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3. L’organizzazione del servizio idrico integrato dal Codice dell’ambiente ad

3.3 L’Ambito Territoriale Ottimale

Ai sensi dell’art. 147 d.lgs. n. 152/2006, i servizi idrici sono organizzati sulla base degli Ambiti Territoriali Ottimali, per la cui definizione si rinvia integralmente alle delimitazioni territoriali già effettuate dalle Regioni in attuazione dell’abrogata legge Galli. Le Regioni possono apportare delle modifiche, per il miglioramento della gestione del servizio idrico, assicurandone, comunque, lo svolgimento secondo criteri di efficienza ed economicità.

La prima regola per procedere alle modifiche attiene all’unità del bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini idrografici contigui, tenuto conto dei piani di bacino, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione, anche derivanti da consuetudini in favore dei centri abitati interessati173.

Il testo originario del secondo comma dell’art. 147, alla lett. b, dava risalto, quale ulteriore criterio, all’unicità della gestione. Sul punto è intervenuto, nel 2007, un decreto correttivo, stabilendo che la gestione del servizio idrico integrato

Corso, I beni pubblici come strumento essenziale dei servizi di pubblica utilità, in Associazione Italiana dei professori di diritto amministrativo, Annuario 2003, Milano, 2004.

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A.M. Altieri, Il servizio idrico integrato e il regime giuridico delle reti, cit.

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Il nuovo testo non impone più di tenere conto delle previsioni e dei vincoli contenuti nel piano regolatore generale degli acquedotti e nei piani regionali di risanamento delle acque, di cui alla legge n. 319/1976 e successive modificazioni, ora in parte trasferiti con le opportune modifiche nei Piani di tutela.

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di ciascun Ambito dovesse rispondere a criteri unitari e non dovesse, quindi, essere necessariamente “unica”, affidata cioè ad un unico gestore. Nella Relazione illustrativa al decreto correttivo citato si giustificava la riforma con la necessità di adeguare le forme di gestione del servizio idrico integrato al panorama comunitario, che conosce fenomeni complessi e diversificati di gestione. Peraltro, il Consiglio di Stato evidenziò “il rischio di un sostanziale ritorno al sistema

precedente, e dunque ad un numero di gestori potenzialmente pari al numero di Comuni che fanno parte dell’A.T.O.”174, annullando così il grande merito della legge Galli, cioè quello di aver puntato a superare la frammentazione delle gestioni esistenti175. Da ultimo, a distanza di anni, l’osservazione del Consiglio di Stato è stata accolta dal decreto legge n. 133 del 12 settembre 2014 (cd. sblocca Italia), convertito con modificazioni in legge n. 164 dell’11 novembre 2014, che ha previsto il ritorno al criterio della “unicità della gestione”.

Il terzo criterio sulla scorta del quale le Regioni possono ridefinire i limiti territoriali è quello dell’adeguatezza delle dimensioni gestionali, determinata in base a parametri fisici, demografici e tecnici.

Inoltre, come previsto dall’art. 2, comma 38, della legge n. 244/2007 (finanziaria 2008), le Regioni avrebbero dovuto procedere, entro il 1° luglio 2008, alla rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali secondo i principi dell’efficienza e della riduzione della spesa e nel rispetto, non solo dei criteri stabiliti dall’art. 147 del Codice dell’ambiente, ma anche del criterio della

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Cons. Stato, Sez. cons. atti normativi, 9 luglio 2007, n. 2660; Id., 5 novembre 2007, n. 3838, in www.giustizia-amministrativa.it, 2007. Lo stesso Consiglio di Stato aveva anche precisato che la modifica esulava“dai limiti del potere correttivo e integrativo, perché non risulta(va) giustificata da una esigenza pratica specifica”,soprattutto in considerazione del fatto che il decreto legislativo già consentiva temperamenti al sistema del gestore unico (cfr. art. 200).

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Peraltro, anche nella legge Galli il principio della unicità della gestione ammetteva delle eccezioni: nel caso in cui si intendesse salvaguardare le forme e le capacità gestionali degli organismi già esistenti che rispondessero a criteri di efficienza, efficacia ed economicità (art. 9, comma 4, legge n. 36/1994), si consentiva agli enti locali di continuare a provvedere alla gestione integrata del servizio idrico con una pluralità di soggetti e forme di gestione. Vi era, però, l’obbligo di individuare un soggetto che svolgesse un compito di coordinamento del servizio e di adottare ogni altra misura necessaria per l’organizzazione e l’integrazione delle funzioni fra la pluralità di soggetti gestori.

Inoltre, probabilmente, indicendo una gara, non si sarebbe andati necessariamente incontro ad un sistema frammentato, potendosi formare una concentrazione di gestioni in capo a pochi, e, anche ove ciò non fosse avvenuto, la molteplicità di gestori avrebbe potuto incentivare la competizione, garantendo l’efficienza del servizio reso.

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valutazione prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali176. Le economie a carattere permanente derivanti dal ridimensionamento dell’apparato amministrativo avrebbero dovuto essere destinate al potenziamento e all’ammodernamento delle infrastrutture, nonché al contenimento delle tariffe per gli utenti domestici finali177.

Tuttavia, la priorità data al criterio del territorio provinciale avrebbe potuto contrastare con i criteri individuati dal Codice per delimitare gli ambiti territoriali ottimali, segnatamente con quelli dell’unità del bacino idrografico e dell’adeguatezza delle dimensioni gestionali, nonché con il principio di efficienza richiamato dalla stessa disposizione della legge finanziaria del 2008.

Anche l’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva avuto occasione di evidenziare che, tra i principali ostacoli al raggiungimento di un’organizzazione efficiente dei gestori dei servizi idrici integrati, vi fossero proprio le dimensioni ancora eccessivamente ridotte dei singoli ambiti operativi, per lo più corrispondenti ai territori provinciali e tali da non consentire la realizzazione di opportune economie di scala178.

Oggi, il comma 2 bis dell’art. 147, introdotto dal citato d.l. n. 133/2014, conv. con modif. in l. 164/2014, dispone che “qualora l’Ambito territoriale ottimale

coincida con l’intero territorio regionale, ove si renda necessario al fine di conseguire una maggiore efficienza gestionale ed una migliore qualità del servizio all’utenza, è consentito l’affidamento del servizio idrico integrato in ambiti territoriali comunque non inferiori agli ambiti territoriali corrispondenti alle province o alle città metropolitane”.

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La soluzione emersa sembrava quella di una rivalutazione del ruolo delle province, cfr. F. Merusi, Acqua e Istituzioni, in Dir. Ec., 2009, p. 32.

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La citata disposizione tendeva ad attuare una finalità più generale, esplicitata dall’art. 2, comma 33, della stessa legge n. 244/2007: riallocare agli enti locali le funzioni in tutto o in parte coincidenti con quelle a loro assegnate ed attualmente svolte da altri enti che si intendeva accorpare o sopprimere. Non si può non condividere tale scelta, ispirata al contenimento dell’ormai insostenibile proliferazione di enti pubblici.

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Le economie di scala costituiscono, in effetti, una condizione indispensabile affinché le imprese del settore siano effettivamente in grado di fornire servizi di migliore qualità, con costi, e quindi prezzi, realmente competitivi. Cfr. Autorità garante della concorrenza e del mercato, AS430, Segnalazione del 22 novembre 2007 sul testo di disegno di legge finanziaria 2008 approvato dal Senato il 15 novembre 2007, in www.agcm.it, 2007.

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