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Presupposti di carattere soggettivo

2. Funzioni diverse a seconda della fattispecie

2.1. La funzione punitiva

2.1.2. Presupposti di carattere soggettivo

Il punto di riferimento è rappresentato da tutti quei casi in cui la

legge deroga al principio di colpevolezza su cui si fonda la clausola

generale dell’art. 2043,

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prevedendo ipotesi di responsabilità

oggettiva, ovvero dando rilievo al nesso psichico, più grave, del dolo.

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alla considerazione «D’altra parte, la semplice condanna alla riparazione, cioè al pagamento dell’equivalente del pregiudizio causato (o meglio, di quello che i danneggiati riescono a provare in giudizio), non permetterebbe il perseguimento della finalità preventiva […] È noto infatti che le grandi imprese […] tendono ad inserire […] tra i costi del processo produttivo l’ammontare dei risarcimenti, facendolo gravare sui consumatori e vanificando in tal modo diverse finalità della responsabilità civile».

58 Vd. G. FREZZA – F. PARISI, Responsabilità civile e analisi economica, Giuffrè,

2006, p. 285 ss.

59 Vd. M.G. BARATELLA, op. cit., p. 214, «Precipuamente la commistione degli

elementi indicati consente alle pene private di superare i limiti e le insufficienze degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, intervenendo a garantire l’effettività del sistema ove questi non operino o appaiano inadeguati al fine perseguito»; vd. infra § 2.4.

60 Cfr. F.D. BUSNELLI – S. PATTI, op. cit., p. 124, «A una propensione così

marcata e generalizzante alla “oggettivizzazione” della responsabilità civile si è poi affiancato un tentativo diretto a conciliare il riconoscimento dell’esistenza di ipotesi di responsabilità oggettiva […] con l’attribuzione all’art. 2043 del ruolo di unica regola generale di responsabilità soggettiva, operante come criterio finale di imputazione per tutti i danni ingiusti derivanti da fatti che non trovano la loro disciplina in una fattispecie legale tipica di responsabilità»; C. SALVI, Il paradosso

della responsabilità civile, cit., p. 129 ss., «inidoneità della funzione riparatoria a dar

conto della pluralità dei criteri di imputazione. Pur accettando il venir meno del primato della colpa, rimane da spiegare […] l’insieme di ragioni che inducono l’ordinamento a diversificare i criteri di imputazione della responsabilità […] alla

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È noto che alle origini dell’istituto non esisteva il riferimento del

colpa,

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e che lo stesso, in età repubblicana, era stato introdotto dalla

giurisprudenza romana al fine di stigmatizzare una condotta

riprovevole.

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Si deve agli interpreti di diritto comune il principio

secondo il quale non si risponde dei danni cagionati ad altri senza

colpa.

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I codici ottocenteschi affiancarono poi a questa regola quella della

equivalenza fra dolo e colpa; complessivamente, quindi, si delinea un

istituto teso alla promozione di attività umane, ancorché

potenzialmente dannose: attraverso la previsione di regole cautelari

(generali o speciali),

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idonee ad evitare che una certa attività possa

risolversi nella produzione di danni, è sufficiente che un soggetto

trasgredisca le suddette prescrizioni affinché l’ordinamento reagisca, in

tal senso risultando indifferente la volontà precipua di cagionare il

funzione riparatoria deve accompagnarsi un’altra funzione, che giustifichi la traslazione del danno. E tale ulteriore funzione, in primo luogo, non potrà essere unitaria, dovendosi evidentemente desumere dai criteri positivi di imputazione, che unitari non sono».

61 Cfr. P. CENDON, op. cit., p. 296, «come linea di tendenza, una misura quale la

pena privata risulta pienamente ammissibile e giustificata soltanto in presenza di una condotta dolosa o gravemente colposa dell’autore».

62 Cfr. P. CERAMI, op. cit., p. 113, «Il testo aquiliano, come è notissimo, parlava

soltanto di “iniuria” e non contemplava il termine “culpa”».

63 Cfr. R. JHERING, La lotta per il diritto, (a cura di) P. PIOVANI, III ed., Laterza,

Bari, 1960, p. 133, in cui l’A., nel definire le tre fasi del diritto romano, individua quella intermedia così «Questo diritto, in una parola, si può ben designare quale esposizione ed applicazione della misura della colpabilità in tutte le relazioni del diritto privato. Il torto obiettivo e il subiettivo vi sono rigorosamente distinti. Che un depositario, il quale fosse venuto meno alla fiducia in lui riposta, negando o ritenendo il deposito […] potesse cavarsela con la sola restituzione della cosa, ovvero del semplice risarcimento dei danni, era un’idea cui il senso retto dei Romani rifiutava ad acconciarsi. In tali casi si esigeva anche una punizione del colpevole, innanzi tutto come reintegrazione del violato sentimento del Diritto, poi anche quale intimidazione per gli altri».

64 Ivi, p. 115, «Questo indirizzo è interpretativo è canonizzato nei Commentaria di

Donello»

65 Vd. T. PADOVANI, Diritto Penale, Giuffrè, 2012, X ed., pp. 209-210, «In termini

di contenuto intrinseco, la colpa […] si apprezza soltanto sul piano normativo; consiste cioè in un giudizio circa l’osservanza, da parte del soggetto, delle regole cautelari inerenti all’attività svolta […] L’analisi della colpa si sviluppa in tre momenti fondamentali: l’inosservanza della regola obiettiva di diligenza, di

prudenza o di perizia; l’evitabilità dell’evento mediante l’osservanza della regola;

l’esigibilità dell’osservanza da parte dell’agente (ovvero attribuibilità all’agente

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danno (rectius il dolo). Parallelamente, si impone la necessità di non

indurre i consociati all’astensione tout court poiché chiamati a

rispondere di ogni conseguenza deteriore derivante dal proprio agire: il

criterio della colpa appare, nuovamente, quello più idoneo allo scopo.

Occorre chiedersi, allora, per quale motivo si è assistito e tuttora si

assiste ad una progressiva differenziazione dei criteri di imputazione.

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Che accanto alla regola generale, basata sulla colpa, i codici

abbiano mantenuto fattispecie di responsabilità oggettiva di

derivazione romanistica

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è comune a tutte le esperienze continentali, e

questo, evidentemente, non può essere il punto di partenza dell’analisi

che ci si appresta a svolgere. Ben più significativa è la constatazione

non già della mera compresenza, quanto invece dei mutati rapporti fra

le due soluzioni.

Prendendo come riferimento il settore emblematico dell’attività

d’impresa, è stato osservato che si è passati da un sistema di

imputazione tendenzialmente “pansoggettivistico” (in cui ben

potevano considerarsi come eccezionali le ipotesi di responsabilità

oggettiva legate alla nozione di rischio), ad uno, viceversa,

“panoggettivistico” (invertendosi i rapporti in termini di regola-

eccezione).

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In particolare, il primo modello si reggeva su di una premessa

fondamentale: le regole di responsabilità civile avrebbero dovuto

66 Cfr. C. SALVI, Il danno extracontrattuale, cit., pp. 283-284, «è già la

diversificazione delle fattispecie soggettive di responsabilità a rendere molto dubbia la possibilità di una spiegazione funzionale unitaria, costruita intorno al momento riparatorio. La funzione riparatoria non consente infatti di intendere il significato del sistema dell’imputazione […] È probabile […] che una spiegazione funzionale unitaria […] non possa essere comunque data al sistema dell’imputazione, articolato secondo una pluralità di fattispecie che sono il frutto della sedimentazione di scelte (normative e culturali) storicamente successive».

67 Un’indagine sulle ragioni di tale permanenza esula, tuttavia, dal presente lavoro. 68 Cfr. G. GHIDINI (1977), Tendenze della responsabilità civile e interessi imprenditoriali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, pp. 491-492, «l’egemonia

dell’imputazione oggettiva che va sostituendosi al dogma della colpa […] non va collegata teleologicamente (e storicamente) con quelle “deroghe” […] che il principio di colpa subì durante il suo regno. Al contrario: l’imputazione (pan)oggettiva sostituisce oggi quella (pan)soggettiva come lo strumento più consono con gli attuali interessi dei sistemi industriali avanzati».

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promuovere la crescita industriale, non addossando alle imprese il

costo degli incidenti inevitabili (rectius non evitabili mediante

l’osservanza, anche dal lato dei possibili danneggiati, di regole

cautelari);

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l’obiettivo era quello, cioè, di adattare la logica

proprietaria attorno la quale l’istituto era andato definendosi nei secoli

ad una nuova forma di proprietà, non più statica, bensì dinamica:

l’impresa.

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In questa prospettiva le deroghe alla colpa apparivano “ il

frutto, storicamente determinato, di compromessi fra interessi

imprenditoriali e altri specifici interessi di categoria […] realizzati

quando questi ultimi si trova[vano], o perve[nivano], a rappresentare

forti poteri sociali antagonisti agli interessi imprenditoriali […] ovvero

di fronte a conformi interessi imprenditoriali (caso della concorrenza

sleale)”:

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si pensi alla responsabilità oggettiva per i danni subìti dai

dipendenti nel corso dell’attività lavorativa

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e soprattutto alla tutela

della proprietà fondiaria.

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Il secondo è basato sull’idea della prevenzione e cioè su di una

funzione che trascende la posizione del danneggiato (quindi

indifferente ad una preliminare selezione dei danni sopportabili o meno

dalle vittime) e rivolta, al contrario, all’imprenditore quale agente

economico razionale le cui scelte sono determinate da un’attenta

69 Ivi, p. 485, «si è ormai accreditata la convinzione che il ruolo obbiettivo svolto dal

dogma della colpa […] nel diritto dell’’800 borghese, sino oltre la metà del nostro secolo, è fondamentalmente configurabile in termini di “sussidio” alla crescita industriale».

70 Cfr. S. RODOTÀ, op. cit., p. 598, «l’impresa ha ormai assunto il posto della

proprietà tradizionale al vertice della scala dei valori giuridicamente rilevanti».

71 G. GHIDINI, op. cit., p. 487-488.

72 Cfr. F. D. BUSNELLI – S. PATTI, op. cit., p. 124, «Una scelta di solidarietà

sociale ha indotto […] ad aprire la regola generale dell’art. 2043 a criteri di responsabilità oggettiva».

73 Ibidem, «Basti qui ricordare la celebre questione delle compagnie ferroviarie per i

danni, anche del tutto incolpevoli, cagionati ai proprietari “attraversati”»; S. RODOTÀ, op. cit., p. 597, «In un periodo in cui uno dei problemi centrali era quello della disciplina del conflitto tra diverse proprietà, tute intese come assolute, si mettono così a punto criteri idonei a consentire la scelta tra differenti tipi storici di proprietà. La responsabilità civile […] da regola esterna di tutela della proprietà diviene anche strumento di gestione delle loro compatibilità».

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analisi costi-benefici.

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La ratio dell’istituto non cambia, ossia

permettere lo svolgimento di attività di utilità sociale, sebbene

potenzialmente dannose; ma non più nell’ottica di un favor

generalizzato verso la crescita industriale (limitando i casi in cui si sia

chiamati a risarcire i privati), bensì in quella della razionalizzazione e

messa in sicurezza dei cicli produttivi:

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specialmente nella misura in

cui il potere di controllo sulle fonti di danno è esclusivamente in capo

all’imprenditore, si renderà necessario incentivarlo verso condotte

rivolte al contenimento del rischio (o radicale eliminazione), potendo

in tal senso risultare più funzionale una regola di responsabilità

oggettiva.

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Diversa è la situazione in cui, dal lato soggettivo, elemento

costitutivo (ed esclusivo) della fattispecie è il dolo. Il dogma

dell’equivalenza implica la sufficienza del nesso psichico della colpa,

ma è dato osservare ipotesi, come nella tutela dell’onore, in cui al

contrario questa inferenza viene contraddetta.

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La funzione

compensativa presuppone l’esistenza di una perdita subìta e la

conseguente necessità di reintegrazione della sfera giuridica del

74 Cfr. F. D. BUSNELLI – S. PATTI, op. cit., p. 124, «Una scelta di razionalità

economica contraddistingue un primo indirizzo, imperniato sulla proposta di configurare nel nostro ordinamento, fuori dall’art. 2043 […] un “autonomo sistema di responsabilità oggettiva”, la cui funzione si connetterebbe “con la teoria economica della distribuzione di costi e profitti” e il cui ambito di operatività si riferirebbe a tutte le attività economiche, e principalmente alle attività d’impresa».

75 Cfr. C. SALVI, Il paradosso della responsabilità civile, cit., pp. 134-135, «non

sempre il profilo riparatorio appare coerente con il valore sociale che ne è alla base, e cioè la protezione dei consociati dalle incrementate occasioni di danno nelle società contemporanee […] pare indubbio che […] l’esigenza solidaristica sia quanto meno bivalente, e non si esaurisca in una considerazione della vittima del danno che trascuri del tutto la posizione del responsabile».

76 Vd infra cap. 3, § 1.3. per ulteriori approfondimenti.

N.B. Si tenga comunque presente, sin da ora, che «il prevalere di una funzione di

compensation o di deterrence non deve essere vista come diretta e quasi automatica

conseguenza della natura della responsabilità, ora oggettiva, ora, invece, basata sulla colpa: con la conseguenza finale che si avrebbe più compensation in presenza di una fattispecie di natura oggettiva e, viceversa, più deterrence in una fattispecie di colpa» (G. PONZANELLI, La responsabilità civile, cit., p. 245).

77 Cfr. P. GALLO, op. cit., p. 182, «In caso di diffamazione colposa si fa unicamente

luogo a risarcimento dei danni patrimoniali ex art. 2043 […] la presenza del dolo consente invece l’accertamento incidenter tantum del reato di diffamazione e la conseguente condanna a devolvere altresì una somma a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059, desunti in re ipsa»

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danneggiato, essendo indifferente che la stessa sia stata voluta dal

danneggiante come immediata e diretta conseguenza del proprio agire,

ovvero che sia dipesa da una sua condotta colposa. Nella misura in cui

questa indifferenza venga meno, poiché incompatibile con una

dimensione squisitamente compensativa, se ne deve dedurre che

l’obbligazione risarcitoria sia declinata in chiave punitivo-deterrente,

dove l’an della risposta sanzionatoria può dipendere dalla volontarietà

o meno del danno arrecato.

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Si tenga presente, tuttavia, che spesso il superamento del

trattamento indifferenziato di dolo e colpa, quale presupposto delle

pene private da illecito aquiliano, si manifesta principalmente sul

diverso piano del quantum.