del tempo), accanto ai cripto- autoritratti ha iniziato progressivamente a ’svelarsi’ pure un’interessante serie di immagini in disguise di committenti, mogli, amanti, maestri, discepoli, conoscenti, amici illustri e protagonisti della scena politica, religiosa e intellettuale del tempo. Si tratta di soggetti e figure che ritornano con frequenza, di omaggi e riprese continue (a volte con qualche arresto) di determinate scelte: variazioni iconografiche che attestano e giustificano al contempo una pratica consolidata che permetteva all’effigiato di mescolare sulla tela, grazie al travestimento eletto per l’occasione, il proprio vissuto personale con un aspetto pubblico, condiviso e chiaro agli osservatori.

Alla luce di questi aspetti, un primo censimento, condotto solo sulla base di quanto si può ricavare dal dato scritto, può quindi rispondere almeno preliminarmente alla domanda relativa ai soggetti coinvolti in questo genere di dipinti, ossia chi interpreta chi sulla tela. Questi ultimi costituiscono assaggi significativi di quanto è possibile rinvenire all’interno delle Vite nel momento in cui esse vengono lette da tale particolare prospettiva d’osservazione. Tali casi al contempo si configurano come occorrenze

103Tale circostanza risulta particolarmente interessante nel caso dell’aretino allorquando, verosimilmente in risposta a un’esigenza visiva a integrare la sua fatica, moltiplicò rispetto all’edizione del 1550 le annotazioni relative alla possibilità di scovare il volto dell’artefice (lo stesso poi anteposto in apertura delle sue biografie). Facendo ricorso, se necessario e non sempre evitando fraintendimenti, a immagini criptiche.

interessanti che non hanno dato vita tuttavia a filoni d’indagine sviluppatesi oltre il semplice dato scritto o analizzabili, in virtù di quanto riportato, in un’ottica più ampia. Si possono prendere le mosse, cronologicamente in medias res, da un’annotazione di Vasari il quale – verosimilmente sulla base di quanto indicatogli dal suo principale informatore veronese, Marco de’ Medici (la questione implica una riflessione: desunzioni personali o trasmesse?) – ricorda come

[…] ritrasse questo pittore sé stesso in figura d’uno che serve a Cristo a portar l’acqua.104

Soggetto e, in questo caso, anche attore sulla scena, è Francesco Morone. Il palcoscenico l’episodio della Lavanda dei piedi, realizzata intorno al 1503 e conservata nel museo di Castelvecchio (fig. 11).105 Il giovane, in ginocchio, è in effetti l’unica

figura senza aureola della composizione e si trova a dividere il primo piano con il profilo di Cristo mentre il discepolo all’estrema sinistra esibisce il piede già scalzo. La datazione proposta per il dipinto ben si addice al profilo anagrafico dell’artista che, stando ai documenti d’archivio, all’epoca non doveva essere ancora trentenne. Il pittore, tra i primi casi di una lunga serie, “ci mette la faccia” quasi a firmare in modo più convincente e sentito la propria creazione.

La prassi non riguardava ovviamente solo la pittura. Già l’epoca medievale aveva conosciuto tali tipi di mascheramento significativo. Veste infatti i panni di un apostolo,

104VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, cit., V, p. 310.

105Sull’opera si leggano A. ZAMPERINI in Le Vite dei veronesi di Giorgio Vasari. Un’edizione critica, a cura di M. Molteni, P. Artoni, Treviso 2013, pp. 119-125: 121, n. 14, e le schede di Gianni PERETTI in Mantegna e le arti a Verona, 1450-1500, Catalogo della mostra (Verona, Palazzo della Gran Guardia 2006-2007), a cura di S. Marinelli, P. Marini, Venezia 2006, pp. 350-351, n. 104, e in Museo di Castelvecchio. Catalogo generale dei dipinti e delle miniature delle collezioni civiche veronesi. 1. Dalla fine del X all’inizio del XVI secolo, a cura di P. Marini, G. Peretti, F. Rossi, Cinisello Balsamo (Milano) 2010, pp. 272-273, n. 210, in cui viene opportunamente ribadita l’attendibilità delle informazioni di Vasari in merito al caso veronese frutto della presenza in loco di una serie di informatori autorevoli e precisi. Com’è evidente, tale circostanza non si ripeterà in modo costante per ogni scuola o realtà artistica locale presa in esame dell’aretino. Valga come caso esemplare lo studio condotto sulla Vita di Andrea Mantegna e sul ruolo chiave giocato da alcuni informatori nel passaggio dalla prima alla seconda edizione dell’opera ricostruito da C. HOPE, Andrea Mantegna nelle Vite vasariane, in Andrea Mantegna. Impronta del genio, Convegno internazionale di studi (Padova- Verona.Mantova, 8-10 novembre 2006), a cura di R. Signorini, V. Rebonato, S. Tammaccaro, 2 voll., Firenze 2010, I, pp. 3-13, e quello redatto intorno alla vita di Francesco Morone da P. PLEBANI, Verona e gli artisti veronesi nelle «Vite» di Giorgio Vasari, Milano 2012, pp. 121-125.

in atto di assistere all’Assunzione della Vergine, un non più giovane Andrea Orcagna nell’opera eseguita un secolo e mezzo prima per la chiesa di Orsanmichele a Firenze. Seguendo Vasari si scopre infatti che egli “ritrasse di marmo se stesso vecchio com’era, con la barba rasa, col capuccio avvolto al capo, e col viso piatto e tondo, come di sopra nel suo ritratto, cavato da quello, si vede".106 Di nuovo una scena di gruppo, ancora un

artista – mentre esibisce i tratti peculiari del suo volto – che si mette in posa: tuttavia, invece di guardare in direzione dello spettatore come farà di lì a un secolo Botticelli, partecipa attivamente ed emotivamente all’episodio di cui è parte integrante.107

Tornando alla pittura, ancora un’Assunzione offrì ad Andrea Del Sarto l’occasione di ritrarsi velato all’interno di un suo dipinto. La tavola si conserva ora alla Galleria Palatina di Firenze ma, come osserva correttamente Vasari, il figlio del committente, Bartolomeo Panciatichi "il giovane" la donò a Jacopo Salviati per la Villa di Poggio Imperiale, o Villa Baroncelli, come la si definiva all’epoca (fig. 12).108

In que’ medesimi tempi, facendo in Francia Bartolomeo Panciatichi il vecchio molte facende di mercanzia, come disideroso di lasciare memoria di sé in Lione, ordinò a Baccio d’Agnolo che gli facesse fare da Andrea una tavola e gliela mandasse là, dicendo che in quella voleva un’Assunta di Nostra Donna con gl’Apostoli intorno al 106VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, cit., I, 1878, p. 606; ripresa anche da

BALDINUCCI, Notizie de’ Professori del Disegno da Cimabue in qua, cit., I, p. 267. Nell’edizione del 1550 l’aretino era stato ancora più esplicito: “Fece in San Michele in Orto la cappella della Madonna, lavorata di marmo da uno altro suo fratello che era scultore e condotta al fine da lui nella scultura et architettura. Nella quale opera dietro alla Madonna fece di mezzo rilievo una Morte di Nostra Donna e l’Assunzion sua, et appresso alla fine della storia, a man sinistra, ritrasse sé, il quale è uno che ha il viso tondo e piatto, co ’l cappuccio avvolto alla testa, e sotto a tale istoria mise il suo nome: ANDREAS CIONI PICTOR ARCHIMAGISTER.", cfr. G. VASARI, Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue, insino a’ tempi nostri. Nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino [Firenze 1550], a cura di L. Bellosi, A. Rossi, G. Previtali, 2 voll., Torino 1990, I, p. 167. Discute l’autoritratto anche WOODS-MARSDEN, Renaissance self-portraiture. The visual construction of identity and social status of the artist, cit., pp. 43-44. Sull’opera si vedano invece G. KREYTENBERG, Orcagna. Andrea di Cione. Ein universeller Künstler der Gotik in Florenz, Mainz am Rhein 2000, pp. 97-124, figg. 280-281, e D. FINIELLO ZERVAS, Andrea Orcagna. Il Tabernacolo di Orsanmichele, Modena 2006, pp. 41-58 (p. 45 per l’autoritratto).

107"[…] fece i dodici Apostoli, che in alto guardano la Madonna mentre in una mandorla circondata d’Angeli saglie in cielo", così infatti completa il passo – dopo aver riportato l’annotazione criptica – VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, cit., I, p. 606.

108Sul dipinto si leggano le schede di Alessandro CECCHI in Andrea del Sarto 1486-1530. Dipinti e disegni a Firenze, Catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Pitti, 1986-1987), a cura di M. Chiarini, Milano 1986, pp. 122-124, n. XV, e quella redatta da Serena PADOVANI in La Galleria Palatina e gli Appartamenti Reali di Palazzo Pitti. Catalogo dei dipinti, a cura di M. Chiarini, S. Padovani, 2 voll., I, Firenze 2003, pp. 50-51, n. 51.

sepolcro. Questa opera dunque condusse Andrea fin presso alla fine, ma perché il legname di quella parecchie volte s’aperse, or lavorandovi, or lasciandola stare, ella si rimase a dietro non finita del tutto alla morte sua e fu poi da Bartolomeo Panciatichi il giovane riposta nelle sue case, come opera veramente degna di lode, per le bellissime figure degl’Apostoli, oltre alla Nostra Donna che da un coro di putti ritti è circondata, mentre alcuni altri la reggono e portano con una grazia singularissima; et a sommo della tavola è ritratto fra gl’Apostoli Andrea tanto naturalmente che par vivo; è oggi questa nella villa de’ Baroncelli, poco fuor di Fiorenza in una chiesetta stata murata da Piero Salviati vicina alla sua villa, per ornamento di detta tavola.109

Da osservatori moderni si sarebbe tentati di individuare le fattezze di Andrea celate nella figura al centro, in primo piano, che si volta verso lo spettatore (al pari del gesto mimato da Botticelli cinquant’anni prima). Le indicazioni di Vasari sono però diverse, e quel "a sommo della tavola" rimanda al profilo dell’apostolo all’estrema sinistra, proprio al margine della composizione.110 Non si è in questa sede interessati a ricostruire

i tratti del volto degli artefici ma solo a registrarne la comparsa, mascherata, all’interno delle loro realizzazioni. Sottolineando al contempo la netta differenza tra il ruolo dell’astante, ricoperto da tanti pittori in età moderna, e quello di chi ha osato interpretare una parte (sebbene marginale) nell’opera: qui Andrea del Sarto partecipa, da apostolo, all’evento miracoloso.

Se si allarga il cerchio spostando l’attenzione dalla rappresentazione di sé a quella delle persone più vicine al pittore, è l’ambiente familiare a venire spesso convocato per dare vita a tali immagini in disguise. Come si vedrà bene nei seguenti capitoli, inserire più membri della famiglia del committente all’interno dello stesso dipinto, celati in vesti altrui, risultava particolarmente efficace per imprimere alla composizione un pathos e una forza espressiva maggiore. In questo frangente si vorrebbe invece illustrare come talvolta le fonti sembrino vacillare, quando non cadere miseramente, al momento di annotare il coinvolgimento, velato, della cerchia domestica dell’artista. Almeno un paio di casi meritano di essere ricordati, in virtù del loro essere molto celebri, proprio perché sintomatici di un modo di procedere

109VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, cit., V, pp. 33-34.

110Cfr. PADOVANI in La Galleria Palatina e gli Appartamenti Reali di Palazzo Pitti, cit., pp. 50-51, n. 51.

nell’analisi delle opere che non si sottraeva mai alla possibilità di intravvedere un possibile ritratto “in veste di”.

Si devono entrambi a Carlo Ridolfi e interessano due grandi protagonisti della pittura lagunare tra Quattro e Cinquecento, Giorgione e Tiziano. Di ciascuno, lo storiografo, sulla scorta di quanto già osservato, a onor del vero, già da Vasari individua correttamente alcuni criptoritratti. Ma, se così si può dire, esagera facendosi prendere la mano quando, a proposito della pala realizzata da Zorzi per la sua Castelfranco arriva a sostenere che il pittore

[...] dipinse poi a Tuzio Costanzo, condottiere d’huomini d’armi la tavola di nostra Donna con nostro Signore Bambinetto; per la Parocchiale di Castel Franco, nel destro lato fece San Giorgio in cui si ritrasse, e nel sinistro S. Francesco, nel quale riportò l’effige d’un suo fratello, e vi espresse qualunque cosa con naturale maniera dimostrando l’ardire nell’invitto Cavaliere e la pietà nel Serafico Santo.111

A prima vista sembrerebbe tutto corretto (committente, ubicazione dell’opera, individuazione del soggetto principale) se non che la lettura dei volti del pittore e del fratello nei due santi ai lati della Vergine si palesa assolutamente priva di fondamento (fig. 13).112 Soprattutto se confrontata, per quanto concerne almeno l’effige di

Giorgione, con l’altro cripto-autoritratto – ricordato prima da Vasari e poi dallo stesso Ridolfi – nei panni dell’eroe biblico David intento a mostrare la testa di Golia.113

L’unica attenuante che interviene a difesa della tesi dello scrittore (e come si vedrà più avanti tutt’altro che secondaria) si deve all’identificazione del milite in san Giorgio e ai

111RIDOLFI, Le maraviglie dell’arte, cit., I, p. 97.

112Si ricostruisce la vicenda legata alla corretta identificazione del santo nella scheda curata da Alessandra ZAMPERINI in Giorgione, Catalogo della mostra (Castelfranco Veneto, Museo Giorgione, 2009-2010), a cura di E. Dal Pozzolo, L. Puppi, Milano 2009, pp. 493-495, n. 126. Ragiona sull’inesattezza dell’informazione fornita da Ridolfi anche E. DAL POZZOLO, La barba di Giorgione, in Giorgione, cit., pp. 207-224: 212-214, e successivamente in ID., Il fantasma di Giorgione. Stregonerie pittoriche di Pietro della Vecchia nella Venezia falsofila del ’600, Treviso 2011, pp. 35-50. Lo storiografo si rivela in realtà piuttosto indeciso su quella che doveva essere la vera facies del pittore e lo identifica a volte con la barba, come nell’incisione in apertura al medaglione biografico delle Maraviglie, a volte senza, quale si mostra (almeno ai suoi occhi) nella pala di Castelfranco e parimenti in una tela, oggi perduta, rappresentante David tra Gionata e Saul. Si tratta di una realizzazione che egli vide in casa di Andrea Vendramin riconoscendo, anche nel David, un autoritratto del pittore. Come si vedrà in seguito tale travestimento riveste, nella vicenda artistica e personale di Giorgione, ben altro peso.

rimandi che questo riconoscimento poteva implicare. Era infatti prassi consolidata all’epoca vestire i panni del santo di cui si portava il nome e, verosimilmente sul solco di tale tradizione, Ridolfi raccolse forse una voce locale e mise addosso a Giorgio da Castelfranco l’armatura del celebre guerriero delle fede.

Qualcosa di analogo si verifica anche al cospetto del Baccanale degli Andrii, licenziato da Tiziano tra il 1523 e il 1526 e ora conservato a Madrid, al Museo del Prado.

Nel secondo compose un numero de’ medesimi seguaci di Bacco misti con altre Baccanti, intorno ad un rivo di vino vermiglio, qual traheva il suo principio dal vicin colle, ove uno di loro disteso premeva copie d’uve, et in una di quelle ritratta haveva il Pittore una donna da lui amata detta Violante, alludendo al di lei nome con fior di viole, che havevale ritratto in seno, e in picciol breve scritto Tiziano.114

L’interpretazione “sentimentale” questa volta coinvolge niente meno che una presunta amante dell’artista, rappresentata nei panni di una discinta baccante in un contesto ebbro e felice (fig. 14). Non è la prima volta che si tende a riconoscere partner dei pittori all’interno dei quadri e non è la prima occasione in cui la tradizione incrocia i pennelli di Tiziano. L’allegoria di Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto ne è esempio lampante, anche per quanto concerne l’approccio della critica moderna: il dipinto è verosimilmente un doppio criptoritratto in vesti mitologiche, ma non vi sono elementi per affermare che vi siano celate le fattezze del cadorino e dell’amata Cecilia.115

Riconoscere in giovani graziose e disponibili a mettere in mostra il proprio corpo delle possibili consorti legittime al pari di meno impegnative compagne di letto dell’artista è stata, a quanto pare a lungo, tentazione forte.

Nondimeno a volte la realtà supera di gran lunga la fantasia – per quanto questa si nutra di romanticismo – e riesce a dare vita a immagini stranianti per uno spettatore moderno, ma evidentemente non così eversive all’epoca: per lo meno per qualche decennio. La curiosa vicenda che ruota attorno all’affresco raffigurante Il Papa in adorazione della Madonna col Bambino merita di essere ripercorsa per intero. Partiamo ancora una volta dalle parole di Vasari che, nella Vita di Pinturicchio, non manca di annotare come

114RIDOLFI, Le maraviglie dell’arte, cit., I, p. 172.

[…] in detto palazzo ritrasse, sopra la porta d’una camera, la signora Giulia Farnese nel volto d’una Nostra Donna; e nel medesimo quadro la testa di esso papa Alessandro che l’adora.116

Palazzo Farnese, appartamenti del Papa Borgia. Alessandro VI s’inginocchia di fronte alla Vergine in atteggiamento adorante. Nulla di inconsueto se si pensa alle occupazioni, e all’iconografia che le accompagna, consuete a un papa. Se non che, come non manca di sottolineare l’aretino, la Madre di Cristo ha i tratti di Giulia Farnese, celebre cortigiana e all’epoca amante del pontefice. Il dettaglio non dovette sfuggire, oltre che allo storiografo, ai successori di Alessandro VI che in un clima di piena damnatio memoriae murarono l’affresco e finirono con lo smembrarlo. Uno di tali frammenti, il cosiddetto Bambin Gesù delle mani, mutuando il nome dal dettaglio principale (oltre a quella della Madre ne compare “stranamente” anche una in basso, in atto di accarezzare un piede al Bimbo), è stato considerato per secoli come opera a sé stante, prima di tornare all’attenzione degli studiosi a inizio Novecento.117 Per la presente ricerca

preziosa è la copia antica, realizzata dal pittore mantovano Pietro Facchetti all’inizio del Seicento (fig. 15), che restituisce il quadro nella sua interezza: accanto al profilo del Borgia è possibile rivedere quello – criptico e, verrebbe da dire, blasfemo – della giovane favorita. In tale circostanza, la prima di una lunga consuetudine, risulta difficile escludere un coinvolgimento diretto del committente nell’ideazione del dipinto.118

116 VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, cit., III, p. 499.

117Il merito di aver ricostruito la vicenda spetta a F.I. NUCCIARELLI, Pinturicchio. Il Bambin Gesù delle mani, Perugia 2006.

118Sulla committenza, il programma iconografico e ii rapporti tra il pontefice e l’artista si rimanda a P. SCARPELLINI-M.R. SILVESTRELLI, Pintoricchio, Milano 2004, pp. 112-129. Il recente ritrovamento in collezione privata del secondo – e, verosimilmente, unico altro superstite – frammento del dipinto originale, ha portato una parte della critica a rivedere tale interpretazione e soprattutto negare che nel viso della Vergine si celi un ritratto nascosto (declassando così la testimonianza di Vasari a “diceria”). Il volto della Madonna presente nel dipinto ricomparso – a tutta evidenza il