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II. Dalle biografie degli artisti alla ricostruzione di un fenomeno

II.1 Nero su bianco: le immagini velate

Il quadro d’insieme che emerge dall’analisi delle fonti provenienti dalla letteratura artistica è ricco e multiforme per numero di occorrenze e modalità in cui esse si presentano. Premesso come non si tratti di una panoramica esaustiva di tutti i casi di immagini velate esistenti, la ricognizione operata sulle biografie d’artista, tuttavia, è stata la prima occasione per entrare in contatto con i ritratti “in veste di”, attraverso il tramite di una voce autorevole. E al contempo per mettere a fuoco preliminari spunti – soprattutto di natura iconografica – tra i diversi artisti (quasi sempre registrati dagli attenti compilatori) al fine di recuperare agganci significativi da un volume all’altro quanto, a volte, mancanze parimenti sintomatiche. Non mancano altresì, all’interno dei repertori consultati, lacune, spesso dicerie, nonché accenni solo indiziari che di frequente non hanno prodotto apporti rilevanti.92 Le informazioni sovente si sono

rivelate vaghe o non del tutto corrette, come gli studi moderni hanno avuto modo di dimostrare in seguito; le imprecisioni non sempre hanno permesso di ricollegare l’occorrenza scritta a un’opera reale o ancora esistente; non da ultimo la suggestione dettata da un gusto o dal cedere a una moda del momento, ha autorizzato letture rivelatesi alla prova dei fatti del tutto prive di fondamento. In talune occasioni è lo storiografo stesso a palesarsi, per i motivi più disparati, come poco attendibile. Spesso infine la lontananza temporale, non di rado nel contempo anche materiale, dalle opere e dagli artisti di si cui tratta ha influito minando la veridicità, per esempio, delle affermazioni di Carlo Ridolfi in merito ai protagonisti del palcoscenico lagunare a

92 Ragiona in negativo registrando, accanto a un cospicuo numero di occorrenze, le mancate citazioni di criptoritratti nell’opera di Vasari in relazione al contesto veronese A. ZAMPERINI, In competizione con l’antico e la natura: il ritratto a Verona nel Quattro e Cinquecento, in Il ritratto e l’élite: il volto del potere a Verona dal XV al XVIII secolo, cit., pp. 21-69: 51. La studiosa usa, indifferentemente, il termine ritratto allegorico e criptoritratto per elencare una serie di opere che, con diversi gradi di plausibilità, possono ben rientrare nella categoria dei ritratti “in veste di”.

cavallo tra ’400 e ’500 sollevando più di qualche dubbio sulla sua conoscenza effettiva delle dinamiche sottese alla nascita di determinate creazioni.93

L’interesse per la tematica ritrattistica, che si sostanzia nella volontà di indicare le fattezze precise di un dato individuo, è nondimeno pronunciato. Non per niente, infatti, nelle gallerie di uomini illustri – felice ripresa in epoca rinascimentale di una tradizione antica che ha le sue radici nel mondo greco-romano – si vedono sfilare uno dietro l’altro i profili, generalmente le teste, d’individui celebri.94 Al pari di quanto accade in apertura

delle più significative biografie d’artisti nel Cinquecento, in cui sono i volti dei pittori (ma anche degli scultori e degli architetti) a guadagnarsi una visibilità e una ribalta fino ad allora inedite.

Un approccio di natura lessicale innegabilmente difficoltoso accomuna tutti i testi presi in esame e invita al contempo a tenere in giusta considerazione la temperie culturale in cui questi videro la luce. Come anticipato, nessun storiografo antico usa il termine “criptoritratto” ma si affida a locuzioni altre (per il lettore autentiche parole-chiave e spie fondamentali) che individuano nondimeno, quasi sempre in modo chiaro, la prassi del farsi ritrarre in vesti altrui. Questa auspicata ricerca di un volto “noto” all’interno di un dipinto sembra però talvolta confondersi e, immancabilmente, complicarsi con la

93 Per un inquadramento sulle biografie del vicentino si leggano L. PUPPI, La fortuna delle Vite nel Veneto dal Ridolfi al Temanza, in Il Vasari storiografo e artista, Atti del congresso internazionale (Arezzo-Firenze, 1974), Firenze 1976, pp. 405-437, e P. SOHM, La critica d’arte del Seicento: Carlo Ridolfi e Marco Boschini, in La pittura nel Veneto. Il Seicento, II, a cura di M. Lucco, Milano 2001, pp. 725-726; da integrare ora con A. POLATI, Il Cavalier Carlo Ridolfi (1594-1658). La vita e l’opera pittorica, Vicenza 2010, pp. 53-61, e ID., Da Ridolfi a Boschini: il contesto, le strategie e il pubblico, in Marco Boschini. L’epopea della pittura veneziana nell’Europa barocca, Atti del Convegno di Studi (Verona, 2014), a cura di E. Dal Pozzolo, P. Bertelli, Treviso 2014, pp. 176-189. Per l’aspetto ritrattistico si legga anche ID., Nel cantiere delle Maraviglie dell’arte. Genesi, contesti e peripezie delle Vite di Carlo Ridolfi (1648), tesi di dottorato in Beni Culturali e Territorio (XXVII ciclo), a.a. 2015-16, tutor B. Aikema, Verona 2016, pp. 99-111.

94 Cfr. POMMIER, Il volto di Lomazzo, cit., pp. 61-68. Sulle gallerie degli uomini illustri (a partire da quella di Paolo Giovio, ma non soltanto) – a cui si affianca la tematica relativa ai cicli pittorici umanistici in cui si mescolano indifferentemente eroi romani, profili medievali e volti coevi – bastino M.M. DONATO, Gli eroi romani tra storia ed «exemplum». I primi cicli umanistici di Uomini Famosi, in Memoria dell’antico nell’arte italiana. II. I generi e i temi ritrovati, a cura di S. Settis, Torino 1985, pp. 95-152; D. ARASSE, Portrait, mémoire familiale et liturgie dynastyque: Valerano- Hector au château de Manta, in Il ritratto e la memoria. Materiali 1, cit., pp. 93-112; T. CASINI, La questione fisiognomica nei libri di ritratti e biografie di uomini illustri del secolo XVI, in Il volto e gli affetti. Fisignomica ed espressione nelle arti del Rinascimento, cit., pp. 103-117; l’introduzione di Franco MINONZIO a P. GIOVIO, Elogi degli uomini illustri, a cura di F. Minonzio, Torino 2006, pp. XIX-LXXXVII, e ID., Il Museo di Giovio e la galleria degli uomini illustri, in Testi, immagini e filologia nel XVI secolo, Atti delle giornate di studio (Pisa, Scuola Normale Superiore 30 settembre-1 ottobre 2004), a cura di E. Carrara, S. Ginzburg, Pisa 2008, pp. 77-146.

parallela registrazione della presenza di un ritratto eseguito “di/al naturale”. Tutti questi letterati, inevitabilmente figli del proprio tempo, paiono dover scontare la propria formazione teorica “classica” tesa a individuare l’eccellenza nella capacità mimetica messa in campo, di volta in volta, dai diversi artisti al momento di affrontare i tratti di un viso. Ciò che viene a volte a mancare è, quindi, l’affondo preciso intorno alla funzione di quel volto naturale: se esso sia cioè un ritratto “palese” o che all’attenzione per i lineamenti specifici si accomuni una volontà di camuffamento criptico. Il redattore purtroppo non sempre si sofferma su tale dettaglio; anzi, sfumandolo, impedisce al lettore di capire la vera natura del ritratto considerato. In misura più o meno accentuata, nessuno degli autori presi in esame sembra sfuggire a tale possibile fraintendimento. Che è al tempo stesso, a spese dell’auspicato svelamento di un criptoritratto, indice di come forse all’epoca fosse più importante sottolineare la maestria dell’artista che leggere correttamente tutti i dati, iconografici e di committenza personale, dispiegati su tela.

Le informazioni ricavate restano, tuttavia, fondamentali. E sono state, e si palesano tuttora, quale punto di partenza imprescindibile per chiunque si appresti a studiare tali immagini velate. In quanto garanzia scritta di una tradizione diffusa all’epoca, le biografie artistiche sono state interrogate sotto diversi aspetti. Sebbene si tratti di testi accomunati dall’appartenere tutti allo stesso “genere” letterario – collezioni di Vite raccolte al fine di ripercorrere l’esistenza di un artista che, mescolando dati “certi” agli immancabili aneddoti e giudizi morali, si sostanziano nella presentazione delle opere attribuite a ognuno – vi sono comprensibilmente sfumature diverse da storiografo a storiografo anche per quanto concerne i ritratti “in veste di”.95

I primi volumi consultati si sono rivelati, giocoforza, poveri d’informazioni: il Libro di Antonio Billi, L’anonimo Gaddiano (o Magliabechiano) e le Venti vite d’artisti di Giovan Battista Gelli sono testi sommari (e, per noi, lacunosi) che si caratterizzano per un’estrema sintesi sia nella scelta degli artisti di cui occuparsi che nei dati raccolti

95 Sulla natura sotto molti aspetti aneddotica delle biografie degli artisti il primo rimando è a E. KRIS-O. KURZ, La leggenda dell’artista. Un saggio storico, Torino 1998 (ed. orig. Yale 1979), pp. 13-59. Per il caso specifico di Vasari anche M. CAPUCCI, Forme della biografia nel Vasari, in Il Vasari storiografo e artista, cit., pp. 299-320, e E. CARRARA, Reconsidering the authorship of the Lives. Some observations and methodological questions on Vasari as a writer, in «Studi di Memofonte», rivista on-line, 15, 2015, pp. 53-75.

intorno a ciascuno di loro.96 Le poche, e tuttavia preziose, occorrenze che ci hanno

consegnato – una decina in tutto – sono tuttavia spia di come già in pieno Quattrocento si sentisse la necessità di registrare questa particolare consuetudine. Le annotazioni presenti in tali antecedenti letterari del genere (toscanocentrici ante litteram) sono poi passate nel testo di ben più ampio respiro di Vasari che, a quel punto, ha potuto riprenderle per ampliarle e contestualizzarle in un discorso più articolato. Un’operazione di collazione, letteraria e artistica, delle esperienze precedenti sulla quale innestarsi forte della mole di dati e nozioni in suo possesso, nonché di una cultura artistica vastissima atta a organizzarli e discuterli.

Non sempre però la possibilità di avere molte pagine a disposizione ha sortito il medesimo effetto. Lo stesso numero di occorrenze (all’incirca una decina) si rintraccia infatti nel vasto repertorio messo insieme da Giovanni Baglione il quale, indubbiamente poco interessato alla descrizione delle opere e quindi alla ricerca di volti palesi o nascosti all’interno di esse, sconta anche la scelta di concentrarsi solo su realizzazioni visibili in edifici pubblici di Roma per finire coll’offrire poco più che un elenco freddo e poco fruttuoso per il presente lavoro.97

Lo stesso risultato, per motivi diversi, emerge dal compendio di Bellori. Delle dodici lunghe e selezionatissime biografie (nove pittori, due scultori e un architetto) ci si è soffermati, in conformità al taglio cronologico adottato, sullo spoglio e l’analisi di cinque di loro, escludendo gli artisti non italiani.98 La descrizione che lo storiografo 96 Come anticipato, la scelta è stata effettuata sulla base delle osservazioni di J. SCHLOSSER MAGNINO, La letteratura artistica. Manuale delle fonti della storia dell’arte moderna, (3a ed.

italiana aggiornata da Otto Kurz), Scandicci (Firenze) 1996, pp. 189-201. Si vedano, per un inquadramento generale, anche le introduzioni alle diverse edizioni consultate: Il Codice Magliabechiano cl. XVII. 17, contenente Notizie sopra l’Arte degli Antichi e quella de’ Fiorentini, cit., pp. I-XCIX; Il libro di Antonio Billi, esistente in due copie nella Biblioteca Nazionale di Firenze, a cura di C. Frey, Berlino 1892, pp. III-XXI (ora anche Il libro di Antonio Billi, a cura di Benedettucci, Anzio (Roma) 1991, pp. 9-22); le Venti Vite d’artista di Giovan Battista Gelli, a cura di G. Mancini, Firenze 1896, pp. 5-7. Da integrare, per quanto concerne gli antecedenti dell’aretino, anche con G. TANTURLI, Le biografie d’artisti prima del Vasari, in Il Vasari storiografo e artista, cit., pp. 275- 298. Per una panoramica della storiografia dedicata alle Vite degli artisti, dal Rinascimento all’abate Lanzi, si rimanda invece a P. BAROCCHI, Storia e collezionismo dal Vasari al Lanzi, in Storia dell’arte italiana. L’artista e il pubblico, Torino 1979, pp. 3-81.

97 Si è letta la prima edizione; il rimando è quindi a G. BAGLIONE, Le vite de’ pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, nella stamperia d’Andrea Fei, 1642.

98 Sul testo si vedano SCHLOSSER MAGNINO, La letteratura artistica, cit., pp. 464-465, 472-473, e l’introduzione critica all’edizione moderna stesa da Giovanni Previtali in BELLORI, Le Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, cit., pp. IX-LX. In merito all’autore e al clima in cui videro la

dedica a ogni singola opera citata (ubicazione, soggetto, iconografia, ragioni della committenza, addirittura misure dettagliate) è articolata e molto esaustiva ma poca, se non nulla, attenzione viene riservata alla tematica dei ritratti in disguise. L’apporto degli storiografi romani si è rivelato pertanto, per la presente ricerca, innegabilmente di minor peso.

Un discorso a parte merita l’ultimo repertorio preso in considerazione: il monumentale, ricchissimo, e per certi versi ridondante, testo di Filippo Baldinucci. Dopo i pionieri del genere torna un fiorentino che, nell’affrontare un arco di tempo molto vasto (da Cimabue ai suoi giorni) non può che ricollegarsi con molta onestà intellettuale alla tradizione (Vasari in primis),99 riprendendone dati e giudizi qualitativi. Senza di lui

tuttavia verrebbero a mancare – intervallate da divagazioni e saggi di erudizione letteraria – tutta una serie di indicazioni, precise e motivate, sulla presenza di criptoritratti soprattutto nella seconda metà del Cinquecento e agli albori del secolo successivo.

I capisaldi per la presente ricerca, ai quali si farà più spesso riferimento, sono stati quindi i tre grandi storiografi intermedi ai due estremi appena delineati che, tra il 1568 (anno della giuntina) a metà Seicento circa, hanno stilato e consegnato alle stampe le loro Vite: Giorgio Vasari, Carlo Ridolfi e Carlo Cesare Malvasia.100 Raccolte biografiche

volte a coprire l’intero assetto della Penisola in età moderna ma, inevitabilmente, orientate verso le loro regioni d’origine, ossia nell’ordine di pubblicazione la Toscana, il Veneto e l’area emiliana. La struttura narrativa adottata dai tre, al fine di ripercorrere le biografie degli artisti, è analoga e coincidente si rivela la modalità con cui essi

luce le Vite si sofferma la postfazione curata da T. Montanari dal titolo Bellori, trent’anni dopo nella nuova edizione del testo del 1976, cfr. G.P. BELLORI, Le Vite de’ pittori, scultori e architetti moderni [Roma, 1672], a cura di E. Borea e G. Previtali, 2. voll., Torino 2009, II, pp. 657-729.

99 “Al tempo stesso egli rimane sempre il perfetto «cruscante» fiorentino; ne è esempio tipico la sua difesa del primato dell’arte toscana contro i dubbi critici del bolognese Malvasia, difesa oltremodo diligente, e ancor oggi pregevole per l’accurata raccolta delle fonti scritte.”: così in SCHLOSSER MAGNINO, La letteratura artistica. Manuale delle fonti della storia dell’arte moderna, cit., p. 467 (in merito alle Notizie, anche pp. 466-470, 473-475). Per un inquadramento dello studioso e della genesi delle sue biografie si legga anche E.L. GOLDBERG, After Vasari. History, art, and patronage in late Medici Florence, Princeton (New Jersey) 1988, pp. 89-183

100Di nuovo, il primo rimando per tutti e tre i nomi ricordati è SCHLOSSER MAGNINO, La letteratura artistica. Manuale delle fonti della storia dell’arte moderna, cit., nello specifico pp. 289-346 (Vasari); p. 531 (Ridolfi); pp. 529-530 (Malvasia). Va tuttavia sottolineato che malgrado il contributo di Malvasia sia significativo per alcuni casi sui quali risulta essere la voce più attendibile e vicina (e per alcune sue preziose considerazioni sulla pratica dei ritratti velati), il numero di occorrenze registrate nel suo testo è esiguo, soprattutto se paragonato all’apporto di Vasari e a quello di Ridolfi.

registrano l’esistenza di un ritratto velato all’interno delle opere prese in esame. Come la critica non ha mancato di sottolineare, essi risultano intimamente legati da debiti reciproci e, in alcune occasioni, da malcelate antipatie che hanno portato a continui riferimenti incrociati, spesso polemici e per nulla velati, soprattutto degli ultimi due nei confronti di Vasari accusato di provincialismo, cattiva informazione e incapacità di cogliere la qualità laddove essa si manifesti anche al di fuori di Firenze.101 Com’è logico

tale atteggiamento “battagliero” ha avuto delle ripercussioni anche nell’annotazione della presenza di criptoritratti (a volte palesemente infondata) in tutti quegli artisti che, agli occhi di Ridolfi e Malvasia, erano stati ignorati o sottovalutati dall’aretino. Aggiungere ulteriori informazioni anche in tal senso è sembrato il modo più corretto per riabilitare, di volta in volta, la statura e la fama di un Giorgione o di un Francesco Francia (“è sempre l’arte del loro paese, della loro città, dei loro amici che essi tendono ad esaltare”),102 Come per le opere d’arte, fondamentale risulta calare tali volumi nel

contesto storico-culturale nel quale videro la luce. In tal senso si comprendono pertanto, accanto alle riprese, anche gli omissis, alcuni reali (dettati dalla carenza d’informazioni intorno a un’opera o a un pittore) altri invece voluti e ben giustificabili se letti in quest’ottica di pregio e preminenza provinciale.

Preso atto di tali innegabili problematicità, che sono esse stesse tuttavia sintomo della percezione diffusa di una prassi ritrattistica che meritava di essere fermata su carta, all’interno di tali ricchissime miniere biografiche è stato possibile rinvenire, attorno alla semplice registrazione della presenza di un criptoritratto, tutta una serie di dati essenziali – che variano in quantità e qualità – a chiarire il contesto e calare l’opera nella dimensione corretta. Grazie a questi biografi è stato possibile infatti accedere a informazioni relative allo status e al vissuto personale dell’effigiato (per esempio, l’appartenenza professionale), rintracciarne alcune attitudini caratteriali che possano giustificare l’opzione in favore di un ritratto “mascherato”, scoprire dettagli su interessi

101Sulla polemica a distanza Vasari-Malvasia, incentivata dallo stile tagliente che informa l’opera del bolognese così si esprimeva lo Schlosser: “La sua massima opera è un documento del gonfio stile secentesco e fu considerata con sincero orrore dai classicisti del secolo seguente. Essa è però notevole come una delle puntate più risolute dell’Italia settentrionale contro il primato toscano; la sua polemica contro il Vasari è aspra, non sempre giusta; l’originalità dell’arte bolognese è sostenuta con vera passione.” (cfr. La letteratura artistica. Manuale delle fonti della storia dell’arte moderna, cit., p. 529).

102R. e M. WITTKOVER, Nati sotto Saturno. La figura dell’artista dall’Antichità alla Rivoluzione francese, Torino 2016 (ed. orig. 1963), p. 6.

personali (private istanze religiose, abiti morali o predilezioni umanistiche). In determinati casi, di certo i più fortunati, si sono svelati i motivi alla base della committenza a chiarire l’ambito in cui venne concepita e realizzata l’opera. Ricostruire pertanto, attraverso le parole dei biografi, le circostanze d’ambiente e di natura personale che hanno favorito nei secoli il ricorso a tali mascheramenti criptici ha gettato nuova luce sul tema. Non da ultimo, fondamentale è stato riuscire a risalire talvolta alla fruizione riservata alle opere, rilevandone il carattere a volte pubblico, in altri casi privatissimo, degli spazi atti a mostrare (o a celare) siffatte realizzazioni.

Consultate con attenzione queste raccolte possono chiarire quindi molti aspetti relativi al come e al perché, in determinati frangenti, più di un committente si sia mostrato incline ad adottare – in vista del suo ritratto – la veste criptica.