Sommario: 1 Legittimazione a ricorrere 2 La richiesta di riesame: il termine 3 I provvediment
8. La cognizione del giudice del riesame.
Per esaminare la questione dell'ambito cognitivo del collegio in sede di controllo sul provvedimento restrittivo, occorre partire dal contenuto della richiesta di riesame. Si prevede, infatti, che con la richiesta possono essere indicati anche i motivi (art. 309, comma 6 c.p.p.); si è voluto prescindere quindi da un obbligo di motivazione, optando per una degradazione a mera facoltà. Non interessa ciò che l'impugnante chiede, perché in ogni caso la decisione precedente scade a 'precedente storico' e il caso va deciso ex novo.
È rimessa alle decisioni della difesa la possibilità di indicare i motivi del riesame, aggiungendo forza persuasiva alla richiesta, oppure riservarsi di indicarli in udienza direttamente davanti al giudice, o infine non formulare nessuna doglianza.
La possibilità di proporre una richiesta pura e semplice è una peculiarità del riesame cautelare, che, secondo alcuni è determinante per dissociare questo strumento dalla categoria delle impugnazioni; anzi, anche la collocazione sistematica delle impugnazioni cautelari in una sezione apposita avvalora la tesi appena esposta, così che i principi generali in materia di impugnazioni operano solo se non espressamente derogati. Va precisato, però, che le ricostruzioni teoriche sulla natura del riesame sono più di una, e tutte sono sostenute da valide argomentazioni, come già affermato nel precedente capitolo. La facoltatività dei motivi ha inevitabili riflessi sull'ambito cognitivo del giudice: se è vero che, in base al noto brocardo latino tantum devolutum quantum appellatum, la lamentela dell'interessato segna il limite del campo operativo del giudice ad quem, il Tribunale della libertà non ha alcun limite derivante dalla richiesta dell'impugnante. La richiesta, in questo caso, si
limita a dare un input alla procedura, senza dare ulteriori indicazioni.
Da ciò deriva che il giudice del riesame, ha la possibilità di effettuare un pieno controllo sul provvedimento de libertate, senza limitarsi alle doglianze della parte, che sicuramente possono orientare il giudice, ma altrettanto certamente non lo devono limitare.
Si dice, infatti, che il riesame è un mezzo completamente devolutivo, ossia attribuisce al giudice del controllo il potere di esaminare tutto il provvedimento, in ogni suo aspetto: ne deriva che il giudice del riesame ha gli stessi poteri di cognizione e decisione del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, dovendo operare con un novum iudicium. Infatti, anche la base conoscitiva dei due giudici (quello che ha emesso la misura e quello del controllo) è la stessa per effetto del richiamo all'art. 291 operato dall'art. 309, comma 5, il che significa inevitabilmente che il Tribunale del riesame ha il potere di emanare una decisione sostitutiva della prima sulla scorta di un apprezzamento globale di quegli atti.
In un tale contesto, in cui il giudice del controllo ha un potere decisorio autonomo, senza vincoli di devolutum, finiscono per essere del tutto accessori gli argomenti eventualmente addotti dalla difesa, dovendo il giudice ad quem operare come una sorta di supplenza nei confronti della difesa.
La scelta di conferire tali ampi poteri al Tribunale della libertà trovava giustificazione nell'assetto complessivo del riesame, prima di essere modificato dalle novelle successive: la difesa non conosceva gli atti processuali su cui si basava il provvedimento, quindi era completamente all'oscuro dei documenti necessari per sollevare censure nei confronti del primo giudice, risolvendosi l'istanza di riesame, come è stata
efficacemente definita, in una mera protesta di ingiustizia elevata al buio.
Oggi, dopo le modifiche che permettono di visionare gli atti depositati dal pubblico ministero prima della impugnazione e la tendenziale parità tra le parti processuali, si potrebbe pensare che l'opera di supplenza del giudice del riesame possa venire meno, e anzi, sia auspicabile un controllo più mirato per ottenere provvedimenti adeguatamente motivati ( ). 77
In particolare, la giurisprudenza ritiene che il giudice del controllo possa addirittura spingersi a sanare eventuali vizi dell'ordinanza applicativa, sostituendosi quindi nell'emissione di un valido provvedimento, sulla base dell'interpretazione letterale dell'art. 309, comma 9 nella parte in cui prevede la possibilità di confermare il provvedimento anche per motivi diversi da quelli indicati nella motivazione. Verrebbe, quindi, valorizzata quella tesi per cui la vicenda cautelare sia una "fattispecie a formazione progressiva", formata dal provvedimento impugnato e dalla decisione del Tribunale del riesame, provvedimenti solo formalmente distinti ma sostanzialmente congiunti.
Al di là delle critiche che possono muoversi verso questa impostazione, sottolineate anche dalla Corte costituzionale nella ordinanza n. 101 del 3 aprile 1996, (se fosse davvero una fattispecie a formazione progressiva il controllo sarebbe obbligatorio e non facoltativamente introdotto a istanza di parte), si deve notare che il riesame è stato introdotto come rimedio ex post, da utilizzare avverso un provvedimento già perfette ed efficace, quindi non può ritorcersi contro chi lo ha attivato, e che dovrebbe essere garantito da questo controllo, permettendo che un provvedimento illegittimo diventi legittimo
Per tali osservazioni Spagnolo, Il tribunale della libertà, Milano, 2008, p. 139.
per l'intervento di un organo diverso che avrebbe dovuto solamente controllare l'operato del primo giudice.
Inoltre, questo ampio potere del giudice del riesame, potrebbe generare l'effetto di deresponsabilizzare il giudice del primo grado, il quale saprà che ci sarà un giudice collegiale che controllerà ogni mancanza, sia di legittimità che di merito. Si arriverebbe non solo a snaturare l'istituto ma soprattutto a sacrificare in nome di un malinteso senso di economia processuale, principi basilari della Costituzione.
Perché il giudice del riesame possa esercitare un potere in tutto e per tutto identico a quello del giudice di primo grado, è necessario che abbia anche le stesse conoscenze.
Come già più sopra ampiamente osservato, l'attuale art. 309 comma 5, c.p.p., prevede che l'autorità procedente debba inviare al Tribunale della libertà i documenti su cui si basa il provvedimento ed eventuali elementi sopravvenuti a favore dell'imputato. Ne deriva una facile conclusione, ossia che spetta al pubblico ministero un potere di scelta dei documenti da sottoporre al giudice cautelare prima, e al giudice del riesame poi. Il contraddittorio camerale si svolge sulla 'selezione probatoria' effettuata a monte dal pubblico ministero, tra l'altro senza che tale attività possa essere sindacata: il pubblico ministero sceglie quali sono le carte da giocare subito in sede cautelare, ponderando il quantum probatorio da portare a conoscenza della controparte, considerando però anche il rischio di non riuscire a convincere il giudice della libertà se il materiale prodotto è insufficiente.
In questa sede sembra utile osservare che, oltre al problema collegato alla mancanza di una norma volta a controllare che il pubblico ministero non abbia "dimenticato" niente all'interno del fascicolo dell'accusa e soprattutto non abbia tralasciato
l'aspetto importante degli elementi a favore dell'imputato, che si prevede debbano essere depositati solo dopo la novella 332/1995, rimane irrisolto il problema se il pubblico ministero possa integrare la documentazione trasmessa, non tanto con gli elementi sopravvenuti, ma con elementi già conosciuti e non introdotti con la richiesta di applicazione della misura cautelare. Si può concludere, quindi, che la documentazione depositata ex art. 291 c.p.p. per la richiesta di applicazione di una misura cautelare rappresenta il minimo necessario e sufficiente per rendere un giudizio di controllo in sede di riesame, ma se vi sono elementi sopravvenuti a favore dell'imputato anche questi devono poter essere introdotto nel giudizio.
La facoltà di una discovery parziale degli atti di indagine può essere esercitata solo davanti al G.i.p.: una volta scelti, gli elementi a carico devono essere sommati agli elementi a discarico, dopodiché non sono ammessi ripensamenti o altre cernite.