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La differenza tra astanti – che ricoprono di fatto sempre e solo lo stesso ruolo, quello delle spalle narrative – e criptoritratti non fa altro che aggiungere un tassello, che si

artist, cit., pp. 43-53 (definiti, coerentemente, “witness in religious narrative”); BROWN, The painter’s reflection. Self-portraiture in Renaissance Venice 1458-1625, cit., pp. 57-67 (facendo proprio il termine “participant” inaugurato da Burckhardt); C.M. ROSENBERG, Virtue, piety and affection: some portraits by Domenico Ghirlandaio, in Il ritratto e la memoria. Materiali 2, a cura di A. Gentili, P. Morel, C. Cieri Via, Roma 1989, pp. 173-195: 173-187 (per le cappelle Sassetti e Tornabuoni). Sul tema si sofferma anche C. ACIDINI LUCHINAT, Viaggio nel sacro. Ritratti di Medici e d’altri contemporanei nella Cappella dei Magi, in Stanze segrete raccolte per caso. I Medici santi. Gli arredi celati, Catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Medici Riccardi 2004), a cura di C. Giannini, Firenze 2004, pp. 3-24: 14-23. L’inserimento di volti “noti” all’interno delle narrazioni dipinte quale tratto peculiare del nuovo spirito rinascimentale si affronta ancora in C. STRINATI, Il mestiere dell’artista. Da Giotto a Leonardo, Palermo 2007, pp. 92-99, 148-155.

73 Sul ruolo dell’artista e il suo processo di riscatto sociale in età moderna, anche attraverso l’autoritratto in veste di astante, si vedano i due contributi presenti all’interno della Storia dell’arte italiana. L’artista e il pubblico, Torino 1979 di P. BURKE, L’artista: momenti e aspetti (pp. 83-113), e A. CONTI, L’evoluzione dell’artista (pp. 117-263: 117-223). Fanno eccezione in questo ragionamento tutte quelle figure di astante “in veste di” testimone necessario, ovvero quei momenti in cui il miracolo o l’apparizione divina richiedono obbligatoriamente la presenza di “spettatori” perché l’evento si compia. È il caso, per esempio, delle Cene in Emmaus (alcune delle quali saranno trattate più avanti), in cui lo svelamento si fa addirittura doppio: non solo le effigi degli astanti nascondono dei volti riconoscibili e necessari all’episodio religioso narrato, ma la loro convocazione è, ovviamente, finalizzata a un riconoscimento devoto di un volto ben più significativo. Sulle rappresentazioni del tema, nella prospettiva delle nuove istanze religiose nate in età moderna, si veda A. OLIVIERI, Emmaus e la spiritualità religiosa nel Cinquecento. L’«utopia» del «convito», in Incontrarsi a Emmaus, Catalogo della mostra (Padova, Palazzo del Monte di Pietà, 1997), a cura di G. Mariani Canova, A.M. Spiazzi, C. Valenziano, Padova 1997, pp. 99-106.

74 “Tra il ritratto da protagonista […] e il ritratto da comprimario […] c’è una differenza storica fondamentale: quella che intercorre, in un’immagine, tra il valore attuale, strumentale, funzionale e il valore puramente commemorativo”, cfr. A. GENTILI, Bessarione sì e no nel ciclo di Vittore Carpaccio per la Scuola degli Schiavoni, in Il ritratto e la memoria. Materiali 2, cit., pp. 197-206: 205.

auspica chiarificatore, alla vasta opzione terminologica dispiegata in apertura di capitolo. Vale la pena, a questo punto, di ripercorrere, dalla prospettiva della storiografia e delle implicazioni teoriche alla base del genere, le caratteristiche assegnate nel tempo al ritratto, al fine di seguire la sua linea di sviluppo all’interno delle dialettiche rinascimentali. Va da sé, infatti, che per certi versi l’impasse lessicale relativa alle immagini velate trova la sua ragione d’essere nell’origine stessa del genere ’ritratto’ di cui quello criptico rappresenta una delle sue manifestazioni più emblematiche: del primo infatti, e delle riflessioni che lo hanno accompagnato nei secoli, porta con sé tutte le più fertili problematiche.

L’etimologia e la definizione del termine, così come la si può leggere ed evincere dai trattati e dai primi vocabolari del Seicento, classificano il ritratto sotto le rubriche della somiglianza e della caratterizzazione.75 Lungo queste due cifre si può seguire la linea di

sviluppo del genere, così com’è stata ampiamente ricostruita dalla storiografia degli ultimi due secoli (la quale ha potuto attingere a quanto ricevuto in eredità dagli autorevoli teorici precedenti).76

La letteratura artistica coeva aveva, infatti, già individuato e isolato tale aspetto significativo. Una sorta di dualismo, dalla natura pratica prima che teorica, traspare a chiare lettere negli scritti dedicati al tema da Leon Battista Alberti e Gian Paolo Lomazzo (e fra il 1436 del De pictura e il 1590 dell’Idea del tempio della pittura è racchiuso ben un secolo e mezzo),77 per trovare codificazione nella definizione che del

termine "ritratto" si può leggere nel vocabolario della Crusca. Nella prima edizione, del

75 Riassumono orientamenti cronologici e approcci critici, in un quadro complessivo sul genere, Claudia CIERI VIA nella premessa a J. BURCKHARDT, Il ritratto nella pittura italiana del Rinascimento, cit., pp. 7-15; EAD., L’immagine del ritratto. Considerazioni sull’origine del genere e sulla sua evoluzione dal Quattrocento al Cinquecento, cit., pp. 45-50, e A. ARCANGELI, Il ritratto e i miti dell’individualismo, in Il ritratto e l’élite: il volto del potere a Verona dal XV al XVIII secolo, a cura di L. Olivato e A. Zamperini, Rovereto 2012, pp. 11-20.

76 Può essere utile integrare le voci "enciclopediche" antiche con alcune curate da autorevoli specialisti del genere presenti nelle edizioni moderne. Bastino a riguardo G.C. ARGAN in Enciclopedia italiana di Scienze, Lettere ed Arti, XXIX, Roma 1936, pp. 468-481: 477-481; E. BATTISTI in Enciclopedia universale dell’arte, XI, Roma 1963, coll. 564-613: 583-592, e E. CASTELNUOVO, Enciclopedia europea, IX, Milano 1979, pp. 772-779, tutte ad vocem Ritratto.

77 ALBERTI, Della Pittura, cit., pp. 76-114. Riassumono e puntualizzano la concezione ritrattistica dell’Alberti POMMIER, Il Ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento all’Età dei Lumi, cit., pp. 30-33, e ora anche R. PREIMESBERGER, “The face that is known draws the eyes of all spectators... Leon Battista Alberti on the impact of the face in a painting”, in The Renaissance Portrait from Donatello to Bellini, Catalogo della mostra (Berlino, Bode-Museum-New York, Metropolitan museum of Art 2011-2012), a cura di K. Christiansen e S. Weppelmann, New Haven-London 2011, pp. 77-84.

1612, il rimando è sintetico, ma comunque atto a cogliere l’essenza propria del fenomeno ("effigiar che fanno i Pittori, cavando dal naturale, che diciamo propriamente ritrarre").78 Con la terza, uscita nel 1686 e ora forse non a caso a Firenze, l’accento cade

ancora sulla necessità di "trarre fuori", ovviamente dalla natura, allo scopo tuttavia di perfezionare in un secondo momento l’impressione ricevuta. Tale processo ha luogo proprio nella mente dell’artefice la quale "assembra" e restituisce. Il rimando all’ovidiano ut pictura poësis si palesa, in questo contesto, quasi come obbligato.79

Ritrarre è vocabol fiorentino, che significa esemplare, doviamo sapere, che la mente del poeta finge e compone, ritrae e assembra dal suo semplice concetto, cioè da quel che pensato, e mette poi fuori, o con voce o con iscrittura.80

Malgrado il ritratto, tra Quattro e Cinquecento, attraversi una profonda e felice mutazione – sulla scorta di sperimentazioni, dell’emergere di nuovi sottogeneri e sull’onda di rinnovate teorie – le sue prerogative principali paiono non esserne state intaccate.81 Esso non può prescindere dal principio di somiglianza, dato preliminare ad 78 Vocabolario degli Accademici della Crusca, con tre indici delle voci, locuzioni, e proverbi latini, e greci, posti per entro l’opera, Venezia, presso Giovanni Alberti, 1612, p. 729. Come ha notato Pommier l’Accademia fiorentina prende atto del lessico dettato dalla letteratura artistica, Vasari in primis, e vi si adegua; cfr. POMMIER, Il Ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento all’Età dei Lumi, cit., p. 6.

79 Sul rapporto tra parola e immagine, pittura e poesia (in merito al carattere delle Vite del Bellori, pressoché coeve a tale definizione) si veda anche P. SABBATINO, «La guerra e la pace tra ’l celeste e ’l vulgare amore». Il poema pittorico di Annibale Carracci e l’ecfrasi di Bellori (1657, 1672), in Ecfrasi: modelli ed esempi fra Medioevo e Rinascimento, a cura di G. Venturi, M. Farnetti, Roma 2004, 2 voll., II, pp. 477-511: 484- 488, 505-511.

80 Vocabolario degli Accademici della Crusca, in questa terza impressione nuovamente corretto, e copiosamente arricchito, 3 voll, Firenze 1691, III, p. 1399. Riprendono e contestualizzano l’autorevole definizione presente nella Crusca anche POMMIER, Il Ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento all’Età dei Lumi, cit., pp. 3-21 e CIERI VIA, L’immagine del ritratto. Considerazioni sull’origine del genere e la sua evoluzione dal Quattrocento al Cinquecento, cit., p. 46. Nulla aggiunge invece, a riguardo, il Vocabolario toscano dell’arte del disegno. Opera di Filippo Baldinucci fiorentino, rist. facs. dell’ed. Firenze 1861, a cura di S. Parodi, Firenze 1985, p. 137 (ad vocem Ritratto: “figura cavata dal naturale”).

81 Se Burckhardt coglie solo di sfuggita tale aspetto – sottolineando di fatto solo una diminuzione dell’individualizzazione (Il ritratto nella pittura italiana del Rinascimento, cit, pp. 198-200) – spetta a Castelnuovo discutere e articolare il fenomeno con chiarezza (Ritratto e società in Italia. Dal Medioevo all’avanguardia, cit., pp. 75-82). A tali argomentazioni vanno aggiunte quelle di Federico Zeri in grado di tracciare un’efficace panoramica del Cinquecento attraverso il filtro offerto dal ritratto: “In Italia, almeno fino al 1560 non accadrà mai che la persona dell’artista ceda al paradigma iconografico e tenda a minimizzare e ad annullare la propria presenza; o che nel personaggio effigiato i tratti fisionomici vengano a sortire il medesimo piano gerarchico delle vesti, degli ornamenti e dei segni della condizione sociale [...]”, cfr. F. ZERI, Pittura e controriforma. L’«arte senza tempo» di

ogni auspicata identificazione del personaggio effigiato: risalire a un nome da assegnare, in modo univoco, a un volto si è sempre palesato necessario di fronte a un ritratto. Soprattutto se a tali creazioni si accompagna la volontà di tramadare memoria di sé, in quanto individuo ben preciso, ai posteri.82 Il ritratto nasce a servizio

dell’identificazione, anche in quei frangenti in cui accanto alla somiglianza ha iniziato a farsi progressivamente largo una tensione idealizzante in grado di armonizzare e temperare il realismo proprio a ogni volto. Con la graduale democratizzazione del genere si avverte infatti forte l’urgenza da parte delle élite predominanti di allestire nuovi strumenti per differenziarsi ed emergere, anche grazie alla pittura, rispetto alle altre classi sociali.83 La spinta verso la caratterizzazione, che diventa evidente a partire

soprattutto dalla seconda metà del XVI secolo, avviene progressivamente e in concomitanza con lo sviluppo, all’interno di una società in evoluzione, di una tensione individualizzante. La velocità e il raggio d’azione di questo mutamento sono difficilmente misurabili, escluse poche avvisaglie precedenti, ma il cambiamento è sensibile e riguarda il fenomeno nella sua essenza.

Davanti a un ritratto – concepito tra la fine del Quattrocento e gli albori del Seicento – si è pertanto immancabilmente di fronte al risultato di un duplice procedimento: da un lato l’imitazione (la mimesis della tradizione classica) del dato reale, a diversi livelli e gradi; dall’altro, e in contemporanea, la selezione di alcune sue parti, traslate in un linguaggio via via sempre più simbolico e allegorico. L’aderenza al reale non è mai stata abbandonata del tutto ma la si è, di volta in volta, arricchita, confusa e abbellita inserendo sulla tela molto più di quanto un semplice ritratto richiedesse.

Alla luce delle domande poste in apertura, il cortocircuito – che scaturisce nel momento in cui i due aspetti si trovano mescolati in quell’oggetto, per alcuni versi straniante, che è il ritratto "in veste di" – è dietro l’angolo. La maggior parte dei dubbi tuttavia può essere fugata osservando il fenomeno da un diverso punto di lettura privilegiato: ovvero quello che fa riferimento allo scopo ultimo per il quale sono state commissionate,

Scipione da Gaeta, Vicenza 1997 (ed. orig. Torino 1957), p. 13.

82 Dalla prospettiva dell’autoritratto e con lo sfondo le considerazioni sulla pittura di Leon Battista Aberti, riflette di memoria e ’sfida’ al tempo C. FILIPPINI, Ritratto e autoritratto: qualche riflessione sull’humanitas tra Quattro e Cinquecento, in I volti dell’arte. Autoritratti dalla collezione degli Uffizi, cit., pp. 51-55.

83 CIERI VIA, L’immagine dietro al ritratto. Considerazioni sull’origine del genere e la sua evoluzione dal Quattrocento al Cinquecento, cit., pp. 9-29.

formulate e realizzate siffatte opere. Il potere esemplare della rappresentazione di un volto risiede infatti nella sua capacità di parlare con forza e incisività allo spettatore delle imprese, delle qualità e della storia di quell’individuo particolare.84 Non solo: la

resa sulla tela dei tratti di una determinata persona diventa a un tempo depositaria privilegiata di un vissuto nonché mezzo per evocare il passato dell’effigiato rievocando e ricostruendo quindi con i colori una vita che si connota per essere stata quanto meno significativa, e quindi da imitare. Nell’alludere alla ragguardevolezza del soggetto, il ritratto finisce per sostanziare con forza anche il concetto chiave di fama (tra le aspirazione più tipiche dell’epoca), chiamata a perpetuarsi in eterno. Il solco nel quale si trovano a interagire spinte idealizzanti e parimenti forti necessità di riconoscimento è infatti sempre quello della memoria. E questo avviene a prescindere dal valore – affettivo, morale, eroico, esemplare o, al contrario, anche diffamante – che si conferisce al ricordo.85 Il ritratto, che è rappresentazione in assenza di qualcuno, e pertanto spesso

anche nostalgia, nel momento in cui riesce a colmare un vuoto trascende il tempo e si fa risposta vincente persino sul distacco più definitivo incarnato dalla morte.86

L’interlocutore privilegiato di un’effige dipinta, in ultima istanza, può perciò considerarsi il tempo stesso inteso quale dimensione lunghissima in cui si dispiegano passato nostalgico a cui alludere, presente attivo che ferma i lineamenti di un volto preciso, e futuro che si fa speranza di fama e memoria eterna.87

84 A riguardo si veda POMMIER, Il Ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento all’Età dei Lumi, cit., pp. 8-19.

85 Celebre è il caso del non-ritratto (un drappo nero in cui campeggiava una scritta eloquente) che vide coinvolti a metà Trecento il doge Marin Falier, decapitato per giusta causa, e il Maggior consiglio lagunare. Si trattava di trovare la soluzione migliore per “ricordare” colui che a Venezia si era macchiato del crimine di cospirazione e tradimento nei confronti della Repubblica e dargli visibilità, in negativo, accanto agli illustri ’colleghi’ sulle pareti di Palazzo Ducale. Il risultato fu un “efficacissimo espediente, massimo deterrente per tutta la durata del governo aristocratico; sublime invenzione retorica che nega il diritto all’immagine infliggendo alla memoria stessa del doge la condanna a un’assenza ignominiosa e perpetua.”, cfr. G. ROMANELLI, Il ritratto assente: Marin Falier a Palazzo Ducale, in Le metamorfosi del ritratto, cit., pp. 51-62: 52.

86 Sul binomio morte-ritratto si legga ancora POMMIER, Il Ritratto. Storia e teorie dal Rinascimento all’Età dei Lumi, cit., pp. 33-37.

87 Visivamente il concetto ha trovato espressione perfetta nell’Allegoria di Tiziano ora alla National Gallery in cui ai tre volti corrispondono tre ritratti specifici della famiglia Vecellio (tra cui quello del pittore stesso) e tre diversi animali a simboleggiare lo scorrere del tempo e le peculiarità proprie a passato, presente e futuro. Per una lettura in tal senso si rimanda al celebre contributo di E. PANOFSKY, Tiziano. Problemi di iconografia, Venezia 1992 (ed. orig. New York 1969), pp. 147-168, per i riconoscimenti dei profili in particolare alle pp. 165-168; da integrare con A. GENTILI, Ancora sull’Allegoria della Prudenza, in «Studi Tizianeschi», IV, 2006, pp. 122-134, e con la scheda curata da Luisa ATTARDI in Tiziano, Catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale 2013), a cura di

Da questo punto di vista, di fronte a un ritratto (palese o criptico), accanto alla necessità di indovinare il "chi" sta sulla tela, diventa altrettanto interessante e suggestivo capire il "come" per giungere finalmente al "perché". Conviene tornare un attimo alla definizione di Castelnuovo: per criptoritratto s’intende "la rappresentazione del volto riconoscibile di un contemporaneo adattato all’immagine di un personaggio del passato". Vi si ritrova il soggetto (chi), il volto riconoscibile (quindi somigliante) di una persona reale e coeva all’artista e il medium dispiegato (come), singolarissimo. Vi è sottinteso il motivo (perché), che non potrà che rispondere alle regole e alle logiche della memoria. Non va a riguardo dimenticato come Ladner avesse definito tale mascheramento come una sorta di "segreto volutamente rivelato",88 il che, con un felicissimo ossimoro, preannuncia

come la volontà di riconoscimento del ritrattato predomini sull’aspetto "nascosto" sotteso a queste realizzazioni. Il tentativo di mitigare il realismo, connaturato all’identificazione dell’effigiato, al fine di idealizzare il soggetto e conferire allo stesso una facies più armonica ed esteticamente più convincente (ed emozionante), sfocia – alla luce di un’opzione che si connota come la più originale nel segmento storico- culturale preso in considerazione – in una resa che non può che essere allusiva, e in ultima analisi criptica.

Anche così il "mascherarsi" continua a rispondere in modo forte alla vocazione esemplare della ritrattistica, mescolando non solo le virtù personali ma anche quelle della maschera che si va ad incarnare, non perdendo quella peculiarità identificativa che lo qualifica. Il travestimento non suggerisce alcuna disparità fra la maschera e il volto, tra apparenza e dato reale. Denuncia, al contrario, una profonda adesione che si concretizza, in ultima istanza, in un’immedesimazione fortemente voluta e rivendicata a gran voce con l’altro, con l’alter ego eletto di volta in volta per l’occasione. La lettura corretta e decodificatrice del travestimento non potrà che condurre a uno smascheramento a tutto tondo del personaggio sulla tela. Riallacciando i fili tra biografia personale e "corredo emblematico"89 di contorno si può così aspirare a una

conoscenza, paradossalmente, più autentica dell’effigiato che trascende, senza

G.C.F. Villa, Cinisello Balsamo (Milano) 2013, pp. 258-261, n. 38 . 88 LADNER, Die Anfänge des Kryptoporträts, cit., p. 78.

89 L’espressione è in GENTILI, Lorenzo Lotto e il ritratto cittadino: Leonino e Lucina Brembate, cit., p. 160.

annullarla, la sua apparenza esteriore. Nell’abdicare alla rappresentazione diretta di sé stessi, a ben vedere, accanto alla ricercata ambiguità di partenza vi è spesso un’operazione complessa, intelligente, erudita e affascinante che ricorre alla metafora e all’allegoria portate ai loro estremi. Anche se lo strumento retorico di cui si fa maggior uso, al fine di combinare insieme personaggi contemporanei e storici, è senza dubbio l’analogia. Ereditata dal Medioevo, vera e propria arma a disposizione degli intellettuali e in genere degli uomini colti del Rinascimento, permetteva di visualizzare – in letteratura come nelle arti figurative – quel parallelismo che, nato in seno all’esegesi dei testi biblici, era in grado di sostanziare e giustificare il rapporto tra Sacre scritture e condotta morale del credente.90

All’origine di ogni ritratto che si presenti criptico viene da pensare pertanto vi possa essere stata una cerchia collegata e aggiornatissima sui gusti del tempo, costituita da artisti, committenti e intellettuali impegnati in un’operazione di montaggio sofisticata. Il risultato è un condensato pittorico e retorico in grado di superare la frammentarietà dei singoli attributi emblematici convocati sulla tela e di restituire un’immagine che, anche grazie al travestimento, si configura come unitaria e semanticamente ricca. Il tutto ovviamente appannaggio di una classe egemone al potere (politico, economico, sociale, militare), benestante e influente, che usa l’espediente pittorico del ritratto "in veste di" per autocelebrarsi tramite una referenzialità altra.

Questioni che pertengono alla somiglianza, alla riconoscibilità, all’individualità del protagonista di un ritratto sono da sempre, come s’è visto, alla base delle ricerche che ruotano intorno al “genere” e risultano essere quesiti fertili, benché complessi, in grado di sviscerare la tematica sotto molteplici punti di vista, ognuno dei quali porta con sé un grado di validità e un portato di conoscenza nuovo. Allo stesso tempo i concetti di tipizzazione, grado d’idealizzazione, stereotipia sono entrati a far parte del dibattito sul tema, soprattutto quando questo viene affrontato dalla prospettiva del mascheramento.

90 LADNER, Die Anfänge des Kryptoporträts, cit. p. 97. Al contempo, gli uomini del Rinascimento non paiono essere rimasti indifferenti – almeno per quanto concerne i criptoritratti con soggetti profani – ai concetti di “doppio” e “sdoppiamento”, fertile eredità proveniente dal mondo antico da tramutarsi su tela in raffinate soluzioni velate. Sul tema, basti M. BETTINI, Costruire l’invisibile. Il doppio nella cultura antica, in Il ritratto dell’amante. L’artista, la musa, il simulacro, Atti del convegno (Padova, 2007), a cura di S. Chemotti, C. Grazioli, F. Polato, R. Salvatore, Padova 2009, pp. 47-63. Di doppio, maschera e simulacri si discute anche in C. VIRDIS LIMENTANI, Simulazioni e simulacri, in Tempo e ritratto. La memoria e l’immagine dal Rinascimento a oggi, Padova 2012, pp. 9-27.

Agli occhi dei biografi antichi tali problematiche paiono tuttavia passare in secondo piano: gli interrogativi si spostano altrove (come quello ossessivo, e tipicamente rinascimentale, in merito alla resa "al naturale"),91 restituendo una panoramica della

consuetudine che se si fa, senza dubbio, più pragmatica non perde al contempo il suo fascino. Ripartire dalle vive parole di Vasari e dei suoi colleghi può aiutare ad aprire il quadro e definire, con ancor maggiore precisione, i confini del fenomeno.

91 “L’uso del ritrarre dal naturale, cioè di far le imagini de gl’uomini simili a loro, sì che da chiunque gli vede siano riconosciuti per quei medesimi, credo io che sia tanto antico, che nascesse in un punto insieme con l’arte stessa el dipingere”, cfr. LOMAZZO, Scritti sulle arti, cit., II, cap. LI, p. 374. Sulla