La conceria Rossi S.p.A. fin dal 1929 esercita attività di produzione di cuoio, crescendo e affermandosi sul mercato internazionale senza rinnegare il patrimonio storico e culturale da cui deriva. Il percorso della conceria Rossi ha visto avvicendarsi quattro generazioni di una famiglia e riflette la tradizione dei luoghi e la capacità degli uomini di trasformarsi da artigiani in imprenditori.
La conceria Rossi S.p.A. è oggi una delle realtà più importanti del comprensorio del cuoio, una realtà in cui innovazione e tradizione convivono e rappresentano la filosofia aziendale.
Il tipo di attività è prettamente industriale, integrata ed espletata attraverso l’esecuzione dell’intero ciclo di produzione che prevede l’acquisizione della materia prima grezza (pelli intere salate-fresche) e la sua trasformazione nel prodotto finale cuoio prevalentemente per calzature. L’accurata scelta delle materie prime, unita al processo di concia classico, mediante l’utilizzo di vasche ed estratti vegetali, garantiscono un prodotto di altissima qualità apprezzato in tutto il mondo.
Tale scelta ha tuttavia comportato fino ad oggi, un significativo impegno finanziario. Quindi, quello che in tempi passati ha costituito una ricchezza del settore industriale, negli ultimi anni, condizionati dalla riduzione della domanda, dall’accresciuta spinta concorrenziale e dalla conseguente scarsa vivacità dei prezzi di vendita, ha costituito un appesantimento delle giacenze di magazzino e del loro costo in termini finanziari. Questi elementi hanno portato ad una progressiva rigidità della struttura finanziaria e alla difficoltà nell’onorare gli impegni assunti con il ceto bancario; da qui la decisione dell’organo amministrativo di valutare le possibili azioni per il ripristino delle condizioni di equilibrio economico e finanziario e il rimborso, ancorché dilazionato, delle esposizioni in essere.
Prima di procedere all’analisi delle diverse ipotesi di salvataggio che sono state oggetto di valutazione da parte dei creditori, è necessario comprendere le cause della crisi e per farlo non si può prescindere dall’analisi del bilancio della società. Di seguito sono
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riportati gli stati patrimoniali e i conti economici della Rossi S.p.A. relativi al triennio 2012-2014.
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Per comprendere l’evoluzione patrimoniale della società nel triennio oggetto di analisi, è necessario analizzare i principali indici patrimoniali qui di seguito riportati.
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Dall’analisi degli indici di stato patrimoniale relativi al triennio 2012-2014, emerge una situazione che lascia sperare nel buon esito del tentativo di risanamento.
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Come è possibile notare dagli indici di autonomia finanziaria, e parallelamente da quelli di indebitamento complessivo, la società risulta essere ben capitalizzata, con dei mezzi propri che si attestato su percentuali ben superiori al 30% del totale delle fonti negli anni 2012 e 2013 e leggermente inferiori per l’anno 2014 (flessione dovuta alla perdita di esercizio).
Il dato più preoccupante che emerge dall’analisi degli indici di stato patrimoniale è quello concernente lo squilibrio tra l’indebitamento a breve scadenza e quello a lunga scadenza; nell’ambito del capitale di credito, infatti, i debiti a breve scadenza sono percentualmente molto superiori rispetto a quelli a lunga scadenza. Se una simile situazione non desta particolari preoccupazioni quando una società è in grado di produrre flussi di cassa sufficienti per onorare le scadenze, lo stesso non può certamente dirsi in caso contrario e, anzi, è proprio l’insufficienza dei flussi di cassa prodotti a far fronte ai debiti a breve termine che spesso determina la manifestazione di situazioni di illiquidità che sfociano in crisi conclamata.
Gli indici di correlazione tra fonti e impieghi denotano una certa solidità patrimoniale; il quoziente primario di struttura presenta valori superiori a 1,5 nel 2012 e nel 2013 e solo nel 2014 scende al di sotto di 1 (in conseguenza della perdita); il quoziente secondario di struttura sfiora addirittura valori prossimi a 2. Se il quoziente primario di struttura è superiore a 1, significa che le immobilizzazioni sono interamente finanziate dai mezzi propri, i quali finanziano in parte anche l’attivo circolante.
Risulta pertanto rispettato il principio secondo cui l’attivo fisso dovrebbe essere finanziato prevalentemente con il passivo permanente.
Il quoziente di disponibilità, con valori che nel triennio in esame si mantengono abbondantemente superiori a 1, denota la “teorica” capacità dell’azienda di far fronte alle obbligazioni a breve termine grazie all’attivo “prontamente liquidabile”; risulta pertanto rispettato anche il principio secondo cui l’attivo circolante dovrebbe essere finanziato prevalentemente con il passivo corrente. Questo valore non deve però trarre in inganno: il fatto che il quoziente secondario di disponibilità si attesti su valori prossimi a 0,6 testimonia il fatto che l’attivo circolante sia sufficiente a coprire le passività a breve in gran parte grazie al valore delle rimanenze.
Tuttavia il magazzino rappresenta un impiego non numerario non sempre destinato a convertirsi in breve tempo in impiego numerario e questo, soprattutto nei casi in cui vi sia una componente “immobilizzata” di rimanenze potrebbe determinare l’incapacità della società di onorare le scadenze più prossime.
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Riassumendo, possiamo identificare due criticità che emergono dall’analisi patrimoniale:
- un indebitamento a breve termine nei confronti di istituti di credito troppo elevato rispetto all’indebitamento complessivo;
- l’eccessiva incidenza del valore del magazzino sull’attivo circolante.
L’eccessivo indebitamento a breve termine nei confronti delle banche risulta evidente anche dall’analisi del conto economico: negli anni 2012 e 2013, a fronte di risultati operativi significativamente positivi (grazie soprattutto all’elevato valore aggiunto apportato dall’azienda), la società ha conseguito utili esigui principalmente in ragione del pagamento di interessi e altri oneri finanziari a breve che hanno abbattuto il risultato operativo di circa l’80%.
Se nel 2012 e nel 2013 gli ingenti interessi pagati non hanno impedito alla società di ottenere risultati positivi, lo stesso non può dirsi per l’anno 2014, anno in cui si è registrata una consistente flessione dei ricavi; tuttavia, è da precisare che la perdita superiore ai due milioni di euro non è tale da far ritenere compromessa definitivamente la capacità di produrre utili da parte della società; infatti, su tale risultato incide notevolmente la riduzione delle rimanenze di magazzino, che, data l’entità dello stesso, non può certo esser considerata una nota negativa.
Ciò che più preoccupa, piuttosto, è la flessione dei ricavi dovuta principalmente alla riduzione degli acquisti da parte di una società operante sul mercato asiatico: nel 2013 i ricavi si sono ridotti del 7,5% rispetto al 2012, nel 2014 si sono ridotti addirittura del 20% rispetto al 2013.
Alla luce delle criticità esposte, la società, a partire dal mese di settembre 2014, ha avviato informalmente delle trattative con alcuni istituiti di credito coinvolti al fine di definire una soluzione in bonis delle posizioni debitorie in essere nei confronti di detti istituti; nel corso delle citate trattative, le banche coinvolte hanno evidenziato alla società la necessità di provvedere alla formalizzazione degli accordi eventualmente raggiunti attraverso il ricorso ad una delle soluzioni concordate della crisi imprenditoriale disciplinate dalla legge fallimentare.
Poiché negli incontri che hanno seguito sono state prese in considerazione tutte e tre le soluzioni negoziali della crisi di impresa (piano attestato di risanamento ex art. 67 L.F., accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F. e concordato preventivo ex art. 160 L.F. ), pare opportuno richiamare le principali differenze tra i diversi istituti.
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