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Un altro strumento di controllo del potere cautelare: l’appello

2. Ambito oggettivo e soggettivo dell’appello.

La prima fondamentale differenza tra il riesame e l’appello cautelare è costituita dall’estensione oggettiva dei rimedi, ovvero dai provvedimenti che possono essere impugnati con l’uno o l’altro strumento.

Uno sguardo d’insieme sulla disciplina porta alla constatazione che l’appello costituisce, oggi, il rimedio, per molti versi, residuale, nonostante l’ambito oggettivo non sia limitato a pochi casi eccettuati dall’art. 309 c.p.p., ma abbia una estensione considerevole.

Come già sottolineato, quando l’appello era l’unico strumento conosciuto in materia di impugnazione cautelari, ovvero prima di giungere alla legge n. 532/1982, istitutiva del Tribunale della libertà, i provvedimenti che potevano essere impugnati dal pubblico ministero erano le ordinanze con cui il giudice non accoglieva la richiesta di mandato di cattura o revocava un mandato già emesso (art. 263 c.p.p. abr.).

Attualmente, dopo le modifiche intervenute in materia, l’appello si pone come uno strumento che può essere utilizzato per le doglianze che non riguardano il titolo originario della limitazione della libertà: si tratta dei provvedimenti che non sono contra libertatem, ovvero sono a favore dell’indagato, (come ad esempio la scarcerazione, la concessione della libertà provvisoria, il rigetto della richiesta di cattura e la revoca del mandato già emesso) che, come si intuisce, sono impugnabili dal pubblico ministero, e dei provvedimenti, favorevoli o no all’indagato, successivi alla limitazione della libertà (come i provvedimenti sulle richieste dell’indagato stesso, in ordine alla revoca, sostituzione o modifica della misura precedentemente disposta, oppure quelli che ordinano o meno il ripristino, il rinnovo o la proroga della misura già disposta); infine sono appellabili tutti i provvedimenti che dispongono le misure interdittive, dato che l’art. 309, c.p.p. prevede il riesame di tutte le misure che dispongono una misura coercitiva. In tal senso, si capisce come l’appello si ponga come uno strumento che può essere utilizzato verso tutti quei provvedimenti ‘esclusi’ dall’art. 309 c.p.p.

La Corte di cassazione ( ) ha inoltre affermato che l’appello può 91 essere utilizzato anche verso i provvedimenti che regolano la modalità di esecuzione degli arresti domiciliari: si è risolto, così, un contrasto giurisprudenziale interno alla Corte stessa circa la possibilità di proporre appello avverso l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 284, comma 3 c.p.p. Tale norma prevede la facoltà, totalmente rimessa alla discrezionalità del giudice, di concedere l’autorizzazione all’indagato di assentarsi dal luogo di custodia per il tempo necessario allo svolgimento dell’attività

Rif. sent. Corte cass. 3 dicembre 1996, con commento di Palla, in Cass. pen.

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lavorativa, basandosi sui criteri di ‘indispensabili esigenze di vita’ e ‘situazione di assoluta indigenza’ da un lato, e sulla valutazione delle esigenze cautelari in vista delle quali la misura è stata adottata. L’esegesi della norma porta a ritenere che il provvedimento che autorizza o nega l’allontanamento per ragioni lavorative, adottato dopo che il giudice ritiene compatibile il maggior ambito di libertà con le esigenze cautelari fondative della misura, incide inevitabilmente sullo spazio di libertà già compresso del soggetto, quindi deve necessariamente rientrare tra i provvedimenti che incidono sulla libertà personale in un momento successivo alla restrizione della libertà stessa, ovvero tra i provvedimenti suscettibili di appello ex art. 310 c.p.p.

Restano fuori dalla portata dell’art. 310 c.p.p. i provvedimenti che hanno carattere meramente temporaneo e contingente, come l’autorizzazione alla partecipazione a un funerale, ad esempio, perché non in grado di determinare apprezzabili e durature modifiche dello status detentionis, come invece può fare il provvedimento di cui sopra di allontanamento dal luogo di custodia per esigenze lavorative.

In definitiva, quindi l’appello si utilizza verso quei provvedimenti che incidono su una misura limitativa già posta in essere, ed è sostanzialmente per questo che si disciplina un procedimento che fa emergere una minor esigenza di celerità, ovvero perché vi è una ‘urgenza a provvedere’ di minore intensità, dato che ormai la restrizione personale è operante. Proposte di modifica recenti hanno ipotizzato una più rigorosa ripartizione dei provvedimenti sottoposti all’uno o all’altro strumento: ci sono infatti misure coercitive che hanno una maggiore incisività sulla libertà personale rispetto alle misure

coercitive che hanno una limitata incidenza, come per esempio il divieto di espatrio.

Dal punto di vista dell’estensione soggettiva, l’appello può definirsi come un rimedio dalla ‘doppia personalità’ dato che i provvedimenti impugnabili possono essere tanto pro libertate (e quindi appellabili per interesse del pubblico ministero) che

contra libertatem (appellabili dall’indagato); si assiste quindi,

sia a un ampliamento rispetto alla disciplina previgente del mezzo di impugnazione, che, come già sottolineato, era uno strumento attivabile solo dal pubblico ministero, sia a una differenza di legittimazione rispetto al riesame, il quale, essendo utilizzabile verso i provvedimenti che dispongono una misura coercitiva (e quindi provvedimenti contra libertatem), è concepito essenzialmente come strumento difensivo.

Quanto alla legittimazione del pubblico ministero occorre una precisazione: il potere di appellare è riservato all’ufficio istituito presso il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, mentre il potere di partecipare all’udienza spetterebbe esclusivamente al pubblico ministero che ha il suo ufficio presso il Tribunale della libertà, dato il mancato adeguamento dell’art. 310 c.p.p. con l’art. 309, come risultante dalla modifica apportata dalla legge n. 652 del 23 dicembre 1996: tale modifica ha permesso al pubblico ministero che ha richiesto l’applicazione della misura di partecipare all’udienza di riesame (art. 309, comma 8 bis). Mentre la novella ha provveduto a modificare l’art. 311 c.p.p. nello stesso senso, ovvero permettendo al pubblico ministero che ha chiesto l’applicazione della misura di ricorrere per Cassazione contro le decisioni del Tribunale della libertà, non ha effettuato lo stesso adattamento per la disciplina dell’appello. Da tale comportamento, alcuni autori hanno ritenuto di dover colmare interpretativamente tale

‘dimenticanza’, altri invece hanno dedotto la volontà di permettere solo al pubblico ministero che trova sede presso il Tribunale competente per l’appello di partecipare.

Infatti, l’art. 310, comma 2 c.p.p. prevede che “dell’appello è dato immediato avviso all’autorità giudiziaria procedente”, ma dato il mancato riferimento all’art. 309, comma 8 c.p.p. si ritiene che l’avviso dell’udienza è da notificare ai soggetti indicati dall’art. 127, comma 1 c.p.p., ovvero le parti, il difensore e le altre parti interessate: per parti si intende necessariamente anche quella pubblica (che in base alle regole generali, come prima si accennava, va individuata nell’organo che ha sede presso l’ufficio del giudice competente); ovviamente il riferimento è poi all’indagato e al suo difensore, mentre tra le altri parti si ritiene non rientri la parte civile.

3. Le differenze procedimentali: la tempistica e