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Analisi di impatto delle nuove direttive appalti e concessioni sulla normativa vigente dell’evidenza pubblica.

2. L’attività regolatoria dell’Autorità anticorruzione nel processo di recepimento delle nuove direttive in materia di appalti e concessioni.

2.1. Analisi di impatto delle nuove direttive appalti e concessioni sulla normativa vigente dell’evidenza pubblica.

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Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 164

la direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cosiddetti “settori speciali” (acqua, energia, trasporti e servizi postali), la direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari e la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.

Tali direttive sono entrate in vigore il 18 aprile 2014. Agli Stati membri spetterà, pertanto, recepire le disposizioni delle nuove norme all’interno dell’ordinamento nazionale entro il termine del 18 aprile 2016.

Prima di entrare nel merito delle principali novità introdotte dalle direttive appalti, giova rilevare che le stesse riflettono la consapevolezza del legislatore europeo circa la vulnerabilità alla corruzione del settore degli appalti e si inseriscono in un contesto di riforme avviato sin dalla firma della “Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione

nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea” del 26 maggio 1997 e della Decisione quadro 2003/568/GAI del

Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato, nelle quali venivano introdotte specifiche disposizioni per la prevenzione della corruzione nelle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni.

Ebbene, in relazione a tale aspetto, assume centrale rilevanza il ruolo che potrebbe svolgere l’Autorità Nazionale Anti-corruzione, nell’attività di recepimento delle direttive in questione.

Occorre, infatti, ricordare come il legislatore nazionale abbia ampliato il novero dei poteri riconosciuti all’Autorità Nazionale Anticorruzione necessari a contrastare in via preventiva il fenomeno della corruzione negli appalti pubblici, conferendo alla stessa un potere d’intervento più esteso ed incisivo per quanto concerne le funzioni finalizzate ad assicurare un’azione coordinata dell’attività di controllo, di prevenzione e di contrasto della corruzione, attribuendo a un unico soggetto altresì tutti i compiti di vigilanza sulla correttezza delle procedure di affidamento delle opere pubbliche e di accertamento che dall’esecuzione dei contratti di appalto non derivi alcun pregiudizio per il pubblico erario. Pertanto, in virtù della propria missione istituzionale, di prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche in ogni settore che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi, l’A.N.AC. è chiamata a svolgere un ruolo di rilievo nel processo di recepimento delle direttive e nella loro successiva attuazione, quale interlocutore stabile e qualificato per il settore dei contratti pubblici.

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Ciò in quanto tale Autorità, alla luce della sua propria finalità istitutiva, risulta essere uno dei soggetti maggiormente idonei ad incidere sensibilmente nel processo di adattamento del nostro sistema normativo alle indicazioni ricevute al riguardo dal legislatore sovranazionale.

In tale direzione si è orientata la già citata attività di studio ed approfondimento avviata dall’Autorità nell’aprile 2014 sui testi delle direttive appalti e concessioni di ultima emanazione.

Nell’esercizio del proprio potere di regolazione di cui all’art. 8, comma 1, d.lgs. n. 163/2006, l’Autorità ha, infatti, proceduto all’analisi di impatto delle direttive in questione, evidenziando con riferimento ad ogni singola disposizione di tali provvedimenti le novità rispetto alla precedente disciplina europea in materia di appalti (direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), le ripercussioni applicative che potrebbero derivare al riguardo sul Codice dei contratti pubblici, nonché formulando una propria proposta di recepimento della disposizione in esame 165.

Emerge chiaramente l’importanza di un siffatto studio sia avendo riguardo alla necessità di una collaborazione tra potere legislativo e organismi tecnici massimi esperti in una determinata materia nell’individuazione del contenuto delle norme, sia nell’ottica di favorire lo sviluppo di una better regulation in una materia così delicata e rilevante come quella degli appalti pubblici.

Di seguito si esaminano, a titolo assolutamente esemplificativo, alcune delle principali ed ulteriori 166 innovazioni introdotte in materia di procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture dalla direttiva 2014/24/UE relativa ai settori ordinari.

L’art. 1 di tale direttiva disciplina l’oggetto e l’ambito di applicazione della stessa. Ciò che assume carattere di assoluta novità è la definizione che viene fornita al paragrafo 2, dell’articolo in esame, di appalto: si sceglie una nozione più estesa di appalto rispetto a quella delineata dal Codice dei contratti, fino a farvi ricomprendere qualsiasi acquisizione di lavori, forniture o servizi, che avvenga mediante stipulazione di un contratto pubblico (anche diverso dall’appalto), effettuato da un’amministrazione aggiudicatrice indipendentemente dalla finalità pubblica degli stessi.

Come è stato correttamente evidenziato dall’Autorità nel citato Studio, “il recepimento

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Il suddetto studio è stato istituito con decr. Pres. AVCP n. 111187/2013 e si intitola “Direttiva

2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE. Analisi di impatto della direttiva europea pubblicata il 28.03.2014”.

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della nuova definizione di “appalto” all’interno del Codice presenta l’aspetto positivo di eliminare ogni eventuale incertezza circa l’applicabilità del Codice medesimo anche ai lavori, servizi e forniture acquisiti dall’organismo di diritto pubblico per finalità non riconducibili alle “esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale” per cui lo stesso è stato istituito”167

.

Ciò in quanto, ai fini dell’applicazione della direttiva la finalità dei lavori, servizi o forniture può essere pubblica ma anche non pubblica (ad esempio commerciale).

Per quanto riguarda, poi, gli artt. 2 e 3 della direttiva, questi introducono importanti novità con riferimento rispettivamente alla definizione di “autorità governative centrali” e

“amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali” e alle specifiche modalità di affidamento

dei contratti misti all’interno del mercato dell’Unione, che richiederebbero al legislatore nazionale la trasposizione nel nostro ordinamento di siffatte nozioni ed istituti.

Con riferimento, invece, al delicato e diffuso fenomeno del partenariato pubblico-pubblico, l’art. 12 della direttiva disciplinante i settori speciali (rubricato “Appalti pubblici tra enti

nell’ambito del settore pubblico”) prevede espressamente la possibilità per la stazione

appaltante, ove ne ricorrano le condizioni, di avvalersi di strumenti quali l’affidamento diretto a società c.d. in house, ovvero la cooperazione pubblico-pubblico non istituzionalizzata di tipo orizzontale.

Tali fattispecie, che rappresentano ipotesi derogatorie rispetto alla disciplina ordinaria in materia di affidamento dei contratti pubblici, non trovano attualmente alcuna collocazione all’interno del Codice dei contratti. Quest’ultimo, infatti, non identifica espressamente tali fattispecie tra quelle escluse dal suo ambito applicativo né ne fornisce disciplina alcuna. Appare innanzitutto necessario svolgere alcune considerazioni sulla nuova disciplina fornita dalla direttiva 2014/24/UE in relazione all’istituto dell’in house providing.

I requisiti che tradizionalmente venivano individuati, altresì a livello europeo, per ritenere configurabile un’ipotesi di affidamento in house disposto legittimante sono: la totale partecipazione pubblica dell’ente/società controllato; l’esercizio di un controllo sull’attività dell’ente analogo a quello svolto dalla amministrazione controllante sulla propria attività; lo svolgimento esclusivo o quasi esclusivo da parte della controllata della sua attività nei confronti della controllante.

Ebbene, l’art. 12 in commento individua tali requisiti in modo maggiormente dettagliato, mostrando un atteggiamento di favore per lo sviluppo di un siffatto fenomeno.

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Ed infatti, la ritrosia manifestata dal legislatore nazionale, il quale ha preferito incentivare il ricorso alla concorrenza, relegando a ipotesi del tutto residuale il ricorso allo strumento dell’affidamento in house, non risulta essere condiviso a livello europeo, il quale ultimo ha sempre manifestato un atteggiamento di neutralità rispetto alle scelte delle amministrazioni purché rispettose dei presupposti elaborati dal legislatore e dalla giurisprudenza.

Tali condizioni sono: l’esercizio del controllo analogo; che non vi sia partecipazione diretta di capitale privato nella persona giuridica controllata 168; più dell’ottanta per cento dell’attività della persona giuridica deve essere svolta nei confronti dell’amministrazione. Se da un lato, dunque, potrebbe pensarsi che l’individuazione del limite quantitativo di attività che può essere svolta anche nei confronti di soggetti diversi dalla controllante possa essere utile esclusivamente ad individuare il carattere di prevalenza, in realtà il fatto che la direttiva utilizzi un criterio quantitativo (venti per cento) piuttosto che qualitativo (marginalità) assume un grandissimo rilievo, dal momento che in tal modo si finisce per ampliare l’ambito di azione del soggetto in house al di fuori della cooperazione con il pubblico.

Ed infatti, non è detto che tale venti per cento di attività, seppur marginale sotto il profilo quantitativo, lo sia anche dal punto di vista strategico.

Al paragrafo 4 dell’art. 12 vengono poi disciplinate quelle ipotesi di cooperazione pubblico-pubblico orizzontale escluse dall’applicazione della direttiva in commento, mediante le quali le amministrazioni aggiudicatrici concludono contratti tra di loro senza previo esperimento di una procedura ad evidenza pubblica.

Anche in tal caso vengono, ad ogni modo, individuate le condizioni perché possa ricorrersi a tale forma di cooperazione (scopo di perseguire obiettivi pubblici comuni; esclusivo perseguimento di un pubblico interesse, svolgimento di attività commerciale in misura inferiore al venti per cento delle attività oggetto di cooperazione).

Con riferimento a tale disciplina in materia di partenariato pubblico-pubblico, l’Autorità si è dunque interrogata sull’impatto che una siffatta normativa può avere sull’attuale sistema codicistico.

Dal punto di vista di attuazione e recepimento delle disposizioni in questione nel Codice, non sembrano sorgere notevoli difficoltà: potrebbe, infatti, pensarsi all’introduzione di una norma che disciplini dettagliatamente tutte le fattispecie escluse dall’applicazione del

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Vengono poi indicate le ipotesi in cui tale partecipazione pur sussistendo non impedisce il ricorso all’affidamento in deroga alle procedure ordinarie.

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Codice stesso.

Maggiori problemi sorgono, invece, con riferimento ai riflessi sostanziali che da una tale disciplina si riverseranno sulle scelte operate dal legislatore nazionale per quel che riguarda la gestione dei servizi pubblici locali.

Come si è già avuto modo di precisare, il legislatore nazionale ha visto sempre con un certo sfavore gli affidamenti in house rispetto al ricorso all’evidenza pubblica. Questo forse anche in relazione alle preoccupanti vicende di cronaca che hanno interessato alcune delle società affidatarie diretti di servizi, lavori o forniture da parte di alcune amministrazioni statali centrali e locali 169.

In tale direzione milita l’introduzione ad opera dell’art. 20 d.l. 6 luglio 2011, n. 98, della divisione in due classi degli enti regionali, provinciali e comunali a seconda della loro virtuosità, da cui discende la possibilità di sottostare a vincoli finanziari meno pesanti. Tra gli indici di tale virtuosità è stato inserito anche l’adozione di procedure ad evidenza pubblica.

Come opportunamente sottolineato dall’Autorità 170

pertanto, se da un lato sarà consentito al legislatore nazionale introdurre misure più restrittive nell’individuazione dei criteri di definizione dell’in house, dall’altra tale scelta “dovrà avvenire con un adeguato

contemperamento degli interessi in gioco, tra i quali non solo la concorrenza ma anche esigenze di uniformità e trasparenza della normativa, sia a livello nazionale che comunitario, evitando, altresì, di comprimere ingiustificatamente l’autonomia organizzativa e la discrezionalità delle amministrazioni aggiudicatrici”.

Passando, dunque ad analizzare altro e diverso profilo, si ritiene di evidenziare come le direttive sviluppano alcune leve fondamentali, elaborate nell’ambito della strategia Europa 2020, della quale gli appalti pubblici costituiscono perno e strumento strategico trasversale per conseguire una migliore efficienza nella spesa pubblica, realizzando una maggiore semplificazione e flessibilità delle procedure, e attuando procedimenti corretti. Al contempo, l’uso strategico e trasversale degli appalti pubblici mira a promuovere l’innovazione, l’accesso al mercato delle piccole e medie imprese, la tutela ambientale e la responsabilità sociale. Ciò è reso dal legislatore europeo con la locuzione “crescita

sostenibile, intelligente e inclusiva”: sostenibile, nel senso di sviluppo di un’economia più

efficiente sotto il profilo delle risorse, più rispettosa dell’ambiente e più competitiva,

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Si fa riferimento, tra gli altri, agli scandali che hanno interessato le società partecipate del Co mune di Roma nell’anno 2014.

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intelligente, in quanto fondata sull’incremento di un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, inclusiva, quale promozione di un’economia ad alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale.

Dal punto di vista della semplificazione e dello snellimento delle procedure di aggiudicazione si introducono alcuni importanti nuovi istituti e la revisione di altri già esistenti.

Innanzitutto, è dato un nuovo impulso alle comunicazioni elettroniche (art. 22 direttiva appalti settori ordinari e art. 40 direttiva settori speciali) di modo che l’utilizzo di mezzi elettronici costituisca la regola, e s’incentivi il ricorso a cataloghi elettronici, consentendo un aumento della concorrenza e dell’efficacia della commessa pubblica, soprattutto in termini di risparmi di tempo e denaro.

Il processo d’informatizzazione del sistema degli appalti è fortemente accelerato con la previsione del documento di gara unico europeo (DGUE) 171 (art. 59 direttiva appalti), consistente in un’autodichiarazione avente la natura di prova documentale preliminare ai fini della partecipazione alla gara, attraverso la quale gli operatori economici possono partecipare alle gare nel mercato unico dichiarando il possesso dei requisiti di partecipazione.

Alla luce di tale previsione normativa, acquista rilevanza strategica il ruolo della Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP) di cui all’art. 6-bis del Codice. Il DGUE comporta una notevole semplificazione a vantaggio sia delle amministrazioni aggiudicatrici sia degli operatori, anche in termini di minori oneri economici. In tale contesto normativo la BDNCP rappresenta il fulcro di una leva particolarmente vantaggiosa per la rimozione del peso burocratico degli adempimenti posti a carico degli operatori economici e delle stazioni appaltanti e si pone in perfetta sintonia con gli obiettivi di semplificazione della direttiva appalti, costituendo, di fatto, un’anticipata realizzazione di quanto enucleato dal considerato 85, della medesima direttiva, che pone in capo alla Commissione l’obiettivo di rafforzare gli strumenti che offrono accesso ai fascicoli d'impresa virtuali, o mezzi per facilitare l'interoperabilità tra banche dati.

Le direttive danno, inoltre, impulso all’aggregazione della domanda: accanto alla tradizionale figura della centrale di committenza, peraltro arricchita nella definizione e nelle attribuzioni, s’introduce la possibilità per due o più amministrazioni aggiudicatrici di

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Tale documento è stato inserito altresì all’art. 1, comma, 1 lett. aa), della legge delega fornente principi e criteri per l’emanazione del nuovo Codice in materia di appalti e concessioni.

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“eseguire” congiuntamente alcuni appalti specifici nonché nuove e peculiari norme in materia di appalti transfrontalieri congiunti.

Si prevede che l’appalto congiunto possa assumere numerose forme diverse, quali l’appalto coordinato (ove le amministrazioni coordinano l’esercizio di funzioni proprie in vista del conseguimento di un risultato comune in modo complementare e sinergico, ossia in forma di reciproca collaborazione), o l’elaborazione di specifiche tecniche comuni per lavori, forniture o servizi che saranno appaltati da varie amministrazioni aggiudicatrici, ciascuna delle quali attua una procedura d’appalto distinta. Infine, si prevede la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici interessate di attuare congiuntamente un’unica procedura d’appalto o agendo in comune o affidando a un’amministrazione aggiudicatrice la gestione della procedura d'appalto in nome di tutte le amministrazioni aggiudicatrici.

L’introduzione del nuovo istituto delle “consultazioni preliminari di mercato” (art. 40 direttiva appalti settori ordinari, art. 58 direttiva settori speciali) pone in essere una forma nuova di flessibilizzazione procedurale e sostanziale, attraverso la quale è espressamente prevista la possibilità di richiedere consulenze oltre che a esperti anche ad autorità indipendenti.

Potrebbe pertanto essere opportuno valorizzare, in sede di recepimento, detto istituto, prevedendo un coinvolgimento preventivo dell’Autorità rispetto all’indizione di specifiche procedure di gara, sulla falsariga di quello attualmente previsto dall’art. 69 del Codice (limitato alle condizioni particolari di esecuzione del contratto prescritte nel bando o nell'invito). Ciò potrebbe rivelarsi di grande utilità ai fini di una trasparente e corretta impostazione del disegno di gara con conseguente riduzione del contenzioso.

Estremamente rilevante è l’ampliamento dell’istituto del soccorso istruttorio: si aumenta l’ambito di ammissibilità della regolarizzazione, volta anche a sanare la mancata produzione di documenti specifici e non solo a chiarire e integrare i documenti presentati dagli operatori economici, a condizione che tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza (in tale direzione già si è mossa la riforma normativa che ha previsto la modifica dell’art. 38 e 46 del Codice dei contratti, su cui meglio infra).

Le direttive pongono, inoltre, l’accento sulla ridefinizione dei criteri di aggiudicazione: si supera il c.d. principio dell’equivalenza dei criteri di aggiudicazione, privilegiando il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il criterio dell’offerta più bassa risulta residuale e comunque il criterio di determinazione del prezzo deve essere effettuato

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tenendo conto del costo di tutto il ciclo di vita del bene, manutenzioni e smaltimento finale compresi. In tal modo le c.d. esternalità negative (i costi futuri di un bene, non predeterminati né predeterminabili) non ricadranno sulla collettività. Ciò in particolare per quanto riguarda i costi ambientali, che devono essere inclusi nell’offerta, di modo che s’incoraggiano i concorrenti a cercare soluzioni tecnologiche che ottimizzino questi costi e si accresce l’efficienza della spesa pubblica a lungo termine.

Per evitare confusione con il criterio di aggiudicazione, finora applicato in base alle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, noto come “offerta economicamente più

vantaggiosa”, il legislatore europeo ha coniato un termine diverso, e cioè il “miglior rapporto qualità/prezzo”. L’offerta più vantaggiosa è individuata sulla base del prezzo o

del costo, seguendo un approccio costo/efficacia valutato in conformità a criteri quali gli aspetti qualitativi, ambientali e sociali connessi all’oggetto dell’appalto. Il fine perseguito con l’indicazione di tali criteri è di promuovere la qualità e l'innovazione negli appalti pubblici, di includere gli aspetti ambientali e sociali, con particolare riferimento alla tutela dell'occupazione e delle condizioni di lavoro nonché a favore dei disabili e di altri gruppi svantaggiati.

Si segnala la previsione, del tutto innovativa, secondo cui l’elemento riguardante il costo può assumere la forma di un prezzo o costo fisso e gli operatori economici competono solo in base a criteri qualitativi.

Per agevolare la partecipazione delle piccole e medie imprese e favorire la concorrenza, il legislatore europeo ha inteso poi fare leva sulla suddivisione dell’appalto in lotti, ponendo l’obbligo, nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici, di fornire una motivazione della decisione di non suddividere l’appalto in lotti.

Un’ulteriore misura per agevolare la partecipazione delle piccole e medie imprese alle gare, attiene al requisito del fatturato: il legislatore comunitario riconosce l’illegittimità di criteri che fissano, senza adeguata motivazione, limiti di accesso alla gara connessi al fatturato aziendale, che non può essere richiesto in misura superiore al doppio dell’importo dell’appalto.

Infine, tenuto conto che le piccole e medie imprese intervengono nella filiera dell’appalto in qualità di subappaltatori, è previsto che gli Stati membri abbiano la facoltà di creare meccanismi per il pagamento diretto ai subappaltatori, per proteggere le piccole e medie imprese dal rischio di mancato pagamento.

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una procedura speciale per la ricerca, lo sviluppo e il successivo acquisto o fornitura di prodotti, lavori e servizi innovativi, non disponibili sul mercato, nel rispetto di prestazioni e costi concordati con procedura articolata in più fasi, con negoziazione volta a individuare la migliore soluzione e aggiudicazione con il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo. Il partenariato per l’innovazione, che attribuisce alle amministrazioni una maggiore capacità di negoziazione, è strutturato in fasi successive secondo la sequenza delle fasi del processo di ricerca e di innovazione, che può comprendere la fabbricazione dei prodotti o la prestazione dei servizi o la realizzazione dei lavori.

Un elemento di novità, introdotto nella disciplina sugli appalti pubblici, è costituito dal calcolo dei costi del ciclo di vita e del processo di produzione, ritenuto dal legislatore europeo uno strumento strategico per la realizzazione degli obiettivi di Europa 2020: il concetto di costo comprende tutti i costi che potrebbero emergere durante l’intero ciclo di vita di un appalto di lavori, servizi o forniture.

Sono individuate due tipologie di costi: a) quelli sostenuti dall’amministrazione

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