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SECONDA PARTE

III. 3.5 “Guardala, guardala, scioglie i capelli ”

III.3.8 Tableau vivant di famiglia

Pensò dunque con capricciosa invenzione trasformar quelli in quattro Santi, a quali le loro effigi si adattassero, che gli venne mirabilmente colto, in ciò anche dal caso aiutato; poiché, essendo i due fratelli smonti, pallidi, e di ciera piuttosto estenuata, venne d’uno di essi, con un tantin d’aiuto, a ricavar così a proposito un S. Domenico, e voltando l’altro in profilo, un S. Francesco, che a ciascun di essi più devota e insiem più propria fisonomica ed azione addattarsi con la più fina immaginativa mai bramato si fosse […] Delle due donne, una, che attempata viveva nel celibato, e dicono fosse la detta Donna Cecilia, co’ suoi stessi abiti neri e manto vedovile, che con tanto decoro e buon esempio usavasi allora, a confusione oggi della sì vana vedovanza, volta similmente in profilo, servì mirabilmente per una Santa Marta; e all’altra, che di fattezze non troppo riguardevoli trovavasi provista, posta qui davanti, mostrando che riguardasse la Beata Vergine in trono assisa, fece così voltar la faccia, che scoprendosi a pena la sola punta del naso, aggiontovi i capelli per le nude spalle sparsi, venne a far formare una creduta molto bella S. Maria Maddalena, quale, essendo ad essa dedicato l’altare, comandarono vi si figurasse.425

Mai come in questo frangente Cesare Malvasia si rivela tanto prodigo di informazioni, e non solo in prospettiva criptica. Il contesto è l’amplissima sezione che il biografo riserva, all’interno della Felsina, alla produzione dei Carracci, qui alle prese con il profilo di Ludovico. L’opera in questione, ora alla Pinacoteca di Bologna, è invece la Madonna col Bambino, angeli, i santi Francesco, Domenico, Maddalena e la donatrice Cecilia Bargellini Boncompagni (detta la Madonna Bargellini), firmata e datata, al 1588, sul bordo del secchiello in primo piano (fig. 78).426 Interpretata sovente anche

come una Madonna del rosario, per via degli angeli in alto che spargono dei petali, la tela (che dal punto di vista compositivo risente delle realizzazioni di Tiziano e di Paolo Veronese) si presenta come una grande pala d’altare in cui intorno al gruppo sacro

425MALVASIA, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, cit., I, p. 280.

426Sull’opera si leggano le schede in Bologna 1584. Gli esordi dei Carracci e gli affreschi di Palazzo Fava, Catalogo della mostra (Bologna, Palazzo Fava 1984), a cura di A. Emiliani, Bologna 1984, p. 185; quella redatta da Gail FEIGENBAUM in Ludovico Carracci, Catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico Archeologico e Pinacoteca Nazionale-Forth Worth, Texas, Kimbell Art Museum 1993), a cura di A. Emiliani, Bologna 1993, p. 48, n. 22, e quella curata da Anna STANZANI in Pinacoteca Nazionale di Bologna, Catalogo generale. 2. Dal Duecento a Francesco Francia, cit., pp. 231-236, n. 164.

formato dalla Vergine col Bambino – dislocato per l’occasione sulla destra, lungo la diagonale che taglia il dipinto, e in posizione rialzata – si raccolgono in adorazione e preghiera angeli, santi e pure la committente. Riconosciuta dalla critica come vera prima realizzazione ascrivibile alla maturità del pittore, colpiscono gli atteggiamenti caricati dei suoi protagonisti al pari dell’attenzione realistica che investe, e qui Malvasia non fa che confermare un’impressione visiva forte, i loro volti. Tale “liturgia di gesti indimenticabili”427 – che spaziano dalle pose antitetiche ed enfatiche delle braccia di san

Domenico e di quelle di san Francesco alla torsione del busto con la testa sollevata della Maddalena, passando per la devota e silenziosa adorazione di santa Marta, inginocchiata di profilo al centro del dipinto – trova infatti un corrispettivo in un’analisi fisionomica dei volti che carica la tela, nervosa e percorsa da un vivace spirito di urgenza narrativa, di un’eloquenza perseguita con tutti i mezzi figurativi a disposizione. Ed è in quest’ottica che verosimilmente si comprende anche la decisione di Ludovico, come già si è avuto modo di ricordare piuttosto scettico (almeno nelle intenzioni) nei confronti dei criptoritratti,428 di acconsentire alle richieste della committenza intenzionata a

comparire da protagonista all’interno del dipinto. I Bargellini avevano infatti chiesto di essere ritratti in ginocchio di fronte alla Madonna; in realtà solo a Cecilia venne concesso tale onore.429 La presenza viva degli altri è, ciononostante, resa in persona di

alcuni santi legati a doppio filo sia alla famiglia, nello specifico per quanto concerne la figura della committente, che all’originaria collocazione dell’opera. Seguendo Malvasia è possibile ritessere tale rete di rimandi, tutti nel solco della fede e del desiderio, da parte degli effigiati, di arricchire con le proprie sembianze terrene una pala già tanto espressiva.430

I due fratelli di casa Bargellini, che erano “smonti, pallidi, e di ciera piuttosto estenuata”, vengono calati alla perfezione nei panni di Domenico e Francesco, dai tratti tanto scarni quanto pulsanti: gli occhi di tutti i santi presenti sono rivolti verso la Vergine ad esclusione significativamente di quelli di Domenico, vero elemento

427 Così STANZANI in Pinacoteca Nazionale di Bologna, Catalogo generale, cit., p. 233. 428Infra, p. 75.

429Per questa e altre informazioni utili a contestualizzare tela e committenza, già MALVASIA, Felsina pittrice. Vite de’ pittori bolognesi, cit., I, pp. 278-280.

430Ma si veda come POLLEROSS, Das sakrale Identifikationsporträt, cit., I, p. 52, escluda sia la presenza di pia devozione che l’analogia sulla base del nome.

intermediario tra la dimensione sacra dipinta e quella reale dello spettatore. Costoro, com’è noto, erano i fondatori di due tra i più diffusi ordini mendicanti, legati all’epoca anche a quello dei carmelitani; e la pala era nata per una piccola chiesa chiamata “delle Convertite”, come attestato anche dal biografo, annessa proprio a un convento di suore carmelitane, atto a offrire ricovero alle donne che abbandonavano la professione di prostitute in cerca di una nuova vita. A tale circostanza e alla dedicazione dell’altare corrisponde in aggiunta nel dipinto la presenza, in basso a destra, non a caso di Maria Maddalena, nella sua veste di mirrofora, impegnata a far anch’essa da tramite – di nuovo la gestualità è lampante – tra la Madre e il Figlio e lo spettatore (potenzialmente ancora peccatore) situato fuori dal racconto dispiegato su tela. A una non meglio identificata donna della famiglia Bargellini spetta il compito di prestarle i tratti del volto, un profilo in realtà tanto candido quanto sfuggente, in cui dominano i lunghi capelli sciolti e la fronte alta. Molto più nota è la seconda presenza femminile che, seguendo ancora il biografo, vestì i panni di santa Marta, posta in posizione simmetrica di fronte alla penitente redenta. Si tratta di Donna Cecilia Bargellini Boncompagni, vedova “attempata” ma desiderosa di mostrarsi in perfetto ordine, sia interiore che esteriore, nel momento in cui esibisce i segni del suo lutto con tanto decoro.

Rivedendo le informazioni fornite da Malvasia, una parte della critica ha espresso dei dubbi sia sulla corretta identificazione della santa in posizione centrale (la quale in virtù degli attributi potrebbe essere interpretata anche come Chiara o Monica), che soprattutto sulla circostanza che sotto la sua figura tanto dimessa possa davvero celarsi un criptoritratto. La donna fu di fatto il vero motore del dipinto e la sua devozione, ora tutta consacrata al celibato, poteva ben permetterle di presentarsi essa stessa in vesti di suora carmelitana. Da questa prospettiva d’osservazione il secchiello con l’acqua benedetta e l’aspersorio non figurerebbero più quali attributi per Marta, ma semplici richiami a quelle pratiche di culto che suggerivano una purificazione dello spirito.431

La sua posizione rievoca in modo piuttosto evidente quella del committente “in abisso” tipico di tante realizzazioni dell’epoca.432 Dalla prospettiva del presente studio il suo 431Per Anna Stanziani, addirittura, si tratterebbe dell’unico vero ritratto (e non in vesti criptiche) presente nell’opera, a confronto con i connotati aristocratici rinvenibili nelle altre figure, cfr. Pinacoteca Nazionale di Bologna, Catalogo generale, cit., p. 235.

432Sul committente “in abisso” si veda il già ricordato A. CHASTEL, Favole Forme Figure, cit., pp. 191-200.

profilo ricorda tuttavia pure quello di un’altra donatrice anch’essa parte di un’assemblea sacra in cui trovavano posto diversi ritratti velati. Donna Cecilia condivide con Bartolomea Baialotti, donatrice nella veronese Pala delle Virtù, ben più che la resa devota a mani giunte.433 Entrambe si caricano dell’impegno di una singolare, in quanto

poco diffusa, committenza al femminile; entrambe sono vedove; entrambe si suppone credenti sincere (le testimonianze in merito a Cecilia sono compatte e si esprimono all’unisono). Entrambe, di nuovo, figurano di certo ben aggiornate sui gusti del tempo e decise a servirsi della maschera criptica per veicolare le loro aspirazioni religiose.

Per quanto noti e inseriti nel tessuto vivo della Bologna aristocratica e religiosa di fine Cinquecento – i profili delle torri nel paesaggio che si apre sullo sfondo alludono e contestualizzano in maniera evidente, se ancora ce ne fosse bisogno, la provenienza cittadina della casata – i Bargellini non potevano neanche lontanamente vantare la fama della seconda grande famiglia che, solo qualche anno prima, si mise in posa al completo (almeno nelle intenzioni) di fronte a un pittore. È il 1575, estremo ben visibile nel libro posto tra le mani di santa Caterina, quanto Giovanni Maria Butteri all’interno della pala con la Madonna col Bambino, sant’Anna e santi decise di adombrare nei nove volti chiamati a comporre la sacra conversazione i tratti reali appartenenti a diversi membri della famiglia Medici (fig. 79).434 Tanto da giustificare per l’opera, ora a Firenze ma

realizzata verosimilmente lontano dal centro toscano, anche la denominazione di I Santi Medici.

Al netto di un’innegabile impressione visiva, alcuni di loro sono stati riconosciuti senza tentennamenti sulla base di lampanti e confortanti confronti fisionomici con le ben note fattezze dei signori della città.435 Sulla sinistra si distinguono Cosimo I e il figlio 433Discutono il ruolo della “vedova committente” E.J. CAMPBELL, Prophets, Saints, and Matriarchs: Portraits of old Women in Early Modern Italy, cit., pp. 824-828, e – nello specifico del caso di Cecilia Bargellini – MURPHY, Il teatro della vedovanza. Le vedove e il patronage pubblico delle arti visive a Bologna nel XVI secolo, cit., pp. 399-401.

434La bibliografia sulla tela è molto esigua. Si rimanda qui alla scheda di Karla LANGEDIJK, in occasione della prima mostra in cui fu esposta, in Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquecento. Palazzo Vecchio: committenza e collezionismo, cit., p. 289, n. 573, e più recentemente a S. MELONI TRKULJA, I Medici santi. La sottile identificazione di alcuni membri della famiglia come santi dalle doti particolari, in Stanze segrete raccolte per caso. I Medici santi. Gli arredi celati, cit., pp. 25-42: 32-35.

435Per i riconoscimenti quasi “certi” e il rispettivo svelamento si legga MELONI TRKULJA, I Medici santi. La sottile identificazione di alcuni membri della famiglia come santi dalle doti particolari, cit.,

secondogenito, Ferdinando, nelle vesti dei santi Cosma e Damiano, antenati mitici, guaritori nonché protettori dell’intero casato. Dal lato opposto rispetto alla Vergine si scorgono invece Francesco I e il cognato, Paolo Giordano Orsini, presentati armati di tutto punto e in atto di reggere uno stendardo (forse nei panni dei santi Giorgio e Flaviano).436 Ai piedi del padre, forse seduta a terra, si pone Isabella de’ Medici – figlia

di Cosimo e moglie di quell’Orsini nei panni del santo sull’estrema destra – per l’occasione in figura di santa Caterina. Accanto a tali “svelamenti” la critica ha proposto di aggiungervi quelli che coinvolgono sant’Anna (una Maria Salviati incaricata di riunire due rami diversi della famiglia in virtù, forse, del portare la maschera di colei che era protettrice di Firenze), la Madonna (Eleonora di Toledo) e i Bambini (alcuni dei giovanissimi rampolli di casa Medici).437

La tela è un efficace mix nel quale convivono, celati nei profili di altrettante figure religiose tutte munite di aureola, personaggi che all’epoca della realizzazione dell’opera non potevano in realtà condividere anche lo spazio della vita reale. Alcuni di loro infatti – tra cui Cosimo I, Eleonora di Toledo e il piccolo Garzia, chiamato forse a interpretare san Giovannino – erano già morti da anni. Nel tentativo di indovinare quali ragioni di natura devota o, quanto meno di armonia familiare, fossero alla base di una realizzazione di questo tipo, la prima spinta si potrebbe verosimilmente rinvenire in un possibile e accorato ricordo proprio del signore di Firenze, morto nel 1574. Se invece la committenza fosse da ascriversi all’Orsini, potrebbe trattarsi della volontà da parte del genero di mettersi in luce.438 Pare tuttavia più corretto vedervi, al netto di qualsivoglia

afflato religioso o commemorativo, la visualizzazione di una chiara prosopopea dinastica che viene calata tutta in una prospettiva encomiastica.439

L’eccezionalità della realizzazione risiede tuttavia proprio nella quantità di membri familiari, e pertanto volti velati ma ben riconoscibili, convocati per l’occasione. I Medici infatti non erano nuovi, singolarmente, a soluzioni di questo tipo. Se non va

pp. 33, 35.

436La proposta a favore di questi due santi guerrieri è di Langedijk in Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquecento, cit., p. 289.

437POLLEROSS (Das sakrale Identifikationsporträt, cit., I, p. 126) rifiuta l’identificazione del Bambino con Piero de’ Medici, mentre accetta quella di Giovanni de’ Medici (figlio di Eleonora) nei panni del san Giovannino (ivi, p. 167).

438Discute le due possibili interpretazioni alla base della tela MELONI TRKULJA, I Medici santi. La sottile identificazione di alcuni membri della famiglia come santi dalle doti particolari, cit., p. 35. 439 In cui vengono cioè applicate le ’convenzioni’ ritrattistiche proprie allo State portrait.

dimenticato il mascheramento criptico adottato dallo sfortunato Giovanni nella già incontrata tela ora alla Galleria Borghese,440 almeno altri due casi meritano di essere

citati in quanto sintomatici della predilezione mostrata dalla famiglia nei confronti di tale consuetudine ritrattistica. Si devono entrambi al pennello di Giorgio Vasari – il quale curiosamente li ricorda senza accennare tuttavia al travestimento – e trovano ora collocazione in Palazzo Vecchio nel cosiddetto quartiere di Leone X.441 Si tratta di due

lunghi pannelli verticali chiamati a contornare la grande tela con la Madonna dell’Impannata di Raffaello. A sinistra si poteva vedere Cosimo I come san Damiano, mentre sul lato opposto Cosimo il Vecchio in veste di san Cosma (figg. 80-81).442 Se per

entrambe le realizzazioni è evidente il debito formale e stilistico contratto dall’aretino con i precedenti ritratti dei signori di Firenze realizzati rispettivamente da Pontormo e Bronzino (ai quali conviene tornare per un incoraggiante confronto sul piano fisionomico, figg. 82-83),443 il richiamo iconografico è di nuovo alle vesti consone, e

pertanto alle prerogative e virtù, dei due fratelli medici, investiti un secolo prima del ruolo di patroni della famiglia e pertanto parte integrante del grande pantheon mediceo.444 Si è di fronte, anche in questo frangente, alla rappresentazione di un 440Infra, pp. 126-127. Sull’uso politico del culto si veda anche SPAGNOLETTI, Le dinastie italiane

nella prima età moderna, cit., pp. 333-350. 441Lo fa all’interno delle Ricordanze, 1561, c. 24v.

442Ragiona le due tele ancora MELONI TRKULJA, I Medici santi. La sottile identificazione di alcuni membri della famiglia come santi dalle doti particolari, cit., pp. 30-32. In coda alla scheda sul dipinto di Butteri, Karla Langedijk, dopo aver sottolineato la singolarità dell’opzione ritrattistica “di famiglia”, osserva in modo piuttosto discutibile come “ritratti allegorici di membri della famiglia Medici sono rari nel Cinquecento, e soprattutto rari sono i ritratti nelle sembianze di santi”, cfr. Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquecento. Palazzo Vecchio: committenza e collezionismo, cit., p. 289.

443Per una lettura e contestualizzazione dell’effige di Pontormo, realizzata nel 1518 e ora agli Uffizi, nel clima segnato dal ritorno dei Medici al potere si veda K.W. FORSTER, Metaphors of Rule. Political and history in the portraits of Cosimo I de’ Medici, in «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», 15, 1971, 1, pp. 65-104: 67-69, e LANGEDIJK, The Portraits of the Medici, 15th-18th

Centuries, cit., I, p. 389, n. 12. Una replica autografa del Ritratto di Cosimo I, sempre non in armatura, si conserva invece alla Galleria Sabauda di Torino: per un confronto si legga J. COX- REARICK-M. WESTERMAN BULGARELLA, Public and private portraits of Cosimo de’ Medici and Eleonora di Toledo: Bronzino’s paintings of his ducal patrons in Ottawa and Turin, in «Artibus et Historiae», 25, 2004, 49, pp. 101-159: 109, 110, n. 9a.

444Cosimo il Vecchio e poi Cosimo I si sarebbero entrambi calati, in un’ideale passaggio di consegne, nel ruolo di Medicus (come denunciato dal nome di famiglia), ovvero di colui incaricato di curare i mali della città toscana ristabilendone la pace. A riguardo si veda A. CHERUBINI, Nato sotto una buona stella. Pensieri sull’iconografia militare e civile di Cosimo I nei ritratti di Bandinelli, Del Bronzino e di Vasari, in Baccio Bandinelli, scultore e maestro (1493-1560), Catalogo della mostra (Firenze, 2014), a cura di D. Heikamp, B. Paolozzi Strozzi, Firenze 2014, pp. 230-243: 241, in cui all’interno di una ricca carrellata di immagini criptiche di Cosimo I trova posto anche quella in veste di san Damiano.

defunto, Cosimo Pater Patriae, e di un personaggio vivente: i due, tra le più eminenti figure della storia fiorentina, si palesano avvolti in ampi mantelli che alludono alla professione medica senza al contempo celare gli attributi significativi del loro potere.445

Anzi i due aspetti si fondono, in una prospettiva quasi di continuità generazionale, allorquando si sposta il piano di lettura delle realizzazioni a un diverso livello semantico: i mali di cui sono chiamati a occuparsi tali illustri guaritori non alludono più infatti alle sofferenze del corpo ma agli altrettanto preoccupanti patimenti dello stato. Il richiamo, già medievale e poi protrattosi oltralpe lungo tutto il Seicento e Settecento francesi, alla presunta sacralità del corpo del re e, di conseguenza, a un’investitura quasi divina che coinvolgerebbe la figura del sovrano, potrebbe anche in questo caso aver avuto la meglio su una sincera spinta di carattere devozionale, evocando un’aspirazione molto più terrena e, per certi versi, potente.446

445L’occorrenza criptica qui indagata, che ruota intorno alla famiglia Medici, ha radici che risalgono a ben prima delle opere propagandistiche approntate da Vasari alla fine del Cinquecento. Se già si erano visti alcuni suoi esponenti, con a capo proprio Cosimo il Vecchio, prostrarsi in adorazione della Vergine nella tavola di Botticelli, colpisce ritrovare di nuovo il profilo del Pater patriae all’interno del gruppo di Enea e Anchise sui muri affrescati da Raffaello in Vaticano (e anch’essi già incontrati in apertura del presente lavoro). L’anziano troiano condivide con il signore di Firenze gli stessi lineamenti, così come sono stati fissati e consegnati alla tradizione da tante medaglie celebrative. Secondo la lettura di John Shearman egli qui sarebbe oggetto privilegiato della pietas messa in mostra dal pontefice Leone X (uno dei papi Medici), grande committente ed ispiratore dell’impresa pittorica, impegnato a mostrarsi per l’appunto pietoso – come imponeva la fama di “uomini di pace” che avvolgeva il casato – sia verso la sua famiglia che nei confronti della Chiesa stessa. A riguardo, oltre a SHEARMAN, Il mecenatismo di Giulio II e Leone X, cit., p. 229, si veda anche G. BECATTI, L’incendio di Borgo: iconografia delle antichità. Precisazioni sulla terza Stanza di Raffaello in Vaticano, in «Accademia Raffaello. Atti e studi», 2, 2011, pp. 9-28: 20-25, per un’ulteriore contestualizzazione della presenza di Cosimo-Anchise e di un non meglio identificato, e identificabile, secondo membro della famiglia Medici nei panni di Enea.

446Sul tema si legga S. BERTELLI, Il corpo del re. Sacralità del potere nell’Europa medievale e moderna, Firenze 1995, da integrare con M. BLOCH, I re taumaturghi. Studi sul carattere sovrannaturale attribuito alla potenza dei re particolarmente in Francia e in Inghilterra, Torino 1973, in cui sebbene il focus cada sulla realtà europea di età moderna si delinea una figura di regnante con la quale, con i dovuti distinguo, avrebbero voluto identificarsi anche i signori di Firenze. Richiama tale opzione, in modo dubbioso, anche MELONI TRKULJA, I Medici santi. La sottile identificazione di alcuni membri della famiglia come santi dalle doti particolari, cit., p. 32. A tale contesto politico- religioso può coerentemente appartenere anche la statua di Cosimo I de’ Medici come Giosuè, realizzata intorno al 1570 da Zanobi Lastricati e Vincenzo Danti e destinata alla cappella di San Luca all’interno della Santissima Annunziata. Il signore di Firenze, che era al contempo anche patrono dell’Accademia, vi compare (al netto della consueta stilizzazione dei tratti del volto) all’indomani del conferimento del titolo, da parte di Pio V, di Granduca. L’assimilazione tra la sua nuova posizione, e un generale assestamento e rinforzamento del potere, e quella ricoperta dal successore di Mosè si