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L’orizzonte temporale del piano

Come più volte specificato, il piano concordatario deve condurre al superamento dello stato di crisi e, conseguentemente al riequilibrio della situazione finanziaria; la qualità del piano, come si legge nel paragrafo 3.1 delle Linee Guida per il Finanziamento delle Imprese In Crisi, dipende anche dall’orizzonte temporale rappresentato.

Nel caso in cui il piano preveda il mantenimento della continuità aziendale, l’arco temporale rappresentato, entro il quale l’impresa deve raggiungere una condizione di equilibrio economico-finanziario, non deve estendersi oltre i 3-5 anni, anche se eventuali pagamenti ai creditori possono essere previsti in tempi più lunghi.

È chiaro che l’orizzonte temporale del piano costituisce un elemento centrale nel condizionare le possibilità di superamento dello stato di crisi: maggiore è la durata del piano e maggiore è la possibilità di evidenziare condizioni fisiologiche al termine del periodo. Tuttavia esiste un trade-off tra orizzonte temporale e capacità di previsione delle tendenze future di lungo periodo, tale da indurre a ritenere inopportuna l’estensione dell’orizzonte temporale oltre il periodo, giudicato dalla prassi aziendale sufficiente a mostrare gli effetti economici e finanziari degli interventi strutturali, di 3-5 anni. L’estensione a periodi superiori è da ritenersi un’eccezione che indebolisce la qualità del piano e rende più incerto l’oggetto dell’attestazione; se il piano la prevede è opportuno che in esso sia adeguatamente motivata la scelta, siano opportunamente giustificate le ipotesi e le stime previsionali utilizzate e siano inserite misure di salvaguardia aggiuntive tali da poter attenuare gli effetti negativi di eventi originariamente imprevedibili.

Le Linee Guida per il Finanziamento delle Imprese In Crisi precisano inoltre che “il raggiungimento di condizioni di equilibrio non implica il rimborso di tutto il debito (che può avvenire anche successivamente), ma solo il ripristino della piena capacità di

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sostenere l’onere di quello che gravi a tale data. Il termine di 3-5 anni deve quindi essere riferito alle sole misure “straordinarie” e agli effetti correttivi da queste prodotti, mentre non implica che in quel termine siano estinte tutte le passività esistenti al momento della stesura del piano, che possono anzi essere riscadenzate anche in termini più lunghi”.

SEZIONE II L’ATTESTAZIONE

2.17 Premessa.

Tra le rilevanti novità introdotte nella legge fallimentare dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 7 agosto 2012, menzione particolare merita l’attestazione dei piani di risanamento: si tratta di un documento chiave, determinante per l’accesso alle soluzioni negoziali delle crisi di impresa.

Assegnando ai professionisti attestatori un ruolo centrale, il legislatore ha voluto tutelare i terzi e i creditori, consentendogli di decidere sulle rinunce proposte dal debitore sulla base di un corretto e completo quadro informativo.

L’attestatore è un professionista indipendente, iscritto nel registro dei revisori contabili ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28 lett. a) e b) della legge fallimentare48; tra le numerose relazioni di cui la legge gli affida la redazione, quelle che in questa sede più interessano sono la relazione accompagnatoria alla domanda di concordato preventivo, di cui all’art. 161 della legge fallimentare, che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano e l’attestazione richiesta per poter proporre il concordato preventivo con continuità.

L’IRDCEC (Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e Esperti Contabili), in collaborazione con l’Accademia italiana di Economia Aziendale (AIDEA), l’Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari (ANDAF), l’Associazione Professionisti Risanamento Imprese (APRI) e l’Osservatorio Crisi e Risanamento delle Imprese (OCRI), ha predisposto il documento contenente i Principi di Attestazione dei Piani di Risanamento.

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Si tratta di avvocati, dottori commercialisti, ragionieri, ragionieri commercialisti studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse siano avvocati, dottori commercialisti, ragionieri, ragionieri commercialisti.

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Il documento, approvato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili il 3 settembre 2014, si pone l’obiettivo di predisporre best practices per la redazione delle relazioni di attestazione che indichino modalità operative e modelli virtuosi di comportamento.

La finalità dichiarata dei principi è infatti quella di proporre modelli comportamentali condivisi e accettati riguardanti le attività che l’attestatore deve svolgere sia per verificare la veridicità dei dati, sia relativamente al giudizio di fattibilità sul piano e sul fatto che l’impresa possa riacquistare l’equilibrio economico finanziario e patrimoniale.

2.18 Responsabilità dell’attestatore.

Per comprendere le ragioni che hanno portato il legislatore a introdurre nel 2012 la previsione di un reato proprio del professionista attestatore e un sistema sanzionatorio piuttosto severo, occorre tener presente che una non corretta attestazione, oltre a portare con sé gli effetti di costi che ex post si rivelano inutili, può contribuire, soprattutto nei concordati in continuità, a determinare un vero e proprio aggravamento del dissesto, coinvolgendo la generalità dei creditori49.

L’art. 236-bis della legge fallimentare prevede che il professionista che nelle relazioni o attestazioni richiestegli espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da cinquantamila a centomila euro. È prevista poi un’aggravante nella circostanza in cui il fatto sia commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri: in tale caso la pena è aumentata; infine, la pena è aumentata fino alla metà se dal fatto consegue un danno per i creditori.

Il legislatore non ha precisato si debba intendere per “informazioni false” e “informazioni rilevanti”, per questo i principi, fornendo standard di diligenza professionale, hanno anche la funzione di permettere agli attestatori di svolgere il proprio incarico con sicurezza e tranquillità nei casi in cui il loro operato debba essere oggetto di valutazione ex post nell’ambito di un eventuale procedimento aperto ai sensi dell’art. 236-bis o per risarcimento danni50

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R. Fontana, la responsabilità penale del professionista attestatore, in www.ilfallimentarista.it. 50

Tanto più tenendo in considerazione che i contesti di urgenza in cui si muove l’attestatore rendono difficilmente applicabili i principi di revisione di cui al D.Lgs. 39/2010.

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Quanto alla rilevanza del falso valutativo, nell’ambito della legge fallimentare, la questione assume una rilevanza maggiore di quella attinente alle false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 del codice civile. Infatti, mentre il bilancio è riferito al passato, la maggior parte delle attestazioni richieste al professionista (si pensi alla valutazione sulla fattibilità del piano o a quelle sul miglior soddisfacimento dei creditori) assume carattere prognostico.

Si pone dunque il problema di come delimitare l’ipotesi del falso valutativo per circoscrivere quanto più possibile il perimetro del rischio penale.

Sulla base di orientamenti dottrinali ormai consolidati, può configurarsi la falsa attestazione dei dati contabili quando si ha violazione delle regole tecniche relative all’elaborazione di quei dati senza che il destinatario dell’informazione sia posto nelle condizioni di cogliere lo scostamento da quelle regole.

Con riferimento alle valutazioni di carattere prognostico, il metro non può che essere quello della ragionevolezza: si configura il falso valutativo laddove si prospetti un’attestazione, di fattibilità o di convenienza palesemente irragionevole.

Per il professionista si manifesta dunque la necessità di prestare grande attenzione alle premesse della relazione, perché nella misura in cui indica puntualmente il perimetro delle verifiche compiute e dei criteri adottati, difficilmente si potrà configurare una responsabilità penale per falso valutativo in quanto, così facendo, pone il destinatario del documento nella condizione di verificarne l’idoneità o meno51

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Altra questione che ha suscitato dibattito in dottrina scaturisce dalla mancanza nell’art. 236-bis dell’aggettivo “rilevante” con riferimento alla condotta commissiva. Infatti, se per quella omissiva, affinché possa configurarsi la responsabilità penale è necessario che le informazioni non riferite siano rilevanti, stante la lettera della norma, lo stesso non parrebbe potersi dire con riferimento alle false informazioni esposte. In questo quadro qualsiasi informazione falsa, a prescindere dalla sua entità, sarebbe sufficiente a far nascere responsabilità penale in capo al professionista.

Ora, dal momento che lo stesso art. 236-bis è volto in primo luogo a tutelare l’affidamento del tribunale e dei creditori (e non tanto la fede pubblica), questa conclusione non può essere accettata.

Quindi, anche con riferimento alla falsità delle informazioni esposte, sembra preferibile ritenere che debba esser integrato il requisito della rilevanza al fine di espungere

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dall’area del penalmente rilevante informazioni false su circostanze ed elementi minimi52.

Concludendo, l’attestatore ha l’obbligo di adempiere con correttezza, diligenza, prudenza e perizia per non incorrere in responsabilità civili e penali. Come sappiamo l’attestazione implica un giudizio prognostico che talvolta può non trovare conferma nello svilupparsi dei fatti e dei successivi accadimenti; tuttavia, giacché l’obbligazione dell’attestatore è un’obbligazione di mezzi, anche in tali casi non è ravvisabile responsabilità del professionista se non nei limiti del proprio operato.

Altra questione è quella attinente alla responsabilità dell’attestatore nei confronti di chi lo nomina; trattandosi di responsabilità contrattuale, i principi ammettono la possibilità che la lettera di incarico preveda ipotesi limitative in caso di omissione di elementi e/o di mancanza di collaborazione da parte dell’impresa.

Se l’impresa fornisce elementi o dati errati con dolo o colpa grave, non sempre accade che l’attestatore sia in grado di rilevare tali comportamenti; per questo motivo in sede di nomina e di accettazione è possibile prevedere contrattualmente, per queste ipotesi, la limitazione di responsabilità del professionista53.

2.19 Nomina e accettazione.

Ribadendo quanto previsto dall’art. 67, terzo comma, lettera d) della legge fallimentare, ossia che la designazione dell’esperto spetta al debitore, il documento prevede che la nomina dell’attestatore sia sottratta al tribunale e competa in ogni caso al debitore. Questa previsione deve trovare applicazione anche nei casi in cui le norme non prevedano espressamente che la designazione spetti al debitore54 dal momento che, comunque, in tali ipotesi le norme fanno riferimento a un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 terzo comma, lettera d) della legge fallimentare, vale a dire a un professionista designato dal debitore.

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R. Fontana, la responsabilità penale del professionista attestatore, in www.ilfallimentarista.it. 53

Beninteso che questa manleva non riduce la responsabilità penale dell’attestatore di cui all’art. 236- bis della legge fallimentare.

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Si tratta delle attestazioni previste in caso di richiesta di autorizzazione al pagamento di creditori anteriori per prestazioni di beni o servizi e in caso richiesta di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale.

La designazione da parte del debitore è invece espressamente prevista nel caso di piano attestato di risanamento, nel caso di concordato preventivo, nel caso di richiesta di autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili e nel caso di mantenimento dei contratti pubblici nell’ambito del concordato in continuità.

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Per quanto riguarda l’accettazione, anche alla luce di quanto previsto in tema di responsabilità dall’art. 236-bis della legge fallimentare, i principi affermano che prima di accettare l’incarico il professionista deve procedere alla valutazione del rischio che presenta l’attività da svolgere e alla valutazione della propria competenza, dei limiti di tempo e di struttura, considerando che l’incarico deve essere svolto con l’idonea diligenza.

Gli elementi di rischio che il professionista deve tenere in considerazione sono molteplici: fattori individuali (conoscenza del business, indipendenza rispetto al committente), fattori legati al business in cui l’azienda opera, fattori ambientali (il contesto in cui si inserisce il piano di risanamento e fattori di rischio legati in modo specifico al piano (grado di realismo delle ipotesi, qualità delle fonti informative, arco temporale interessato)55.

È ovvio che il compito di apprezzamento del rischio, prodromico all’accettazione dell’incarico, risulta più facilmente espletabile a posteriori, ossia dopo aver preso conoscenza del piano. Tuttavia, com’è noto, ai sensi dell’art. 161 sesto comma è possibile che l’incarico venga conferito prima dell’ultimazione del piano: in tali casi l’attestatore potrà valutare il rischio in ragione della conoscenza di elementi preliminari e dichiarazioni del debitore, nonché in base alla conoscenza della professionalità e competenza del consulente incaricato della redazione del piano e all’adeguatezza dell’eventuale sistema di pianificazione e controllo interno all’azienda.

Significativo è poi l’invito ad accettare solamente incarichi in cui i compensi siano adeguati all’attività da svolgere e ai rischi connessi56

; lo scopo di tale monito è quello di evitare che si inneschi un fenomeno di selezione avversa, caratterizzato da offerte al ribasso, tale per cui i migliori professionisti non trovano conveniente accettare gli incarichi, con inevitabili ripercussioni sulla qualità delle attestazioni.

2.20 Indipendenza.

Ricordando che l’indipendenza è innanzitutto uno status mentale, i principi precisano che, pur in presenza dei requisiti di indipendenza di cui all’art. 67 terzo comma lettera d), è auspicabile l’autocensura da parte dell’attestatore nel caso in cui consideri

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Principio 2.2.3. 56 Principio 2.6.1.

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compromessa la sua obiettività di giudizio in ragione di particolari rapporti con il ricorrente ovvero con terzi soggetti interessati all’operazione.

Il requisito dell’indipendenza deve permanere per tutta la durata dell’incarico e, qualora l’attestatore abbia rilasciato in precedenza altre attestazioni a favore del debitore, egli deve comunque valutare se permanga lo stato di indipendenza anche per gli incarichi successivi.

Allo scopo di suffragare la propria indipendenza, l’attestatore è tenuto a dichiarare: di non essere legato al debitore (o comunque a chi lo incarica) e a coloro che hanno

interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio;

di essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 del codice civile;

di non avere prestato, neanche per il tramite di altri professionisti uniti in associazione professionale, negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore (o di chi lo incarica) ovvero partecipato agli organi amministrativi o di controllo del debitore (o di chi lo incarica).