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Sommario: 1 Legittimazione a ricorrere 2 La richiesta di riesame: il termine 3 I provvediment

10. La tipologia di decisioni.

La disciplina ormai abrogata prevedeva che il giudice del riesame potesse adottare, all’esito della valutazione effettuata, un provvedimento di revoca e di conferma della misura applicativa della misura coercitiva, escludendo ogni potere di sostituzione della stessa, né potendosi ricavare implicitamente per via interpretativa data la chiarezza della norma in tal senso. L’art. 263 ter c.p.p. abr. affermava che “il Tribunale, con ordinanza emanata in camera di consiglio, conferma il mandato o l’ordine di cattura o di arresto ovvero la revoca, anche per motivi diversi da quelli eventualmente indicati nella richiesta, ordinando l’immediata liberazione dell’imputato”.

Al di là di una necessaria interpretazione adeguatrice che comprendesse anche gli altri provvedimenti che nel corso della storia parlamentare della legge istitutiva del Tribunale della libertà sono stati considerati riesaminabili, si concludeva che il giudice avrebbe potuto solo confermare il provvedimento, senza poterlo integrare o sostituire con un provvedimento identico nel dispositivo ma fondato su elementi diversi da quelli considerati dal giudice che ha disposto la misura, oppure revocarlo, essendo esclusa ogni altra possibile decisione.

La disciplina predisposta dall’art. 309 c.p.p., prevede, invece, la possibilità di annullare il provvedimento o riformarlo in senso favorevole anche per motivi diversi da quelli enunciati, oppure confermarlo, anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento.

Analizzando nel dettaglio il potere di annullamento, si deve registrare un significativo cambiamento, operato con la legge n. 332 del 1995 e anticipato da un cambiamento a livello

giurisprudenziale da parte della Corte di cassazione con la sent. 14 giugno 1994.

Si è, infatti, eliminato il ‘potere di integrazione’ che si era venuto a creare nella prassi, ovvero la possibilità del giudice del riesame di sanare con efficacia ex nunc il provvedimento cautelare, eludendo così il sistema di garanzie che attribuiva la possibilità di un controllo in seconda battuta dei provvedimenti

de libertate. Addirittura si era ritenuto nettamente indifferente

che ci fosse o meno la motivazione dell’ordinanza (agendo come se non vi fosse l'art. 111 Cost che impone la motivazione dei provvedimenti incidenti sulla libertà personale), perché il Tribunale avrebbe potuto integrare con la motivazione mancante, mostrando adesione a quell'orientamento che qualifica la vicenda cautelare come una fattispecie complessa a formazione progressiva, in cui i due provvedimenti si completano a vicenda.

Tale originaria ricostruzione ignorava apertamente il disposto dell'art. 292, comma 2 c.p.p. nella parte in cui richiede a pena di nullità l'indicazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi all'interno dell'ordinanza che dispone la misura.

Il cambio di rotta effettuato dalla Suprema Corte è stato salutato favorevolmente anche dalla Corte costituzionale, la quale ha avuto modo di affermare che il Tribunale può “esercitare il potere di riforma o di conferma […] anche per motivi diversi da quelli indicati dal ricorrente o enunciati in motivazione, solo se il provvedimento stesso non risulti radicalmente nullo, perché in tale ipotesi deve provvedere esclusivamente all’annullamento dell’atto, non potendosi configurare in suo capo un potere ‘sostitutivo’ quanto all’emissione di un valido provvedimento che potrà, se del caso,

essere adottato dal medesimo organo cui la decisione è stata annullata” ( ). 84

In sostanza, il potere di integrazione del giudice del riesame può verificarsi solo su un provvedimento valido e non può trasformarsi in una validazione postuma di un provvedimento nullo. In cosa si potrebbe sostanziare il potere di annullamento se il collegio avesse la possibilità di integrare l'ordinanza viziata del G.i.p?

Altro tipo di decisione adottabile è quella di riforma del provvedimento. Si ha cura di precisare che la riforma può avvenire solo in melius, operando secondo la dottrina maggioritaria un divieto di reformatio in peius implicito nella finalità stessa dell’istituto, concepito, appunto, come mezzo con esclusiva finalità difensiva.

Tale divieto può anche essere desunto dal fatto che il riesame è una impugnazione riservata alla difesa, mentre il pubblico ministero ha la possibilità di proporre appello cautelare se il giudice procedente applica una misura cautelare diversa da quella che egli stesso aveva richiesto (ad es., il giudice applica la misura degli arresti domiciliari in luogo della custodia in carcere richiesta dal pubblico ministero); se presta acquiescenza e non coltiva l’impugnazione, il giudice del riesame non potrà modificare in senso sfavorevole la misura, in quanto, altrimenti, eserciterebbe ex officio il potere cautelare. Potrebbe, invece, pronunciarsi anche nel senso di una riforma in senso sfavorevole se il pubblico ministero proponesse appello cautelare con conseguente riunione dei giudizi.

Infine, vi è il potere di confermare la misura anche per motivi diversi, che implica un potere di modifica dell’apparato

Ordinanza n. 101 del 1996 con cui la Corte costituzionale rigetta la questione di

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motivazionale della misura, basata su elementi diversi o anche nuovi e quindi sconosciuti al giudice che ha disposto la misura, senza modificare la misura cautelare e le modalità esecutive della stessa. Potrebbe anche, ad esempio, ravvisare negli atti presentati una diversa esigenza cautelare, o ravvisarne ulteriori rispetto a quella individuata dal giudice di prima istanza. Questa conclusione potrebbe esporsi a ragionevoli critiche: se il giudice del riesame potesse ravvisare un cambiamento del

periculum libertatis, si esporrebbe alla critica di un esercizio ex officio del potere cautelare, dal momento che violerebbe il

principio della domanda cautelare.

Va, da ultimo precisato, che la normativa attuale prevede che tali decisioni possono essere prese dal giudice del riesame, se non deve pronunciare l’inammissibilità della richiesta. L’affermazione assume la sua importanza se si getta uno sguardo al passato per notare che la questione della inammissibilità del riesame era una carenza della disciplina originaria. In particolare, si riteneva che la competenza per tale dichiarazione, non spettava al giudice a quo, se non altro perché il dato letterale escludeva ogni vaglio di ammissibilità della richiesta da parte dell’organo che ha emesso il provvedimento, il quale si limitava a trasferire la documentazione.

In via interpretativa, comunque, si riteneva che fosse un compito preliminare essenziale del giudice ad quem, come risulta ormai acquisito dall’art. 309 c.p.p. attuale.