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Anni ‘60 Anni ’80: la socialità, il bene comune e infine la CSR

Il “ritardo” di circa cinquant’anni che si riscontra nella discussione sulla Csr in Italia va forse rintracciato nell’assetto particolare che costituisce il sistema industriale italiano e lo contraddistingue da quello degli altri paesi occidentali: la netta prevalenza del numero di piccole imprese manifatturiere sulla grande impresa che era ed è tuttora pressoché assente.

Il processo di industrializzazione in Italia inizia dopo l’Unità ma la presenza delle grandi imprese si può riscontrare solo nel settore siderurgico aiutato e sostenuto da massicci interventi statali mentre i settori tradizionali rimangono in mano alle piccole imprese. A fine ‘800 nascono quindi le grandi imprese pubbliche come l’Ansaldo e la Breda e quelle private come la Pirelli e la Fiat, si tratta in ogni caso di un sistema capitalistico diverso da quello manageriale americano poiché anche nelle imprese private le famiglie di industriali esercitano la loro funzione di gestione accanto all’organo statale, le cui funzioni di controllo assumono delle dimensioni mai viste prima negli altri paesi industrializzati.

A cavallo degli anni ’50 e ’60 l’economia italiana conosce uno sviluppo senza precedenti, che porta l’Italia a diventare una delle prime potenze economiche mondiali. Si sviluppa anche in Italia il sistema industriale moderno, fatto dalla produzione in serie di merci a basso costo accessibili quindi a buona parte della popolazione italiana e anche alle classi più popolari, cambia la tipologia di prodotti consumati che prima del boom erano quasi esclusivamente beni di prima necessità e poi diventano beni voluttuari. Al boom economico si accompagna un nuovo modo di fare impresa poiché a causa dell’espansione dei mercati è necessaria una profonda conoscenza delle aspettative e dei desideri dei consumatori.

Cambia il volto della società italiana che fino ad allora era stata a maggioranza di agricoltori, le imprese per la prima volta esercitano un forte impatto sulla vita della popolazione, cresce la forza dei sindacati dei lavoratori e ci si interroga sulla possibilità che l’impresa debba contribuire al benessere comune (Onida 1961). A metà anni ’50 Zappa comincia a scrivere di come le aziende dovessero perseguire il benessere sociale:

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“L’armonia tra i fini economici particolari ed i fini generali delle maggiori collettività

sociali è anzi condizione di utile vita così per i singoli come per la collettività umana (…). È facile vedere come le aziende cooperano in solidarietà, nel lungo andare, al raggiungimento di interessi generali”. 197

Anche Onida sembra in parte cambiare opinione e ad interessarsi di socialità nell’amministrare l’azienda:

“si deve ammettere che può e deve essere conforme a socialità la condotta di tutti i soggetti economici e, in particolare, di tutte le imprese, private o pubbliche, che pur hanno istituzionalmente oggetto e compiti di natura economica.”198

Con l’emergere dei problemi tipici dei paesi industrializzati è naturale che gli studiosi che fino ad allora avevano riservato le loro attenzioni alle aziende familiari guardino alle problematiche che si riscontravano nella gestione delle medie e grandi imprese, nelle quali era forte la necessità di riuscire a mediare efficacemente tra le richieste dei proprietari del capitale e le pretese della classe dei lavoratori dipendenti (Coda 1967, Masini 1970). In particolare Vittorio Coda sottolinea l’importanza della capacità dei manager di gestire i diversi interessi che convergono all’interno delle aziende moderne, in modo da garantire il perdurare delle aziende nel tempo.

Si deve però tenere presente come in Italia il capitalismo già a inizio Novecento presentasse in alcune imprese i caratteri della responsabilità sociale d’impresa, un esempio emblematico è costituito dalla Ing. C. Olivetti & C., la prima fabbrica italiana di macchine da scrivere. La particolarità della Olivetti risiede tutta nelle caratteristiche del suo fondatore, l’ingegnere Camillo Olivetti, che curava personalmente la formazione dei suoi dipendenti attraverso dei corsi che teneva a casa, accostandosi agli operai nello svolgere le operazioni manuali e cercando di costruire con questi un rapporto umano; grande era l’importanza che egli attribuiva alla ricerca e alla sperimentazione. Sia lui che il figlio Adriano effettuavano spesso dei viaggi negli Stati Uniti, per assimilare meglio i principi tayloristici e il funzionamento della grande impresa. Essi attribuivano grande importanza al ruolo della campagna nell’evitare che gli operai soffrissero di alienazione da

197 Gino Zappa, La nozione di azienda nell’economia moderna, in “il Risparmio”, 1954, pp.1263-1266 198 Pietro Onida, Economicità, socialità ed efficienza nell’amministrazione d’impresa, 1961, p.14

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lavoro in fabbrica e proprio per permettere ai lavoratori di godere della campagna durante i giorni di riposo, decisero di costruire la loro fabbrica al di fuori della grande città, in uno stabilimento di mattoni rossi che si inseriva perfettamente nella natura circostante. I dipendenti della Olivetti godevano di salari più alti rispetto a quelli degli altri operai ed inoltre lavoravano all’interno di un ambiente privo di gerarchie dove non vi era una separazione tra ingegneri ed operai. In generale si può affermare che Camillo Olivetti rappresenta una figura di riformista per il quale la produzione non deve essere una speculazione, ma deve essere orientata alla qualità nel prodotto e alla equità nel prezzo.

Un esempio analogo è quello rappresentato dalla Lanerossi di Schio, fondata nel 1817 da Francesco Rossi e passata successivamente sotto la gestione del figlio Alessandro Rossi che la renderà una delle maggiori industrie italiane dell’Ottocento. Alessandro Rossi, come Camillo Olivetti, dedica particolare attenzione ai suoi lavoratori, realizzando per loro molte opere sociali tra le quali spiccano sicuramente il nuovo quartiere operaio di Schio, la cui costruzione iniziò nel 1872 con lo scopo di fornire delle residenze confortevoli per i lavoratori che con le loro famiglie si trasferivano a Schio; si tratta di un quartiere residenziale immerso nel verde nel quale emerge particolare attenzione anche all’aspetto estetico delle case. Il quartiere viene dotato di numerosi servizi come asili, scuole e anche una chiesa. La costruzione dell’Asilo Rossi viene avviata contestualmente a quella del quartiere dato che l’asilo che già precedentemente era stato costruito nelle immediate vicinanze della fabbrica non era più in grado di ospitare il crescente numero dei bambini figli dei dipendenti del lanificio. Inoltre nel 1879, per volontà di Alessandro Rossi, viene progettato e costruito il Monumento al Tessitore, che venne originariamente collocato tra la fabbrica e il quartiere operaio, la statua, che rappresentava appunto un tessitore, venne dedicata da Alessandro ai suoi dipendenti e rappresenta il primo monumento dedicato ai lavoratori in Italia.

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