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SECONDA PARTE

III. 3 “Sub specie sanctorum”

III.3.4 Bello come un dio

Se la cifra distintiva che permette di scovare un ritratto all’interno di un’immagine devozionale è la presenza decisa di lineamenti specifici che segnalano, con discrezione, la doppia resa sulla tela (l’effigiato e la sua maschera), al cospetto dei criptoritratti realizzati da Bronzino tra gli anni ’30 e ’60 del Cinquecento tale impressione viene, quanto meno in apparenza, a mancare. La critica ha individuato ben sei criptoritratti, rubricati immancabilmente come allegorici, nella produzione del pittore: sei soggetti maschili, di cui due a tema sacro.281 In effetti, davanti all’immagine del San Sebastiano,

della Collezione Thyssen di Madrid (fig. 44), come a quella del San Giovanni Battista, che si conserva a Roma presso la Galleria Borghese (fig. 45), è difficile ragionare subito in termini di “ritratto”. La resa armonica dei corpi perfetti, modulati sull’antico e la pelle madreperlacea che risplende sotto la luce a tutto fanno pensare tranne che a un intento ritrattistico atto a fermare sulla tela tratti specifici e quindi, giocoforza, irripetibili nella loro unicità (imperfezioni e difetti compresi). A onor del vero, a un primo impatto si stenta anche a vedervi dei profili di santi, abituati a rintracciarli là dove la devozione e lo spirito tipico di tali figure si esprime grazie a una serie di attributi riconoscibilissimi disposti intorno all’effigiato al fine di facilitarne l’identificazione. Eppure, entrambe le tele di Bronzino meritano un posto all’interno di questa galleria, anche in virtù di tale ambiguità, spia dell’eterogeneità peculiare, come già si è visto, alle immagini “in veste di”.

La mezza figura del San Sebastiano viene solitamente datata intorno al 1530-35 (con una prevalenza verso il 1533),282 quindi significativamente qualche anno prima che il

pittore divenisse il favorito presso la corte dei Medici proprio in virtù dei molteplici ritratti realizzati nel corso degli anni per i membri della famiglia fiorentina.283 Il santo ha XVII secolo, a cura di P. Marini, G. Peretti, E. Napione, Cinisello Balsamo (Milano) 2018, p. 191, n. 218.

281Così, ad esempio, negli interventi del convegno del 2003 Les portraits du pouvoir. Codes et rhétorique de l’image du prince et l’État de la Renaissance au XX siècle, cit., e come già ricordato in BROCK, Bronzino, cit., pp. 163-180.

282Sulla tela si rinvia a BROCK, Bronzino, cit., pp. 163, 166-171, e alla scheda redatta da Janet COX- REARICK in Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici, Catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi 2010-2011), a cura di C. Falciani, A. Natali, Firenze 2010, p. 296, n. VI.1.

283Per il rapporto tra il pittore e la famiglia granducale si vedano S. PASTI, L’ascesa dei Medici e i ritratti come celebrazione del potere, in C. STRINATI, Bronzino, Roma 2010, pp. 83-120; M. FIRPO, Il Bronzino e i Medici, in Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici, cit., pp. 91-99, e E. CROPPER, Per una lettura dei ritratti fiorentini del Bronzino, ivi, pp. 245-255: 252-255.

l’aspetto d’un adolescente imberbe, i boccoli biondi scendono a incorniciargli il volto, le grandi mani sono bloccate in due gesti singolari: la sinistra è impegnata a giocare con la freccia mentre la destra gesticola in direzione di un misterioso interlocutore-spettatore. È seminudo, a eccezione d’un drappo rosa che partendo dalle spalle cade fino a coprirgli le gambe. Come è stato osservato da Maurice Brock l’impostazione della figura – in particolare il busto scultoreo visto leggermente di scorcio – è debitrice al celebre Torso del Belvedere, prototipo al quale il pittore si rifà in più di un’occasione.284 E il richiamo

a una sensibilità modellata sull’antico accresce, indubbiamente, l’appeal della figura. La memoria corre alla pratica del riuso: volti contingenti (condannati pertanto a essere transeunti) innestati su corpi classici perfetti, consuetudine diffusissima in età antica. In questo caso non si tratta di riutilizzo in senso proprio, ma piuttosto della possibilità di ripescare dal corpus artistico lasciato in eredità da epoche lontane quanto poteva risultare congeniale al proprio scopo. Il recupero della tradizione passava anche per questi dettagli (riconoscibilissimi agli occhi di un pubblico colto) e non mancò di applicarsi alle immagini velate.

Degli attributi consueti del martire resta ben poco: non c’è spazio per l’aureola e nemmeno per la palma. Alle sole frecce è affidato il compito di facilitare, esplicandola visivamente, l’identificazione. La quale, malgrado tali innegabili licenze iconografiche (andrebbe chiarito se da imputare solo al pittore o da dividere col committente), resta inconfutabile. Si tratta del profilo di san Sebastiano, protettore dalla peste e, in tal veste, invocato a Firenze proprio in quegli anni a seguito dell’epidemia che si abbatté sulla città.285 Tale contingenza storica – unita alla circostanza per cui Bronzino era all’epoca

membro della Confraternita responsabile della commissione di vari ex voto recanti l’immagine del santo – ha autorizzato una ricerca del possibile promotore (qui anche soggetto?) dell’opera proprio in quell’ambiente. Nessun documento fin qui rintracciato sgombra tuttavia il campo dai dubbi, lasciando l’effigiato nell’anonimato più totale. La

284BROCK, Bronzino, cit., pp. 166-167. Il dipinto non compare, né tra gli autografi né tra le opere attribuite, nel volume della serie dei “Classici dell’arte” dedicato al pittore. Viene tuttavia riprodotto un disegno, ora conservato agli Uffizi, che sebbene correttamente riferito agli Evangelisti per Santa Felicita (si tratterebbe di un foglio preparatorio per la figura di San Matteo), presenta innegabili somiglianze con la tela del San Sebastiano ora Thyssen. La serie di tondi – commissionata a Pontormo il quale si giovò dell’aiuto del giovane allievo – e la tela in questione condividono tra l’altro una medesima datazione intorno agli anni ’30 del Cinquecento; cfr. L’opera completa del Bronzino, a cura di E. Baccheschi, Milano 1973, p. 86, n. 6.1.

resa del volto del giovane, indubbiamente tanto bello da sembrare ideale, in realtà tradisce una volontà ben caratterizzante che esula dalla rappresentazione di un viso generico e continua ancor oggi a reclamare un auspicabile aggancio a un nome preciso. A margine delle vicende storiche, a ben vedere, l’impressione generale però è quella di trovarsi di fronte a un’opera la cui realizzazione e fruizione cadono nel privato. Anzi, verrebbe da dire, nel privatissimo.286 Le labbra socchiuse del santo, la luce nei suoi

occhi, il fascino tutto mondano che traspira dalla tela, lo rendono in apparenza un dipinto strettamente riservato in termini di ideazione e committenza, in cui alla devozione si mescolano – maliziosamente camuffati sotto altre vesti – messaggi allusivi di natura ben diversa. L’iconografia rimane quella del martire, che ben si prestava d’altra parte a presentarsi – come attesta la tradizione – in vesti succinte quando non quasi assenti, favorendo la nascita di immagini che al culto mescolavano (al pari di tante tele raffiguranti la Maddalena) spinte sensuali decisamente più terrene.287 Le frecce di

san Sebastiano sembrano qui alludere, più che a quelle del martirio, ai dardi di Cupido: non a caso, nella drammaticità dell’attimo fermato sulla scena, una trafigge il giovane sul costato mentre l’altra è rivolta all’esterno, forse in direzione della medesima persona a cui il cripto-santo si sta rivolgendo.288

286Avanza un’interpretazione di questo tipo BROCK, Bronzino, cit., p. 167.

287Su tale licenza iconografica ragiona anche V. SGARBI, Il dolce martirio di San Sebastiano tra tormento ed estasi, in San Sebastiano. Bellezza e integrità nell’arte tra Quattrocento e Seicento, Catalogo della mostra (Castello di Mirandola, San Secondo di Pinerolo, 2014-2015), a cura di V. Sgarbi, A. D’Amico, Milano 2014, pp. 13-23. POLLEROSS (Das sakrale Identifikationsporträt, cit., I, p. 291) rilancia la lettura in chiave omoerotica e, spingendosi oltre, la ripropone, forzandola, per un altro verosimile criptoritratto negli abiti del santo sul quale sfortunatamente non possediamo molti elementi per esprimere un giudizio. Si tratta del Martirio di san Sebastiano realizzato da Piero Pollaiolo all’incirca intorno al 1475 e ora alla National Gallery di Londra. Lo ricorda anche Vasari il quale, pur confondendo l’autore e assegnandone la paternità esclusiva al fratello Antonio, riprende l’opinione già espressa nel Codice Magliabechiano ad attestare la presenza di un ritratto velato: “E nella cappella de’ Pucci a S. Sebastiano de’ Servi, fece la tavola dell’altare che è cosa eccellente e rara, dove sono cavalli mirabili, ignudi e figure bellissime in iscorto, et il S. Sebastiano stesso ritratto dal vivo, cioè da Gino di Lodovico Capponi e fu quest’opera la più lodata che Antonio facesse già mai. ” (cfr. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori, cit., III, p. 292). Per un’analisi della tavola si leggano G. COLACICCHI, Antonio del Pollaiuolo, Firenze 1943, pp. XXI-XXIII; S. ORTOLANI, Il Pollaiuolo, Milano 1948, pp. 98-102, 212-213, e A. BUSIGNANI, Pollaiolo, Firenze 1970, pp. CXXXVI (nessuno dei tre, tuttavia, s’interessa del possibile ritratto nascosto di Gino Ludovico Capponi).

288Si parla esplicitamente di “allegoria dell’amore omosessuale” in STRINATI, Bronzino, cit., p. 77, e di “tipo sfrontatamente androgino” in COX-REARICK in Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici, cit., p. 296.

Probabilmente non si saprà mai se il giovane che ha prestato i tratti del proprio volto, calandosi nei panni del santo tormentato, si chiamasse effettivamente Sebastiano. Vi sono invece buone possibilità che nell’opera alla Galleria Borghese siano adombrate le fattezze di Giovanni di Giuliano di Cosimo I de’ Medici, chiamato a impersonare il celebre santo di cui portava il nome. Bronzino torna a rappresentare, sotto un’aura allegorica, un santo trent’anni dopo l’esperienza della tela ora Thyssen e lo fa riprendendone spunti e impostazione generale.289 Di nuovo si è di fronte a una nudità

classicheggiante che armonizza la figura nei limiti del dipinto grazie a un bilanciato equilibrio nella torsione doppia, in antitesi, di braccia e gambe (riemerge anche qui memoria della postura dell’archetipo al Belvedere).290 È, come è stato osservato dalla

critica, un “nudo virtuoso”291 che abbina un’impostazione modellata sull’antico (“quasi

più credibile come un Narciso alla fonte piuttosto che il Battista al Giordano”)292 al

dispiegamento sulla tela, questa volta sì, di alcuni degli attributi classici che accompagnano l’iconografia ufficiale di san Giovanni. La ciotola esibita nella mano destra, il vello caprino adagiato alla meglio sulle spalle, una pergamena sul bordo inferiore e una croce, vista di scorcio, al margine delle rocce sullo sfondo.

Sulla scorta di un confronto iconografico che ha potuto giovarsi di molteplici immagini del duca, l’identificazione del volto reale all’interno della tela è caduta – come svelato in apertura – sul profilo del figlio di Cosimo I de’ Medici ed Eleonora di Toledo.293 La 289Sul dipinto si vedano, per iniziare, FERRARA, Galleria Borghese, Novara 1956, p. 39; A. EMILIANI, Il Bronzino, Milano 1960, tav. 70 e L’opera completa del Bronzino, cit., p. 99, n. 85 (in cui si ricorda la firma “BRONZINO. FLOR. E.”, anticipando la datazione, sulla base di affinità stilistiche con gli affreschi della cappella di Eleonora da Toledo, al 1550 circa). Ne hanno discusso in modo più approfondito BROCK, Bronzino, cit., pp. 175-176, e Angela Maria MONACO in Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici, cit., p. 308, n. VI.7.

290BROCK, Bronzino, cit., p. 175. Sulla “nudità ideale” o “eroica”, la sua problematica derivazione da prototipi antichi e la ripresa durante la Rinascenza si veda l’articolato saggio di N. HIMMELMANN, Nudità ideale, in Memoria dell’antico nell’arte italiana. II. I generi e i temi ritrovati, cit., pp. 201- 278. In relazione alla produzione di Bronzino si rinvia invece a M. COLLARETA, La pittura e le sue sorelle. Il Bronzino di fronte al sistema delle arti, in Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici, cit., pp. 195-201: 198.

291MONACO in Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici, cit., p. 308. 292Ibidem.

293Bronzino aveva avuto occasione di ritrarre Giovanni I di Cosimo più volte durante la sua esperienza di pittore di corte. Purtroppo si tratta sempre di immagini – alcune molto celebri come il ritratto con cardellino che si conserva agli Uffizi e si data intorno al 1545 – che fissano i tratti infantili, o appena giovinetti, del futuro cardinale di casa Medici e quindi poco utili per un confronto diretto (si possono vedere in LANGEDIJK, The Portraits of the Medici, 15th-18th Centuries, cit., II, pp. 1011-1016, nn. 4-

6). Per un confronto “diretto” si veda anche S. PASTI, L’ascesa dei Medici e i ritratti come celebrazione del potere, cit., pp. 111-113, in cui all’immagine del cripto-Giovanni si affiancano quelle

carriera ecclesiastica di Giovanni, che portava il nome anche del protettore di Firenze, era stata già stabilita alla sua nascita e si avverò senza eccessivi intoppi fino all’epilogo tragico e prematuro per colpa della malaria. Mescolando tali elementi biografico- esistenziali e la datazione solitamente proposta per il dipinto, che calza bene con l’ipotesi di una raffigurazione di Giovanni non ancora diciassettenne, si è intravisto in questo mascheramento devoto – che si avvale di uno sguardo inquieto che traspare da un incarnato realistico, prima ancora di precisi confronti iconografici – un riferimento simbolico all’investitura del rampollo dei Medici, avvenuta proprio in quegli anni.294

La costruzione elegante, l’atmosfera rarefatta e la resa intellettualistica sulla tela ben si sposano tuttavia non solo con la cifra stilistica tipica del pittore, maestro nel realizzare immagini che fanno dell’astrazione e della formula idealizzante il loro punto di forza.295

Tale modus operandi si poneva alla base, come accennato quasi quale presupposto obbligato, di ogni ritratto in cui il soggetto protagonista fosse membro di una famiglia di rango, di solito in qualche modo anche detentrice del potere. Siffatte effigi, soprattutto quella del “criptoGiovanni”, potrebbero infatti ben rientrare nella casistica richiamata in apertura dei “ritratti di stato”, a ulteriore riprova della permeabilità delle categorie individuate in questa sede così come della presenza trasversale del fenomeno criptico. In tali opere la somiglianza fisionomica viene sovente in parte sacrificata in nome di una resa sofisticata che non ammette, per chi è ai vertici della società, un paragone inferiore

realizzate sempre da Bronzino del giovane a diciotto mesi (la già ricordata tela col cardellino) e a undici anni. Il riscontro fisionomico diventa invece più interessante se istituito con le diverse versioni del volto di Giovanni, in abito cardinalizio e quindi da datarsi dopo il 1560, realizzate dalla bottega del pittore. Al netto della patina allegorica e vagamente antica, cifra stilistica imprescindibile, alcuni tratti distintivi del volto ricordano da vicino quelli del protagonista della tela ora alla Galleria Borghese: gli occhi grandi e malinconici, i ricci a incorniciare (nascondendola) una leggera stempiatura, la piccola bocca dalle labbra carnose e, in generale, un volto dal quale traspare un’innegabile stanchezza. Cfr. LANGEDIJK, The Portraits of the Medici, 15th-18th Centuries, cit., II,

pp. 1009-1010, nn. 3 (a-j). L’opera compare anche nel catalogo allestito da POLLEROSS, Das sakrale Identifikationsporträt, cit., I, p. 167 (malgrado l’errata formulazione della nota legata al San Sebastiano).

294“Come hanno dimostrato gli interventi critici più recenti, il dipinto del Bronzino presenta infatti non un soggetto allegorico […] ma il vero ritratto del giovane principe Giovanni de’ Medici sotto le specie del suo personale santo patrono. Per quanto variamente censurata dalle autorità ecclesiastiche, questa usanza era abbastanza diffusa all’epoca e rappresenta in versante sacro di un modo di pensare che, sul fronte profano, prevedeva il ritratto sotto le specie di un personaggio della mitologia classica”: cfr. M. COLLARETA, La pittura e le sue sorelle. Il Bronzino di fronte al sistema delle arti, cit., p. 196. 295A riguardo anche L. BELLOSI, Il ritratto fiorentino del Cinquecento, in Firenze e la Toscana dei

Medici nell’Europa del Cinquecento. Il primato del disegno, Catalogo della mostra (Firenze, 1980), Firenze 1980, pp. 39-46.

a quello con la divinità (rappresentata, non a caso, quasi sempre nuda o semi-svestita). L’apparente impassibilità riscontrabile nelle espressioni dei volti, in ultima analisi, non sarebbe quindi sintomo di introversione personale o virtuosa forza morale (quando non indice di qualche forma di superiorità) quanto invece resa visuale di sentimenti che, lungi dall’essere privati, attengono alla sfera sociale. Il decorum, invocato con frequenza nella letteratura teorica dedicata al genere quale indispensabile segno di distinzione, imponeva un sobrio controllo di sé in ogni circostanza, quale segno tangibile della propria appartenenza a una classe elevata. Nel clima del manierismo fiorentino i criptoritratti di Bronzino rispondevano in pieno a queste direttive: al pittore spettava il compito di osservare il dato reale, riportarlo sulla tela con quel corredo minimo atto a favorire un’identificazione del suo effigiato, per poi liberare l’immagine di tutto quello che poteva minare la bellezza della resa nel suo insieme. In ultima analisi: imperfezioni, difetti e peculiarità tipiche di ogni volto e corpo.296 Se innegabile

pertanto è la presenza di un filtro stilistico volto all’impermeabilità e a un’aristocratica lontananza imputabile al pittore, è proprio la maschera criptica a permettergli di muoversi con agio, ammantando le sue composizioni di un velo ideale che sarebbe risultato più difficile giustificare davanti a un ritratto palese.