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Sommario: 1 Legittimazione a ricorrere 2 La richiesta di riesame: il termine 3 I provvediment

4. Il Tribunale della libertà: competenza territoriale.

L’art. 263 ter c.p.p del 1930, come risultante dalle modifiche degli anni ’80, attribuiva la competenza per il riesame al tribunale del capoluogo di provincia in cui ha sede l’ufficio dell’autorità che ha emesso il provvedimento (precisando anche che per i provvedimenti emessi dagli uffici con sede in provincia di Caserta, è competente il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dato che Caserta è l’unico capoluogo di provincia che non è anche sede di Tribunale).

La norma è stata una valida soluzione mediana alle strade che si erano prospettate nelle varie proposte, ovvero l’attribuzione della competenza per il riesame a tutti i tribunali oppure alle corti d’appello. Nel primo caso si sarebbe verificata una eccessiva frammentazione giurisprudenziale in una materia per cui dovrebbe essere maggiormente assicurato, invece, il principio di uguaglianza; e, inoltre, non erano rari i casi in cui si sarebbe data la competenza del controllo a giudici che poi avrebbero composto il collegio giudicante per la valutazione della responsabilità dell’imputato. Nel secondo caso il rischio sarebbe stato quello di creare dei centri di potere giudiziario, perché la competenza per il riesame sarebbe stata concentrata nelle 23 Corti d’appello.

La legge 532/1982 non si limitava a prevedere la competenza territoriale degli uffici, ma si sobbarcava anche il compito di determinare delle regole sulla composizione stessa degli uffici. L’art. 25 della legge predetta, stabiliva che “i procedimenti di cui all’art. 263 bis e 263 ter c.p.p. sono attribuiti a una o più sezioni

penali del tribunale, la cui composizione è indicata nelle tabelle formate dal Consiglio Superiore della Magistratura, con predeterminazione dei magistrati titolari e supplenti. Ove l’organico lo consenta, la composizione è totalmente variata dal Consiglio Superiore della Magistratura ogni anno, all’atto della formazione delle tabelle”.

Prima osservazione da fare è senz’altro la ricerca di affidare la competenza a magistrati specializzati, evitando per esempio, il ricorso alle sezioni civili, senza però giungere alla formazione di sezioni stabilmente competenti in materia. Pertanto l’indicazione va letta nel senso che si affidava la competenza alle sezioni penali esistenti e competenti per il dibattimento, tacendo tra l’altro un punto fondamentale, ossia la compatibilità tra il giudice con funzione di Tribunale della libertà e giudice che decide nel merito.

All’epoca della entrata in vigore della legge, il Consiglio Superiore della Magistratura in più occasioni si espresse nel senso della necessità di perseguire, almeno tendenzialmente, l’obiettivo della diversità soggettiva tra i magistrati a cui venivano affidati le due funzioni ( ). 62

E’ palese infatti, che se lo stesso magistrato si trovasse a pronunciare sul controllo sul provvedimento de libertate (potendo quindi effettuare le necessarie valutazioni sull’esistenza dei presupposti per l’emanazione della misura), e poi anche sulla responsabilità penale dell’imputato stesso, si possa configurare una violazione del principio di imparzialità dell’organo giudicante, ancorché le valutazioni effettuate all’interno delle due attività abbiano una consistenza probatoria differente.

Cfr. deliberazione del CSM del 15 settembre 1982.

Per questo sembrava legittimo il dubbio sulla incostituzionalità dell’art. 61 c.p.p. sulle cause di incompatibilità, nella parte in cui non prevedeva tale ipotesi in modo espresso, dato il carattere tassativo della norma che escludeva l’interpretazione estensiva. Il silenzio del legislatore sul punto, protrattasi fino ai giorni nostri, ha trovato un punto di arrivo nella sentenza della Corte costituzionale del 15 Settembre 1995, n. 432, con la quale si è dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 34 c.p.p. (ossia la norma che regola l’incompatibilità nel codice attuale) nella parte in cui non prevedeva che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell’imputato.

Effetto di questa importante pronuncia è stato la modifica della competenza territoriale del tribunale della libertà, dapprima individuato nel tribunale del capoluogo del distretto (con il d.l n. 250 del 1996) e poi nel tribunale del luogo in cui ha sede la Corte d’appello o la sezione distaccata della Corte d’appello nella cui circoscrizione è ricompreso l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza, al fine di allontanare fin dove possibile il giudice competente per le due attività.

Mentre inizialmente si poneva l’accento sulla diversità di valutazioni che compivano i giudici delle due fasi, ritenendo che la valutazione del giudice del riesame non potesse compromettere l’imparzialità del giudice del dibattimento, successivamente alla pronuncia della Corte costituzionale si puntò l’attenzione sul fatto che al giorno d’oggi il giudice del riesame compie un accertamento più complesso che lo deve portare a ritenere ragionevolmente probabile la colpevolezza dell’imputato. Nella sentenza summenzionata, si fa notare come la ‘gravità’ degli indizi (certamente più rigorosa della

‘sufficienza’ degli indizi richiesti dal codice previgente) “postula una obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti che, nel loro complesso, consentono di pervenire logicamente a un giudizio che, pur senza raggiungere il grado di certezza richiesto per la condanna, sia di alta probabilità dell’esistenza del reato e della sua attribuibilità all’indagato; indizi, quindi, capaci di resistere ad interpretazioni alternative” ( ). 63

La necessità di imparzialità del giudice, concepita come un corollario necessario per l’esercizio stesso della funzione giurisdizionale, come se fosse una qualità connaturata alla magistratura stessa, dovrebbe esporsi anche a riguardo della diversità soggettiva tra il giudice del controllo e quello che ha emesso il provvedimento restrittivo.

La Corte di Cassazione aveva avuto modo di pronunciarsi sulla questione escludendo che fosse illegittima la composizione del tribunale della libertà del quale facesse parte lo stesso giudice istruttore che aveva emesso il provvedimento da controllare ( ). La sentenza in commento affermava che, dopo un “attento 64 esame della legge 12 Agosto 1982, n. 532, […] non si rileva alcuna norma che possa fare ritenere illegittima la composizione del collegio del quale faccia parte lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo di cui si chiede il riesame”. La Corte si è pronunciata, quindi, sulla base di una esegesi letterale della norma, senza cimentarsi in considerazioni più dettagliate, richieste dalla delicatezza della materia: aveva in particolare escluso che l’art. 61 c.p.p. (che prevedeva le cause di incompatibilità nel codice ormai abrogato) potesse essere interpretato estensivamente per comprendere anche i casi non

Sent corte cost. ult. cit.

63

Vedi sent. Corte di cassazione, 11 Gennaio 1984, in Cass. pen, 1984, 2240, 1539.

espressamente indicati dal legislatore, dato il suo carattere di eccezionalità. E questo può anche essere condivisibile, sennonché la figura dell’incompatibilità del giudice deve essere letta come la “manifestazione processuale di quell’esigenza di imparzialità” ( ) che caratterizza la figura stessa del giudice, 65 quindi, non può non concludersi che la disciplina dell’incompatibilità sia “espressione della logica stessa del sistema processuale” ( ). L’organo deputato al controllo non 66 può non essere considerato un organo giurisdizionale, che deve essere dotato di tutti quei caratteri che fanno del giudice quella figura delineata dalla Costituzione; e, nello specifico, un giudice chiamato a giudicare sé medesimo e il suo operato non può dirsi certo imparziale.

La giurisprudenza, in particolare, riteneva che la collegialità di un controllo, pronto e incisivo, fosse già di per sé garanzia sufficiente.

Vi sono però almeno due motivazioni che rendono applicabile al caso in commento la fattispecie dell’incompatibilità: da una parte, il controllo del riesame è sempre stato concepito come un ‘controllo esterno’ sull’operato di chi ha disposto il provvedimento; dall’altra, il concetto di ‘riesame nel merito’, contenuto nella legge istitutiva del Tribunale della libertà, implica una valutazione che coinvolge aspetti sostanziali, quali i presupposti per l’emanazione della misura stessa, che sarebbero già valutati dal giudice che ha emesso il provvedimento.

Appare più che fondato il dubbio che il giudice che ha emesso il provvedimento non sia in grado di garantire un sereno e

Satta, Astensione e ricusazione del giudice, in Enc. dir, vol. III, 1958, p. 947.

65

Tranchina, Il Tribunale della libertà tra garantismo e demagogia, in Riv. d. proc.,

66

obiettivo controllo che si è voluto invece introdurre con la legge n. 532.

Anche la Corte costituzionale si è espressa sul punto, sostenendo che il giudice deve essere “non solo scevro di interessi propri, ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia del decidere formatesi in diverse fasi del giudizio in occasioni di funzioni decisorie che egli sia stato chiamato a svolgere in precedenza” ( ). Si afferma 67 ripetutamente, ormai, a chiare lettere, l’esistenza della c.d. ‘forza della prevenzione’, ossia di quella naturale tendenza a mantenere una opinione già espressa in altri momenti decisionali dello stesso procedimento ( ). 68

Insomma, si imporrebbe, ormai, la necessità di un intervento del legislatore, per fare chiarezza su questa materia che rischia di compromettere seriamente la funzione stessa dell’istituto. In definitiva, sarebbe opportuna che fosse previsto legislativamente un giudice de libertate ad hoc, con la preclusione ad intervenire in ogni altro momento processuale. La seconda direttiva contenuta nell’art. 25 della legge 532/1982, che introduce delle norme sulla composizione delle sezioni menzionate nella prima parte della disposizione stessa, non venne salutata come una innovazione rispetto a ciò che e stato recepito dall’ordinamento preesistente attraverso il meccanismo di formazione delle ‘tabelle’ al fine di predeterminare la composizione delle sezioni e l’attribuzione degli affari.

Vi è stata però parte della dottrina che ha ritenuto di dover interpretare la disposizione in modo innovativo, ritenendo che la norma non mirava solo alla predeterminazione delle sezioni,

Sent corte cost. 20 maggio 1996, n. 155.

67

Sent. Corte cost. 15 Settembre 1995, n. 432.

ma anche dei singoli collegi giudicanti operanti al loro interno, portando così alle estreme conseguenze quel principio di ‘precostituzione del giudice’ che ha una importanza fondamentale nell’ordinamento.

Inoltre, si è stabilito che, ove possibile, il Consiglio Superiore della Magistratura avrebbe dovuto procedere alla formazione delle tabelle garantendo una rotazione annuale, ancora una volta al fine di evitare la creazione di centri di potere in capo a singoli magistrati. La disposizione appariva di notevole importanza anche se condizionata alla consistenza degli organici.

5. Il procedimento di riesame: i ‘tempi’