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Un altro strumento di controllo del potere cautelare: l’appello

9. La 'cosa giudicata' in materia cautelare.

La questione dell'operatività del principio del giudicato, in particolare del divieto del ne bis in idem, in materia di misure

Vedi Polvani, Le impugnazioni de libertate, Padova, 1999, p. 27 e ss.

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Per tali riflessioni, vedi Murone, Riflessioni sull'esperibilità della richiesta di

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cautelari si pone all'attenzione della giurisprudenza data la particolare natura della vicenda cautelare. Essa si pone come fenomeno strumentale rispetto ai fini propri dell'esercizio della giurisdizione: le misure cautelari sono estremamente importanti poiché il processo penale ci mette del tempo prima di giungere alla decisione sulla responsabilità dell'indagato, ed esse permettono di assicurare il corretto svolgimento del processo e il corretto epilogo dello stesso; in definitiva, è la natura stessa del processo ad esigerle e possono essere definite come un “male necessario” e imprescindibile.

I provvedimenti che dispongono la cautela sono resi all'esito di accertamenti rebus sic stantibus, riflettono valutazioni provvisorie sull'esistenza dei parametri imposti dalla legge. Questa congenita precarietà delle ordinanze cautelari emerge chiaramente dall'art. 299 c.p.p. che prevede espressamente la possibilità di revoca e sostituzione della misura allo scopo di mantenere una correlazione tra la misura e lo stato di fatto esistente.

Se queste sono le caratteristiche delle misure cautelari, occorre chiedersi in che misura può applicarsi il concetto di cosa giudicata, il cui principale scopo, oltre alla certezza del diritto, è garantire che verso lo stesso soggetto e per il medesimo fatto non vi sia una pluralità di accertamenti.

Nel dettaglio, si deve distinguere un giudicato formale, che attiene ai caratteri della sentenza, la quale si presenta come immodificabile dopo aver esaurito i mezzi di impugnazione o dopo la scadenza dei termini per impugnare, e un giudicato

sostanziale, che attiene al valore dell'accertamento compiuto, il

quale preclude ogni altro accertamento sullo stesso fatto, riassumibile nel divieto del ne bis in idem.

Se giudicato formale significa irrevocabilità della sentenza, è evidente l'inapplicabilità alle misure cautelari, che per definizione, sono provvedimenti che devono sempre rispecchiare lo stato dei fatti attuale, e per questo possono essere sempre revocate o modificate, come affermato dal già richiamato art. 299 c.p.p.

Altra cosa è pensare al divieto di un nuovo accertamento sui presupposti che giustificano la misura cautelare: inizialmente potrebbe osservarsi come, essendo atti con valore endoprocessuali, perché strumentali a quel procedimento e non anche ad altri, non dovrebbe ritenersi considerabile una loro efficacia al di fuori della loro sede naturale. Tuttavia, potrebbe adattarsi il concetto di giudicato alla particolare situazione, configurando un giudicato cautelare, ovvero un vincolo che opera all’interno del processo nel quale e per il quale il provvedimento cautelare è nato.

In altre parole, il provvedimento cautelare non più impugnabile pone un vincolo endoprocessuale che perdura fino a quando non sopraggiunga una modifica del quadro probatorio su cui il provvedimento si fonda, ovvero gli indizi sulla persona indagata e il periculum libertatis ( ). 101

Il novum che permette di operare con un secondo giudizio sul medesimo tema può fondare una seconda istanza, che a sua volta, sfoci in un’ordinanza applicativa di misura cautelare, anche se precedente e analogo provvedimento è stato annullato in sede di riesame, o in una revoca della misura, pure nel caso in cui in sede di gravame, la misura precedentemente disposta sia stata confermata.

Una questione che si è posta anche all’attenzione della Corte di legittimità, e che è stata anche risolta dapprima in un senso e

tra le molte, vedi sent. Cass. 14 maggio 1992.

qualche anno dopo nell’altro dalle stesse Sezioni Unite, è se il giudicato cautelare si possa configurare anche nel caso di mancata impugnazione dell’ordinanza cautelare, oppure solo nel caso di definitivo rigetto dell’impugnazione della stessa. Dapprima, due pronunce delle SS.UU hanno affermato che anche nel caso di mancata impugnazione del provvedimento restrittivo, la revoca dello stesso può operare solo in caso di sopravvenienze rispetto alla sopraggiunta definitività ( ); una 102 pronuncia di poco successiva, invece, riteneva di dover cambiare l’orientamento precedente ed escludeva che la mancata impugnazione potesse configurare il giudicato cautelare, basandosi sull’assunto che la revoca è un istituto pensato dal legislatore come utilizzabile senza limiti temporali. Il concetto di giudicato cautelare deve, tuttavia, essere confrontato con il principio ex art. 299 c.p.p., il quale prevede che deve esserci sempre corrispondenza tra le ragioni cautelari da tutelare e la misura adottata e quindi è possibile la revoca del provvedimento, qualora questa corrispondenza venga meno, “anche per fatti sopravvenuti”. Ora, questa espressione deve essere interpretata nel senso che la giustificano la richiesta di revoca, non solo i fatti sopravvenuti, ma anche quelli esistenti già dall’origine del provvedimento, ma non conosciuti dal giudice. Le parti, infatti, non hanno l’obbligo di portare a conoscenza del giudice tutti i fatti della vicenda cautelare, ma hanno un potere di dicovery che permette loro di scegliere quali elementi probatori ‘scoprire’ e quali invece mantenere per la esclusiva conoscenza del giudice del merito.

Da questa disposizione, deriva che in materia cautelare, il concetto di giudicato assume connotati del tutto peculiari, che

In questo senso, Cass., S:U, 18 giugno 1993, in Cass. pen. 1994, p. 2928;

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giustificano anche l’orientamento delle S.U nel senso di prevedere una parziale applicazione delle norme che lo regolano (gli artt. 648 e 649 c.p.p.) e ritenere configurabile la regola del

ne bis in idem solo in caso di rigetto definitivo

dell’impugnazione e non anche in caso di mancata impugnazione.

Una critica da più parti sostenuta riguardo la configurabilità del giudicato sulla vicenda cautelare, consiste nella ritenuta contraddizione in termini della stessa espressione ‘giudicato cautelare’, usata peraltro anche dalla stessa Corte di legittimità:il termine ‘giudicato’ infatti evoca il concetto di immutabilità e irrevocabilità della pronuncia che acquista questa caratteristica, mentre il termine ‘cautelare’ richiama la principale caratteristica dei provvedimenti cautelari, ovvero il loro essere ‘allo stato degli atti’, frutto di accertamenti rebus sic

stantibus, richiamando, quindi, l’idea di provvisorietà.

Vi è, inoltre, una differenza sostanziale tra il sistema dei provvedimenti cautelari e il sistema delle pronunce di merito: il provvedimento cautelare non può essere esecutivo solo dopo il passaggio in giudicato, per le ovvie ragioni di urgenza che connotano l’emissione stessa del provvedimento, volto a eliminare un periculum tale che, se si attendesse l’esito del processo, potrebbe verificarsi andando a vanificare l’attività stessa di accertamento ( ). 103

Ad esempio, Lorusso, Una impropria utilizzazione del concetto di giudicato

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penale: il c.d. ne bis in idem cautelare, in Percorsi di procedura penale, a cura di