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Ammissibilità dell’affitto di azienda nel concordato con continuità

Da quando il decreto sviluppo è entrato in vigore, in dottrina e in giurisprudenza si sono formati due indirizzi interpretativi opposti in tema di ammissibilità dell’affitto di azienda nell’ambito dell’istituto del concordato preventivo con continuità aziendale. Un primo orientamento è nel senso dell’incompatibilità dell’affitto di azienda con il concordato con continuità, e tra i collegi che hanno da subito aderito a questo filone interpretativo merita menzione quello di Terni, il quale con il decreto del 28 gennaio 2013 ha affermato che “laddove il legislatore ha fatto riferimento alla cessione di azienda in esercizio sembra aver chiaramente escluso la distinta ipotesi dell’affitto di

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azienda”, e con il successivo decreto del 12 febbraio 2013 ha ribadito che l’art. 186-bis circoscrive il perimetro di applicabilità del concordato con continuità alle “ipotesi di prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, cessione dell’azienda in esercizio e suo conferimento in una o più società anche di nuova costituzione, con esclusione dell’affitto di azienda, pur se previsto in funzione della successiva cessione di azienda”15, assumendo pertanto una posizione molto netta.

Chi sostiene la tesi dell’incompatibilità, dunque, fa innanzitutto riferimento alla lettera dell’art. 186-bis, la quale appare molto chiara: quando il piano di concordato di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni sul concordato con continuità.

L’intento del legislatore, dunque, sembra essere stato quello di voler contemplare anche il caso di prosecuzione “indiretta” dell’attività di impresa, ma solo tramite la cessione e il conferimento, escludendo invece il caso dell’affitto. Coerentemente, anche il terzo comma della norma, in tema di continuazione dei contratti in corso di esecuzione, laddove prevede che della continuazione possa beneficiare anche la società cessionaria o conferitaria dell’azienda (o di rami d’azienda) cui siano trasferiti i contratti, sembra escludere dall’istituto la società affittuaria.

In secondo luogo, il legislatore, dal momento che ha impiegato i termini “cessione” e “conferimento”, sembra aver voluto fare riferimento a ipotesi di trasferimento del diritto di proprietà del complesso aziendale a soggetti terzi, con conseguente esclusione dalla fattispecie dell’affitto di azienda.

Tuttavia, a parer mio, l’argomento maggiormente idoneo a suffragare l’incompatibilità dell’affitto di azienda con il concordato con continuità, è quello riguardante il rischio derivante dall’esercizio dell’attività di impresa16

.

È certo che la principale conseguenza derivante dall’esercizio dell’attività di impresa, e quindi dalla continuità aziendale, sotto il profilo patrimoniale è il rischio di impresa che

15

Decreti, questi, entrambi reperibili in www.ilcaso.it.

16 In tal senso si esprimono anche L. Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, cit., D. Galletti, La strana vicenda del concordato in continuità e dell’affitto di azienda, in www.ilfallimentarista.it e R.

Amatore nella sua nota al decreto del 10 marzo 2015 del Tribunale di Bolzano in www.ilfallimentarista.it.

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continua a gravare sugli aventi causa dell’imprenditore: soci, ossia prestatori di capitale di rischio e creditori, ossia prestatori di capitale di debito17.

Se l’impresa gode di un certo credito sul mercato, e dunque sia ragionevole presupporre la prosecuzione dell’attività, il suo stesso svolgersi farà maturare un ulteriore rischio di impresa che graverà su tutti i creditori, e in particolar modo su quelli che avranno ritenuto di confermare la propria fiducia nell’impresa in crisi consentendole di proseguire. Del resto, è proprio in ragione del permanere del rischio di impresa in capo ai creditori concorsuali che si giustifica il controllo degli organi della procedura sulla continuità aziendale.

Ora, come sappiamo, il legislatore, nell’ambito del fallimento consente che l’impresa venga affittata a condizione che l’affitto sia finalizzato alla più proficua vendita della stessa e che la sua durata sia compatibile con le esigenze di liquidazione dei beni18. Ebbene, nessuna norma si preoccupa di tutelare i creditori dal rischio di impresa inerente alla conduzione dell’azienda fallita da parte dell’affittuario, per il semplice fatto che, nel caso dell’affitto di azienda in fallimento il rischio di impresa si sposta dai creditori concorsuali all’affittuario, mentre l’unico rischio che rimarrà pendente in capo ai creditori concernerà il mancato pagamento del canone.

Lo stesso accade nell’ambito del concordato. I creditori concorsuali sono destinati a sopportare il rischio di impresa soltanto finché la stessa è condotta dall’imprenditore in concordato. Invece, quando sia concluso un contratto di affitto, precedentemente all’apertura della procedura concordataria o nel corso della stessa, dal momento della stipulazione del contratto di affitto il rischio di impresa graverà sull’affittuario19.

Ne consegue che il rischio di impresa o non graverà mai sui creditori concorsuali (se il contratto di affitto è stato stipulato prima dell’apertura della procedura concordataria) o cesserà di gravare sui creditori concorsuali dal momento in cui, in pendenza di concordato, sarà stipulato il contratto di affitto. I sostenitori di questa tesi affermano che, soprattutto nel caso in cui siano contrattualmente previsti dei canoni fissi e predeterminati in favore dell’affittante, i creditori concordatari saranno soddisfatti con le risorse provenienti dall’affittuario, e la loro soddisfazione sarà totalmente svincolata dall’andamento della gestione; in tali casi non sopporterebbero dunque alcun rischio con riferimento alla continuazione dell’esercizio dell’attività di impresa.

17 F. Di Marzio, affitto d’azienda e concordato in continuità aziendale, in www.ilfallimentarista.it. 18

Art. 104-bis legge fallimentare. 19

R. Amatore nella sua nota al decreto del 10 marzo 2015 del Tribunale di Bolzano in www.ilfallimentarista.it.

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Ulteriore considerazione che il Tribunale di Terni ha apportato a sostegno dell’incompatibilità dell’affitto di azienda con il concordato con continuità, è quella relativa ai dati e all’attestazione ulteriori che il legislatore richiede nel caso in cui il piano contempli la continuità. Invero, sull’assunto che le integrazioni in questione si giustifichino in ragione della rischiosità che la continuità comporta per i creditori concordatari, il Collegio si è espresso in questi termini: “non avrebbe senso imporre l’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa, delle risorse necessarie e delle relative modalità di copertura, nonché l’attestazione che la prosecuzione dell’attività di impresa prevista dal piano è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, laddove si tratti di condizioni di rischio proprie dell’affittuario, che non ricadrebbero dunque sul ceto creditorio, quantomeno a fronte di un canone che sia predeterminato in misura fissa, e non parametrato sull’andamento dell’attività svolta dall’affittuario”20

.

Confermando lo stesso orientamento con successivo decreto del 2 aprile 2013, il medesimo Tribunale ha ribadito che il contenuto integrativo del piano e della relazione, richiesto dall’art. 186-bis, mal si concilia con il caso in cui il rischio di impresa sia sopportato dall’affittuario e non dal debitore.

Le disposizioni di cui all’art. 186-bis, infatti, non sono dettate a favore della continuità proposta dal debitore ma, piuttosto, a tutela dei creditori a fronte del maggior rischio che la continuità comporta soprattutto in termini di aleatorietà dei flussi economici in entrata e di incremento di passività in prededuzione; tuttavia, nel caso in cui sia l’affittuario a esercitare l’attività di impresa, i flussi economici in entrata verosimilmente coincideranno con i canoni pattuiti (non scontando dunque aleatorietà alcuna), e le passività in prededuzione non si generano dal momento che il debitore non risponde delle passività contratte dall’affittuario.

Nello steso decreto in esame, il Collegio ha precisato che, solo qualora il canone non sia predeterminato ma collegato alla gestione dell’affittuario, i creditori, seppur indirettamente, sopportano il rischio della gestione e dunque è opportuno che il piano e l’attestazione includano quel contenuto integrativo richiesto dall’art. 186-bis a tutela del ceto creditorio.

Altro elemento che porta una parte della dottrina a propendere per l’incompatibilità è quello che involge una considerazione di ordine logico; se per mezzo del contratto di

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affitto l’azienda viene restituita al mercato, non si capisce per quale motivo dovrebbero trovare applicazione, in favore di un soggetto terzo rispetto alla procedura, le agevolazioni riconosciute in caso di continuità. Riconoscere i vantaggi a un soggetto terzo, non solo altererebbe le condizioni di mercato consentendo indebiti vantaggi differenziali ad un operatore rispetto a tutti gli altri operatori che operano a parità di condizioni, ma addirittura troverebbe scarsa giustificazione sotto il profilo dell’interesse: da un lato l’affittuario non sarebbe interessato ad avvantaggiarsi di regole dettate per gli imprenditori in procedura, dall’altro anche l’imprenditore in procedura (affittante) non sarebbe interessato a agevolazioni inerenti alla conduzione di un’azienda che egli non sta conducendo. 21

Qualora il piano preveda la continuità tramite l’affitto, mal si comprende la ragione per cui il debitore dovrebbe chiedere al tribunale, ai sensi dell’art. 182-quinquies comma 5, di essere autorizzato a pagare i crediti anteriori per prestazioni essenziali in favore dell’affittuaria22

; altrettanto male si comprende la ragione per cui, ai sensi dell’art. 182- quinquies comma 3, il debitore dovrebbe chiedere al tribunale di essere autorizzato a contrarre finanziamenti prededucibili nel caso in cui l’attività che ne dovrebbe consentire il rimborso sia svolta da altro soggetto.

Passiamo ora all’analisi del secondo filone interpretativo circa la riconducibilità dell’affitto d’azienda alla fattispecie del concordato con continuità, quello che propende per la compatibilità tra i 2 istituti.

Il Foro che per primo ha deciso di discostarsi dalle precedenti pronunce di altri Tribunali è quello di Bolzano. Il collegio, con decreto del 27 febbraio 2013, ha manifestato espressamente di non condividere le argomentazioni di coloro i quali escludono tassativamente la compatibilità dell’affitto di azienda con il concordato in continuità.

Il primo argomento utilizzato dai giudici di Bolzano attiene al dato letterale fornito dall’art. 186-bis; si legge infatti nel decreto: “in tutti i casi in cui l’imprenditore intenda avvalersi dello strumento del contratto di affitto di azienda, l’attività di impresa continua a proseguire in capo allo stesso. L’art. 186-bis, nel prevedere la forma di

21

F. Di Marzio, affitto d’azienda e concordato in continuità aziendale, in www.ilfallimentarista.it. 22

Una motivazione potrebbe essere rinvenuta nella circostanza che il creditore si rifiuti di proseguire il rapporto di fornitura con l’affittuario fino a quando il concedente non abbia onorato il proprio debito e l’affittuario subordini la stipulazione del contratto di affitto alla prosecuzione di quel rapporto di fornitura.

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prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, non distingue tra attività esercitata direttamente e attività esercitata indirettamente dal debitore/imprenditore. Pertanto pare logico ritenere che l’attività di affitto di azienda sia necessariamente compresa nell’esercizio dell’attività di impresa.”

Seconda argomentazione a sostegno della compatibilità, è la mancata cessazione di attività di impresa da parte dell’imprenditore nel caso di affitto di azienda. Infatti, anche se l’azienda viene affittata, il debitore affittante avrà comunque dei ricavi, rappresentati dal canone variabile o fisso, e dei costi composti in via esclusiva o parziale della gestione del contratto di affitto. Non solo, dunque, l’attività di gestione da parte del debitore non cessa, ma potrebbe continuare a scontare incertezza con riguardo ai ricavi soprattutto laddove questi fossero correlati all’andamento dell’azienda affittata.

Se è pacifico che la nuova disciplina in tema di concordato sia nata dall’esigenza di rendere lo strumento il più versatile e flessibile possibile, potendo l’affitto ben costituire una soluzione utile per fare cassa e dare respiro ad una azienda sana ma in crisi di liquidità, non si vede perché dovrebbe essere esclusa a priori la possibilità di avvalersi di questo strumento.

L’affitto di azienda, pertanto, dovrebbe essere uno strumento a cui l’imprenditore in crisi acceda senza limitazioni aprioristiche per consentire l’acquisizione di liquidità necessaria per superare la crisi di squilibrio finanziario23.

A sostegno della compatibilità, altri Tribunali24 hanno argomentato riferendosi alla preminenza dell’elemento oggettivo della prosecuzione dell’attività di impresa.

Con decreto del 29 ottobre 2013, il tribunale di Cuneo, considerando che la disciplina del concordato preventivo trova applicazione alla continuità aziendale intesa sia in senso soggettivo che in senso oggettivo (dal momento che sussiste sia che l’imprenditore prosegua l’attività in proprio, sia che egli proceda alla cessione del complesso aziendale a un soggetto terzo, anche mediante conferimento), ha stabilito che: “anche la previsione dell’affitto come elemento del piano concordatario, purché finalizzato al trasferimento dell’azienda e non destinato alla mera conservazione del valore dei beni aziendali al fine di una loro più fruttuosa liquidazione, benché non espressamente contemplata dalla norma, deve ritenersi riconducibile all’ambito disciplinato dall’art. 186 bis della legge fallimentare. […]

23

Tribunale di Bolzano, decr. 27.02.2013

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Non può infatti dubitarsi, ad avviso di questo collegio, della permanenza della qualifica di imprenditore in capo, non solo a chi conceda, ma anche a chi abbia concesso prima della presentazione del ricorso, in affitto l’azienda oggetto dell’impresa, la cui allocazione è in linea di principio temporanea, poiché destinata alla retrocessione nel patrimonio del locatore per effetto della naturale scadenza convenzionale ovvero dello scioglimento, a norma dell’art. 169-bis, in quanto contratto pendente.

Ma l’argomento che maggiormente rileva, è che l’attività imprenditoriale in sé non cessa. Lo spartiacque tra concordato liquidatorio e con continuità aziendale è infatti di tipo oggettivo e non soggettivo: ciò che conta è che l’azienda sia in esercizio (non rileva se ad opera dell’imprenditore stesso o di un terzo), […], apparendo in tal caso incontestabile che il rischio di impresa continui a gravare, seppur indirettamente, sul soggetto in concordato e che l’andamento dell’attività incida, in ultima analisi sulla fattibilità del piano.”

Il decreto in argomento offre il destro per precisare che parte della dottrina ritiene compatibile l’affitto d’azienda con il concordato con continuità solo nel caso di utilizzo di detto strumento come “ponte” verso una successiva operazione di cessione.

Alcuni autori precisano infatti che si debba distinguere tra l’affitto che non incorpori un impegno o una promessa ad acquistare l’azienda (o un suo ramo) e l’affitto prodromico al trasferimento dei beni affittati.

La prima ipotesi, secondo questo filone interpretativo, non rientrerebbe nell’ambito applicativo della fattispecie in esame alla luce del tenore letterale dell’art. 186-bis della legge fallimentare, dal quale sembrerebbe evincersi con chiarezza che la continuità e perseguibile solamente tramite la gestione diretta, la cessione o il conferimento.

La seconda ipotesi, sempre secondo i fautori di questa tesi, deve essere scrutinata nelle sue due possibili manifestazioni alternative di contratto di affitto di azienda quale elemento del piano concordatario e di contratto di affitto di azienda già stipulato all’epoca del deposito del ricorso ex art. 161: il primo caso, infatti, parrebbe ancora riconducibile all’istituto del concordato con continuità aziendale purché l’affittuario si impegni all’acquisto; il secondo caso è invece più controverso poiché, sulla base di una mera interpretazione letterale si potrebbe ritenere che questo contratto esuli dal campo di applicazione dell’art. 186-bis dal momento che questa norma sembrerebbe, per un verso, imporre che sia il piano a prevedere la cessione o il conferimento (non un contratto ad esso anteriore) e, per altro verso collegare la continuità alla circostanza che

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l’imprenditore sia alla guida dell’azienda in crisi nel momento in cui deposita il ricorso per l’ammissione alla procedura concordataria25

.

Invero, il Tribunale di Cuneo non ha fatto altro che accogliere la tesi già prospettata in precedenza anche dal Tribunale di Firenze il quale, con decreto del 27 marzo 2013, aveva ritenuto che, dal momento che la disciplina del concordato con continuità prevede la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio, ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, è evidente che il punto centrale sia costituito dall’elemento oggettivo della prosecuzione dell’attività di impresa; sarebbe pertanto del tutto irrilevante la questione inerente al soggetto che garantisce la continuità, se il debitore o imprenditore diverso.

Sebbene non utilizzato da alcun Collegio, l’argomento che a parer mio dovrebbe far propendere per la compatibilità tra affitto di azienda e concordato con continuità, è costituito dalle analogie che si riscontrano tra affitto e conferimento. Con l’operazione di conferimento il debitore conferisce l’azienda in esercizio in una (o più) società ottenendo in contropartita una partecipazione al capitale sociale della conferitaria. Anche in questo caso, similmente a quanto avviene ricorrendo all’affitto, il debitore esce dalla gestione diretta dell’azienda; sarà la conferitaria a svolgere l’attività di gestione del compendio aziendale e quindi a conseguire gli utili o subire le perdite che ne derivano. Tuttavia la conferente, seppur indirettamente, rimane soggetta al rischio relativo alla gestione della conferitaria dal momento che a questa è correlato l’incasso di dividendi; è proprio con i dividendi percepiti, ed eventualmente con il corrispettivo derivante dalla cessione della partecipazione26, che il debitore provvederà a pagare i creditori.

Ebbene, anche ricorrendo allo strumento dell’affitto d’azienda la situazione non è dissimile: la concedente non gestirà più l’azienda e percepirà i canoni di affitto mediante i quali andrà a soddisfare i creditori27.

Alla luce delle evidenti analogie, non si capisce allora, dal momento che il legislatore ha tipizzato il conferimento, includendolo espressamente tra le soluzioni idonee a garantire

25

G. Covino e L. Jeantet, il concordato con continuità aziendale: compatibilità con l’affitto di azienda e

durata poliennale del piano, in www.ilfallimentarista.it. 26

Anche in questo caso, tuttavia, il prezzo di cessione è collegato alla gestione della conferitaria e quindi la conferente, seppur indirettamente, è soggetta al rischio imprenditoriale.

27

Pare d’uopo precisare che, così come nel conferimento in caso di mala gestio della conferitaria la conferente rischia di non percepire dividendi, anche nell’affitto, in caso di mala gestio dell’affittuaria (e di conseguente insolvenza), l’affittante rischia di non percepire il canone pattuito contrattualmente.

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la continuità, perché non dovrebbe esser considerato strumento idoneo allo scopo anche l’affitto di azienda28

.

28

In questo senso anche G. Varrasi, l’ammissibilità dell’affitto di azienda con successiva cessione nel

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CAPITOLO II

IL PIANO E L’ATTESTAZIONE

SEZIONE I : IL PIANO

2.1 Principi per la redazione dei piani di risanamento.

Al momento in cui il presente elaborato viene steso sono in corso i lavori in commissione ANDAF (Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari) AIDEA (Accademia Italiana di Economia Aziendale) per la predisposizione di un documento congiunto recante i Principi di Redazione dei Piani di Risanamento.

La complessità della materia, già in passato, ha indotto alla formazione di tavoli volti a individuare linee guida e principi per consentire approcci quanto più possibile meditati e uniformi; attualmente, e fino a quando il documento recante i Principi per la Redazione dei Piani di Risanamento non sarà ultimato, è alle linee guida contenute negli elaborati scaturenti dai summenzionati tavoli che i professionisti fanno riferimento per la redazione dei piani di risanamento.

Il primo documento utile allo scopo è quello recante le Linee Guida per il Finanziamento delle Imprese in Crisi, redatto in una prima edizione nel 2010 e in una seconda nel 2015 dall’Università di Firenze con Assonime e Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti Esperti Contabili.

Nelle Linee Guida il piano viene definito come un insieme di atti e eventi tra loro coordinati e finalizzati al raggiungimento dell’obiettivo del piano medesimo; il piano, ai sensi dei principi in commento, deve illustrare in modo circostanziato gli elementi di specificità derivanti dalla condizione in cui versa l’impresa indicando:

a) le cause della crisi (con distinzione tra cause interne e esterne);

b) lo stato di solvibilità e liquidità, con particolare riferimento alle componenti attive del patrimonio;

c) ulteriori elementi caratterizzanti lo stato di crisi dell’impresa.