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La relazione di attestazione è composta da tre parti:

- una prima parte introduttiva e di rendicontazione sulle verifiche svolte sulla veridicità della base dati;

- una seconda parte nella quale è svolta l’analisi del piano:

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Principio 7.3.1. 71

Come precisato dal principio 7.3.2, si pensi all’utilità che il creditore potrebbe trarre dalla prosecuzione del rapporto commerciale.

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- una terza parte contenente il giudizio di fattibilità.

Nella prima parte della relazione l’attestatore deve dichiarare di essere in possesso dei richiesti requisiti di professionalità e indipendenza, indicare i riferimenti dell’incarico ricevuto72 e la finalità, indicare i documenti consultati per la redazione della relazione, fornire informazioni sulla situazione societaria e aziendale riscontrata al momento della redazione del piano.

L’attestatore indicherà in questa parte se abbia applicato i principi di attestazione dei piani di risanamento.

Nella seconda parte della relazione l’attestatore indica le ipotesi su cui si fonda il piano con le relative proiezioni temporali (esprimendosi sulla coerenza delle stesse con l’orizzonte temporale del piano) e la strategia di liquidazione o di risanamento.

La terza parte è sicuramente quella più importante in considerazione del fatto che deve contenere il giudizio sulla veridicità dei dati aziendali e il giudizio sulla fattibilità del piano.

Quanto alla veridicità dei dati aziendali il giudizio può essere positivo o negativo: carenze o errori riscontrati con riferimento ad alcune voci non impediscono all’attestatore di esprimere un giudizio positivo quando non sono tali da compromettere la veridicità complessiva della base dati; è equiparato al giudizio negativo il caso in cui, nello svolgimento delle proprie verifiche, il professionista riscontra impedimenti tali non permettergli di esprimere un giudizio.

Con riferimento all’analisi in commento l’attestatore dovrà evidenziare73

: - le tecniche di revisione utilizzate;

- le categorie di asserzioni indagate (esistenza, completezza, valutazione…); - l’estensione dei campioni osservati;

- i risultati ottenuti.

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Si tratta dei riferimenti contenuti nel mandato; in particolare: - portata dell’attestazione;

- assunzione di responsabilità del management circa il contenuto del piano;

- impegno del management a fornire tutte le informazioni utili all’attestatore per svolgere le verifiche; - compenso e modalità di pagamento;

- ipotesi di recesso per mancanza di collaborazione da parte di imprenditore, management e professionisti dell’impresa;

- ipotesi di recesso nel caso in cui durante l’incarico emergano elementi tali da compromettere l’indipendenza dell’attestatore.

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S. Ambrosoni e A. Tron, i principi di attestazione dei piani di risanamento approvati dal CNDCEC e il

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È indubbio che il giudizio positivo sulla veridicità della base dati sia propedeutico rispetto all’espressione del giudizio sulla fattibilità del piano che su quei dati si regge; pertanto, se la base dati viene giudicata dall’attestatore inattendibile, perde qualsiasi significato l’attestazione sull’attuabilità delle proposte contenute nel piano.

Se la fattibilità è subordinata al verificarsi di specifici eventi la cui manifestazione in un periodo di tempo circoscritto non è certa (si pensi alla firma da parte dei creditori degli accordi esaminati dall’attestatore in bozza o all’esecuzione entro un termine di un determinato contratto), qualora il professionista asseveri che sussiste un’elevata probabilità di manifestazione, l’attestazione è immediatamente efficace. L’attestazione è invece sospensivamente condizionata nei casi in cui il professionista non riscontra un’elevata probabilità di manifestazione dell’evento. In questi casi, fino a quando la condizione non si verifica, l’attestazione non è produttiva di effetti.

In ogni caso, perché l’attestazione condizionata possa considerarsi ammissibile, è necessario che nella relazione l’attestatore evidenzi in modo specifico quali sono gli eventi alla cui manifestazione è subordinata la fattibilità del piano e l’orizzonte temporale entro il quale devono verificarsi.

Contestualmente al rilascio della relazione di attestazione, l’attestatore deve ottenere, da parte della direzione aziendale, l’evidenza del riconoscimento della propria responsabilità per la corretta predisposizione della situazione patrimoniale, economica e finanziaria (oggetto di verifica ed attestazione) in osservanza alle norme che ne disciplinano la redazione. Le attestazioni della direzione sono tra l’altro volte a garantire all’attestatore completezza, autenticità e attendibilità della documentazione messa a disposizione ai fini dell’espletamento dell’attività, nonché correttezza ed esattezza delle informazioni ivi contenute e di quelle comunicate verbalmente74.

La redazione del piano oggetto di attestazione compete agli amministratori e ai consulenti dell’imprenditore e conseguentemente è in capo a tali soggetti e sul commissario giudiziale che incombono la realizzazione delle proposte e la verifica sul loro sviluppo.

L’attività dell’attestatore consiste nell’espressione di un giudizio prognostico sull’idoneità del piano a consentire il superamento della crisi e termina nel momento in cui viene resa l’attestazione; non essendo l’attestatore obbligato a monitorare la corretta

74 Principio 8.4.8.

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esecuzione del piano, egli non potrà certamente essere ritenuto responsabile in caso di non corretta esecuzione dello stesso.

Una volta rilasciata l’attestazione e per i dieci anni successivi, a supporto del giudizio espresso e a testimonianza che il lavoro sia stato svolto in conformità ai principi in commento, l’attestatore deve conservare la documentazione75

dell’attività svolta.

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Si tratta di analisi, note di commento, lettere di conferma e di attestazione, check list e corrispondenza, estratti o copie di documenti aziendali; la forma il contenuto e l’ampiezza della documentazione dipendono da fattori quali, su tutti, natura delle procedure da svolgere e rischi identificati di errori significativi; la documentazione conservata sarà quindi tanto più strutturata quanto più l’attestatore ha ritenuto rilevanti gli aspetti a cui essa si riferisce.

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CAPITOLO III CASO PRATICO

Il presente capitolo contiene l’analisi del tentativo di salvataggio di un’impresa in crisi mediante il ricorso alle soluzioni negoziali disciplinate dalla legge fallimentare.

La società in questione è la Rossi S.p.A (nome di fantasia), operante nel settore conciario.

3.1 Il settore di appartenenza76.

L'industria conciaria italiana impiega 18 mila addetti in circa 1.300 aziende, ha un fatturato annuo pari a 5,2 miliardi di euro ed è storicamente considerata leader mondiale per l'elevato sviluppo tecnologico e qualitativo, lo spiccato impegno ambientale e la capacità innovativa in termini di design stilistico.

La produzione è attualmente pari a 129 milioni di mq di pelli finite e 34 mila tonnellate di cuoio da suola.

Il settore è formato soprattutto da piccole e medie imprese, sviluppatesi principalmente all'interno di distretti specializzati per tipologia di lavorazione e destinazione merceologica. La quasi totalità della produzione (oltre il 90%) si concentra infatti all'interno di comprensori produttivi territoriali, che nel corso degli anni hanno sviluppato, nonché spesso mutato per necessità di adeguamento al mercato, le loro caratteristiche peculiari in termini di prodotto e processo; tre sono i distretti identificabili a livello nazionale: quello veneto, quello campano e quello toscano.

Il distretto che raggruppa il maggior numero di aziende si trova in Toscana e comprende i comuni di S. Croce sull'Arno, Bientina, Castelfranco di Sotto, Montopoli Val d'Arno, San Miniato, Santa Maria a Monte in provincia di Pisa e Fucecchio in provincia di Firenze.

Le prime lavorazioni risalgono alla metà dell'Ottocento, ma un consistente sviluppo parte solo dagli anni Cinquanta/Sessanta, parallelamente al declino dell'agricoltura. Le concerie locali, il cui fatturato complessivo incide attualmente per il 28% del totale nazionale, si caratterizzano per l'elevato grado di artigianalità e flessibilità delle produzioni, primariamente destinate all'alta moda; le lavorazioni riguardano soprattutto

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le pelli bovine di medie e piccole dimensioni (tra cui i vitelli), alcune delle quali utilizzate per la specialità del cuoio da suola, che in Italia viene quasi interamente prodotto nel comune di San Miniato e Ponte a Egola.

L'industria ricicla e nobilita uno scarto dell'industria alimentare della carne, cioè le pelli grezze prodotte in conseguenza della macellazione.

La principale tipologia animale processata è quindi la bovina adulta, che incide per il 77% della produzione complessiva, seguita dalle ovine (11%), dalle capre (9%) e dai vitelli (8%). Meno dell'1% delle pelli conciate dal settore appartiene ad altre razze animali (rettili, suini ecc.).

I più importanti clienti delle concerie nazionali sono da sempre i produttori di calzature, a cui viene venduta quasi la metà delle pelli prodotte a livello nazionale (43%). Segue la pelletteria (24%), l'industria dell'arredamento (17%), gli interni auto (9%) e l'abbigliamento (5%). Vi è infine un residuale 2% destinato ad utilizzi fortemente marginali (legatoria, ecc.).

La concia è uno dei settori industriali italiani maggiormente internazionalizzato, come emerge dai dati di commercio estero.

Le esportazioni di pelli conciate, destinate a 123 Paesi, rappresentano oltre tre quarti del fatturato complessivo (percentuale più che doppia rispetto a 20 anni fa). Se l'Unione Europea risulta essere la principale macroarea geografica cliente (50% dell'export generale), dal 1995 il principale Paese di destinazione estera delle nostre pelli è di gran lunga la Cina, che, inclusa Hong Kong, incide per il 20% sul totale esportato e, conseguentemente, per il 15% sulle vendite complessive del settore.

Un ruolo essenziale per il settore viene giocato anche dall'import di materia prima, dato che l'approvvigionamento estero, che ha origine da 122 Paesi, copre oltre il 90% del fabbisogno dell'industria. Nel dettaglio per tipologia di commodity acquistata, il 38% delle importazioni in volume si riferisce a pelli grezze mentre il 62% è riferito a pelli semilavorate. Data la fondamentale importanza delle forniture dall'estero è particolarmente sentito il problema del protezionismo sulla materia prima, praticato in maniera intensa, sleale e crescente da alcuni significativi concorrenti extra-UE (Brasile, India, Argentina, Russia, Etiopia, Nigeria, Pakistan ecc.). Ad oggi circa la metà delle pelli grezze disponibili a livello mondiale viene sottratta al libero mercato attraverso l'imposizione di dazi e altre barriere non tariffarie.

Nonostante l'agguerrita concorrenza dei sopracitati concorrenti, oltremodo avvantaggiata anche da insufficienti standard ambientali e sociali, l'industria conciaria

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italiana detiene tuttora un indiscusso primato internazionale. Il valore della produzione pesa infatti per il 17% a livello mondiale, percentuale che sale al 66% se consideriamo la sola Unione Europea, mentre sul piano commerciale calcoliamo che una pelle finita su quattro commercializzate tra operatori internazionali sia di origine italiana.