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Sommario: 1 Legittimazione a ricorrere 2 La richiesta di riesame: il termine 3 I provvediment

11. Il termine entro cui rendere la decisione.

Il legislatore del 1988 ha optato per un allargamento dello

spatium deliberandi del giudice del riesame, che, mentre nella

disciplina abrogata disponeva di tre giorni, prorogabili di altri tre per la decisione, oggi ha ha disposizione dieci giorni. Tale allungamento del termine è visto con favore dal momento che anni di prassi precedente hanno posto in evidenza l’insufficienza del tempo a disposizione del giudice del controllo, timoroso di mettere in crisi le esigenze processuali e troppo spesso orientato in un senso contra libertatem. D’altronde, la scelta di garantire un contraddittorio anche in sede di controllo cautelare ha reso necessario anche l’allungamento del termine entro cui il giudice deve analizzare la documentazione preesistente e sopravvenuta alla vicenda cautelare e poi rendere la decisione.

Il termine attuale, in definitiva, rappresenta un soddisfacente bilanciamento tra l’esigenza di rapidità del controllo in una materia così delicata e quella di garantire una valutazione serena e completa da parte del collegio, eliminando il rischio di decisioni avventate e, per questo, tendenzialmente conservative dello stato detentivo.

Il termine indicato non è suscettibile di proroghe, a differenza del passato, quando con la legge 330 del 1988, è stata data la possibilità di una proroga di ulteriori tre gironi se la complessità delle valutazioni lo richiedevano o se il difensore avesse fatto domanda di presenziare all’udienza per illustrare la richiesta. L’aspetto che maggiormente caratterizza il riesame è la correlazione tra l’inosservanza del termine per la decisione e la caducazione degli effetti della misura restrittiva (art. 309, comma 10 c.p.p.). Questo particolare effetto di tacita revoca ex

lege del provvedimento impugnato rappresenta “la massima

garanzia riconoscibile all’imputato a tutela del suo diritto ad ottenere una decisione sulla richiesta di riesame entro i termini legislativamente prefissati” ( ). 85

Una osservazione merita attenzione: nel caso in cui il provvedimento cessi di avere efficacia per decorrenza dei termini entro cui il giudice del riesame avrebbe potuto decidere, non essendoci un provvedimento a sua volta impugnabile, il pubblico ministero non ha alcun rimedio per reagire. Per questo è importante domandarsi se il pubblico ministero può emanare un secondo provvedimento dallo stesso contenuto sullo stesso fatto contestato.

Sembra possibile l’emanazione di un provvedimento dello stesso tipo da parte dello stesso organo solo se il provvedimento stesso si basasse su una diversa valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, altrimenti, se fosse liberamente possibile un ulteriore provvedimento dopo la caducazione degli effetti del primo, si aggirerebbe la previsione stessa di un termine per decidere.

La regola indicata dall’art. 309, comma 10, c.p.p. sembra conoscere un’eccezione, derivante dall’interpretazione giurisprudenziale che ritiene inapplicabile il termine per la decisione nel caso di giudizio di rinvio a seguito dell’annullamento da parte della Corte di cassazione dell’ordinanza emessa in sede di gravame: con una tale affermazione, non scevra di perplessità, dato che più si allontana la decisione sulla vicenda cautelare, più è forte l’esigenza di rapidità, si ritiene che le vicende successive all’ordinanza del Tribunale della libertà non siano rilevanti perché il termine in commento ha la sola funzione di assicurare

V. Grevi, Tribunale della libertà,op. cit., p. 36.

la celerità della pronuncia da parte del tribunale sulla legittimità della detenzione.

La decisione ( ) non è stata priva di critiche, prima fra tutte 86 quella secondo la quale, se la perentorietà nel procedimento di riesame serve ad assicurare la pronta rimozione di un provvedimento illegittimo, non ha senso che essa perda la sua funzione quando il procedimento regredisce al Tribunale del riesame, dopo una fase rescindente davanti alla Corte di cassazione, peraltro senza termini perentori, andando così ad allungare ancora di più i termini di una decisione attesa da un soggetto magari ancora in stato detentivo.

Una questione interessante riguarda, inoltre, il computo del termine entro cui deve essere compiuto il controllo.

Il dies a quo corrisponde, ormai pacificamente, al giorno in cui

tutti gli atti pervengono alla cancelleria del giudice del riesame e

il termine di dieci giorni inizia a decorrere dal giorno successivo, dovendosi neutralizzare il dies a quo stesso.

Il termine scade nel momento in cui ‘interviene’ la decisione: sul significato terminologico di tale espressione si è espressa la giurisprudenza, cercando di dare una interpretazione; si è allora sostenuto che il riferimento è al giorno della deliberazione, dato che il testo richiede la decisione del giudice senza fare menzione del deposito, oppure, dal giorno in cui il provvedimento viene depositato, dal momento che è solo con il deposito che l’ordinanza viene ad ‘esistere’, come sostiene la dottrina maggioritaria.

La Corte di cassazione si è pronunciata in modo singolare sulla vicenda: ha ritenuto che entro il termine previsto deve intervenire il deposito del dispositivo, perché solo con il

cass. S.U, 12 febbraio 1993, in Cass.pen, 1993, 1967; ribadito poi da Cass. S.U,

86

deposito si rende certo per gli interessati il rispetto del termine; ha precisato, però, che la motivazione può essere depositata, in applicazione dell’art. 128 c.p.p., entro cinque giorni successivi alla deliberazione ( ). 87

La decisione si è posta all’attenzione degli studiosi perché sembra voler dilatare lo spatium deliberandi attraverso un

escamotage, che, a tacer d'altro, non trova fondamento nel dato

testuale: l'art. 128 c.p.p. non distingue, come per le sentenze, le varie possibilità di deposito differito o contestuale di dispositivo e motivazione; non vi è neppure il richiamo allo schema tipico della sentenza (anche se la prassi è quella di redigere le ordinanze sulla falsariga delle sentenze), ben potendo il giudice fondere dispositivo e motivazione n un unico ragionamento. C'è una osservazione, fra tutte quelle possibili, che porterebbe a ritenere questa decisione poco attenta ai principi garantistici insiti nel procedimento di cui si discute: senza la motivazione, e senza strumenti per sollecitarne il deposito da parte di un giudice che non provvede entro il termine ordinatorio di cinque giorni, l'indagato che viene raggiunto da un'ordinanza di rigetto dell'impugnazione non ha la possibilità di effettuare il ricorso per cassazione, dato che l'art. 311 c.p.p. richiede un deposito contestuale dei motivi al momento del ricorso.

12. La motivazione del provvedimento limitativo