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Sommario: 1 Legittimazione a ricorrere 2 La richiesta di riesame: il termine 3 I provvediment

3. Provvedimenti riesaminabili.

L'ambito dei provvedimenti sottoponibili al riesame è stato ampliato rispetto alla previsione originaria della legge del 1982, con la novella 398/1984.

Gli atti "destinati ad apparire i più immediati, i più 'naturali' bersagli di una riforma" ( ) per la tutela della libertà 56 individuale erano gli ordini e i mandati di cattura. Si consideravano, quindi, sia atti di organi giurisdizionali (ordini) sia del pubblico ministero (mandati), ma ciò non stupiva perché già il vecchio testo dell'art. 263 bis accomunava ordini e mandati per la ricorribilità in Cassazione.

Chiavario, Tribunale, Op. cit., p. 137.

Ciò che invece destava più attenzione era l'accomunanza tra ordini e mandati di cattura e di arresto, che in qualche disegno di legge precedente alla legge 532/1982 si era ritenuta superflua, dato che i provvedimenti di arresto erano provvedimenti provvisori, che decadevano se non interveniva entro venti giorni l'ordine di cattura o la sentenza di condanna. Va precisato però che vi era una forte limitazione: i provvedimenti di cui sopra che potevano essere impugnati erano solo quelli emessi in fase istruttoria dal pretore, dal pubblico ministero o dal giudice istruttore ovvero dal giudice istruttore con l'ordinanza di rinvio a giudizio, mentre non erano sottoponibili al controllo i provvedimenti di cattura o arresto emanati in fase predibattimentale o dibattimentale, ritenendo che fosse preferibile evitare il sovrapporsi di un controllo incidentale a una fase di giudizio che doveva dare una risposta completa all'imputazione e che forniva già le necessarie garanzie di un completo esame del merito della fattispecie penale.

Con la novella 398/1984 si è eliminato il riferimento alla fase processuale in cui i provvedimenti predetti venivano emessi, riferendo quindi l'impugnazione agli ordini e mandati di cattura e arresto tout court.

Si prevedevano però, nel testo novellato dell'art. 263 bis delle deroghe: non erano controllabili nel merito i mandati emessi a seguito di impugnazione da parte del pubblico ministero o dalla sezione istruttoria, per i quali permaneva la originaria regola della ricorribilità in Cassazione.

La prima ipotesi si configura quando l'appello proposto dal pubblico ministero avverso un provvedimento di scarcerazione o altro specificatamente appellabile, aveva esito positivo. Siccome anche per l'appello il giudice competente era (ed è) il

tribunale delle libertà, si è voluto così evitare che lo stesso organo si pronunciasse sul proprio provvedimento anche in sede di riesame.

La seconda ipotesi invece consisteva nel provvedimento di cattura emesso a seguito di appello contro la sentenza proscioglitiva del giudice istruttore. Qui l'esclusione si giustificava sul presupposto che già la sezione istruttoria si poneva come giudice collegiale di controllo e la ratio della legge istitutiva del riesame era proprio quella di creare un controllo da parte di un organo collegiale sui provvedimenti de libertate. Altro provvedimenti riesaminabili erano: i decreti di convalida dell’arresto in flagranza, i decreti di applicazione di una misura di custodia domiciliare o altra misura sostitutiva della custodia in carcere, il decreto che trasforma la custodia domiciliare in custodia in carcere, il decreto di revoca della sospensione dell’esecuzione del mandato di cattura. In tutti questi casi la espressa sottoponibilità a riesame era prevista dalle norme di legge che stabilivano anche i presupposti del provvedimento e le modalità di emissione.

L’art. 263 bis prevedeva poi altre ipotesi, oltre ai mandati e ordini di cattura e arresto, ossia il decreto che disponeva il divieto o l’obbligo di dimora o la prescrizione di presentarsi alla polizia e il decreto di revoca di una misura disposta in luogo della carcerazione preventiva, sempre che fossero emessi in sede istruttoria o con l’ordinanza che dispone il rinvio a giudizio. Per quanto riguarda la prima categoria, l’art. 263 bis prevedeva un richiamo ai provvedimenti della seconda parte del comma 3 dell’art. 254 c.p.p., ovvero ai provvedimenti che impongono le prescrizioni ex art. 282 e 284 c.p.p. L’esclusione della prima parte del terzo comma, che prevedeva il provvedimento di arresti domiciliari, si giustificava sul fatto che

tale provvedimento rientrava già tra le misure riesaminabili, perché vi era pur sempre un mandato di cattura il quale si differenziava dagli altri solo per le particolari modalità di esecuzione. Per i provvedimenti che impongono le prescrizioni, invece, era necessario un richiamo autonomo perché in questi casi il mandato di cattura veniva completamente svuotato del suo contenuto sostanziale, che corrisponde alla custodia in un determinato luogo (che può essere il carcere, la privata dimora, una casa di cura).

Non erano riesaminabili i provvedimenti che disponevano una misura non custodiale ai sensi dell’art. 254 bis, mentre gli stessi provvedimento adottato dall’autorità giudiziaria ex art. 246, comma 3 e 4, c.p.p., lo erano, realizzando quindi una grave disparità di trattamento tra chi era sottoposto agli obblighi degli artt. 282 e 284 in sede di convalida dell’arresto e chi invece si trovava nella medesima situazione a seguito di un provvedimento adottato ai sensi del 254 bis c.p.p. ( ). 57

Un’altra scelta incomprensibile era la non espressa riesaminabilità del decreto di convalida del fermo, nonostante comunemente posto in parallelo con la convalida dell’arresto. Anche se parte della dottrina riteneva che si poteva ritenere riesaminabile anche implicitamente essendo assimilato all'ordine o mandato di arresto, emergeva con chiarezza la diversità di atteggiamento del legislatore, che aveva esplicitamente preso in considerazione la convalida dell’arresto, mentre taceva sulla convalida del fermo.

Secondo un orientamento prospettabile, il decreto di convalida del fermo non era volutamente compreso tra i provvedimenti riesaminabili perché comunque, anche dopo la convalida, il

Cfr. Marzaduri, Riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, in Nov.

57

fermo perdeva efficacia dopo 96 ore dalla sua esecuzione se non formalmente convertito in un ordine o mandato di cattura. Quindi, si riteneva, ben poteva essere escluso il controllo del tribunale delle libertà, perché una volta che esso si fosse pronunciato, sarebbe già stato troppo tardi dato che il provvedimento avrebbe perso efficacia.

Questa affermazione era contestata però dal fatto che il provvedimento di convalida dell’arresto era riesaminabile anche quando dopo il decreto interveniva la liberazione dell’arrestato. Ulteriore questione problematica era posta dalla limitazione dell’applicazione della legge 532/1982 alla sola giurisdizione ordinaria, con esclusione quindi dell’applicazione di quegli istituti alle misure disposte all’interno della giurisdizione minorile e militare.

La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, era giunta ad affermare l’applicabilità dell’istituto del riesame anche ai processi minorili, specificando che la competenza sarebbe dovuta essere attribuita al tribunale dei minorenni, con la conseguenza, però, che lo stesso tribunale si sarebbe potuto pronunciare in appello sui propri provvedimenti istruttori sulla libertà provvisoria. Così la Corte costituzionale affermò che la competenza sarebbe dovuta spettare alla sezione per i minorenni della Corte d’appello ( ). 58

Stessa estensione sarebbe stata auspicabile anche per i tribunali militari, per i quali invece si affermò che erano dotati di un organico insufficiente per poter operare sia come giudici di merito che come tribunale delle libertà, assicurandone la diversità di composizione.

L'attuale previsione (art. 309 c.p.p.) prevede che siano sottoponibili al riesame tutti i provvedimenti che dispongono

Sent corte cost. 8 Marzo 1985, n. 57.

una misura coercitiva, con un'unica eccezione relativa al provvedimento emesso in seguito all'appello del pubblico ministero, che trova la stessa giustificazione dell’esclusione operata dal complesso normativo precedente al codice attuale. L’ampiezza della previsione sembra risolvere tutte le lacune precedentemente indicate, soprattutto con riguardo alle giurisdizioni speciali dei minorenni e militare, senza limitare l’operatività dell’istituto ad alcune fasi giudiziali piuttosto che altre.

Sul punto, in particolare, si era sviluppato un contrasto interno tra le sezioni della Corte di cassazione, tra chi riteneva precluso il riesame avverso i provvedimenti limitativi emessi dopo la chiusura delle indagini preliminari (verso i quali era ammesso solo il ricorso per Cassazione) e chi, invece, interpretava la norma in modo estensivo, tale da comprendere tutti i provvedimenti cautelari personali, indipendentemente dalla fase in cui sono stati emessi. Le SS.UU. ritengono che le direttive n. 59 e 64 della legge delega posseggono una “indubbia portata generale per quanto attiene sia alla disciplina delle suindicate misure, che alla loro riesaminabilità nel merito da parte del Tribunale” ( ). Inoltre, si osserva che lo stesso 59 potere di disporre misure coercitive è attribuito al giudice del dibattimento, di conseguenza, per il principio di uguaglianza, deve essere riconosciuto il rimedio anche a tali provvedimenti. Non pare possa essere esclusa la competenza del Tribunale del riesame anche nei confronti di provvedimenti emessi da organi collegiali e di grado superiore a quello del tribunale della libertà ( ). 60

Sent. SS.UU Corte di cassazione 23 Novembre 1990, in Giuris. it. 1991, II, p 167.

59

Vedi ordinanza Corte cost. del 18 Giugno 1997, n. 187.

Non è escluso nemmeno verso il provvedimento che successivamente è stato revocato (anche se in questo caso è nella pratica una impugnazione irrilevante) e verso il provvedimento emesso d’urgenza dal giudice incompetente ai sensi dell’art. 292, comma 2 c.p.p.

Recentemente ci sono state diverse proposte tese a delimitare meglio i provvedimenti riesaminabili, fondate sulla “delimitazione ai soli casi di provvedimenti che effettivamente possono dirsi limitativi della libertà personale dell’imputato ovvero sulla valutazione dell’incidenza della misura cautelare sulla persona dell’imputato” ( ). 61

La seconda di tali proposte sembrerebbe quella maggiormente auspicabile: dovrebbe essere valorizzato il livello di incisività sulla libertà della persona e prevedere la garanzia del controllo solo per quelle hanno conseguenze più pesanti. In questo senso, si dovrebbe pensare, allora, anche al controllo delle misure interdittive (oggi solamente appellabili), che innegabilmente possono presentare conseguenze maggiormente rilevanti rispetto a un divieto di espatrio o a un dovere di presentazione presso gli uffici di polizia giudiziari. Le misure interdittive, come per esempio il divieto di esercizio della professione, possono, invero, provocare conseguenze tali da rendere ingiustificato l’affievolimento delle garanzie che si verifica nella previsione del rimedio dell’appello piuttosto che del riesame. Sarebbe sufficiente, per operare tale modifica, sostituire il termine “coercitive” con il termine “cautelari” all’interno dell’art. 309 c.p.p, essendo superflue modifiche dell’art. 310 c.p.p. il quale ha portata residuale.

Marzaduri, Linee di riforma delle impugnazioni de libertate, in Diritto penale

61

4. Il Tribunale della libertà: competenza