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Milton Friedman (1912-2006), premio Nobel per l’economia nel 1976 per il suo contributo alle teorie monetariste, è stato un economista statunitense di origine ebrea, le sue idee, in antitesi al pensiero di Keynes, lo hanno reso uno dei maggiori esponenti del pensiero liberista. Fermamente contrario all’intervento dello stato nell’economia, la sua produzione letteraria inizia negli anni ’50 con alcune opere critiche nei confronti delle politiche governative di ispirazione Keynesiana.

Fondamentale è “Capitalismo e libertà” del 1962, forse una delle principali opere a favore del libero mercato; del 1963 è la “Storia monetaria degli Stati Uniti”, scritta con Anna Schwartz, dove sostiene che la Grande Depressione è il frutto del comportamento della Federal Reserve e delle sue errate politiche monetarie. Infatti secondo Friedman, al contrario di quanto si possa pensare, la Grande Depressione non fu causata da vizi costitutivi del libero mercato e della libera impresa, bensì dal fallimento delle politiche poste in essere dalla Fed, e quindi dal governo. Molti economisti, di fronte alla drammaticità degli eventi, si convinsero che il cosiddetto “libero mercato” fosse in realtà un mercato del tutto instabile se lasciato a se stesso, e dovesse quindi essere “governato”. In seguito a questa errata interpretazione si affermano le teorie keynesiane e si apre un periodo storico in cui il ruolo del governo diventa preminente nell’economia. Tuttavia secondo Friedman tutto questo è dovuto appunto ad una erronea interpretazione dei fatti e l’espansione degli interventi pubblici nel sistema economico è del tutto inutile e controproducente.

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In realtà per Friedman il libero mercato si autoregola, in esso ciascun individuo può dedicarsi all’attività che preferisce, è libero di concludere scambi e naturalmente lo farà al prezzo più conveniente a parità di qualità di bene scambiato; questo favorisce l’efficienza e la collaborazione tra i partecipanti anche se tra loro estranei e sconosciuti, senza che sia necessario l’intervento di un Ente regolatore superiore. Naturalmente libertà personale e libertà economica sono le due facce della stessa medaglia, senza l’una non esiste l’altra: è così che il libero mercato promuove anche una libera società.

Dobbiamo fare anche un accenno alle “tutele” nei confronti dei consumatori e dei lavoratori. I consumatori per Friedman non sono “obbligati” a consumare un determinato prodotto. Nel libero mercato i consumatori possono scegliere cosa consumare, in tal modo “costringono” i produttori a offrire al mercato beni di qualità a prezzi adeguati, altrimenti si rivolgeranno ad altri produttori. Quindi i consumatori hanno il potere di autotutelarsi senza interventi della pubblica autorità. Analogo il discorso per quanto riguarda i lavoratori. Secondo Friedman le norme emanate dallo Stato hanno effetti negativi perché fanno aumentare i costi a carico dei datori di lavoro e quindi riducono la domanda di lavoratori. La loro vera tutela è costituita dalla presenza sul mercato di numerose imprese disposte a competere per ottenere i lavoratori di cui hanno bisogno.

Milton Friedman, oltre che per la produzione letteraria, resterà famoso anche per una trasmissione televisiva degli anni ’80 chiamata “Liberi di scegliere” ( da cui scaturirà anche un libro), nella quale fa opera di diffusione delle sue idee con notevole successo.

Infine Friedman è stato anche consigliere economico dei Presidenti Nixon e Reagan negli anni della cosiddetta deregulation.

La ferma contrarietà di Friedman alle teorie sulla responsabilità sociale d’impresa, che lui definisce sovversiva104, è sostanzialmente semplice: lo scopo dell’impresa è quello di produrre

profitto, qualsiasi altra attività è una violazione del mandato che gli è stato dato dagli azionisti. Della responsabilità sociale Friedman scrive:

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“The view has been gaining widespread acceptance that corporate officials and labor leaders have a “social responsibility” that goes beyond serving the interest of their stockholders or their members. This view shows a fundamental misconception of the character and nature of a free economy. In such an economy, there is one and only one social responsibility of business-to use its resources and engage in activities designed to increase its profits so long as it stays within the rules of the game, which is to say, engages in open and free competition, without deception or fraud.(…) Few trends could so thoroughly undermine the very foundations of our free society as the acceptance by corporate officials of a social responsibility other than to make as much money for their stockholders as possible. This is a fundamentally subversive doctrine.”105

Secondo l’autore inoltre la teoria della responsabilità sarebbe molto simile alle teorie socialiste e, in quanto tale, costituirebbe un pericolo per la libertà nella società moderna:

“The businessmen believe that they are defending free enterprise when they declaim that business is not concerned “merely” with profit but also with promoting desirable “social” ends; that business has a “social conscience” and takes seriously its responsibilities for providing employment, eliminating discrimination, avoiding pollution and whatever else may be the catchwords of the contemporary crop of reformers. In fact they are-or would be if they or anyone else took them seriously- preaching pure and unadulterated socialism. Businessmen who talk this way are unwitting puppets of the intellectual forces that have been undermining the basis of a free society these past decades.”106

In sintesi la contrarietà di Friedman è dovuta al fatto che i manager vengono nominati dagli shareholder con lo scopo di amministrare e accrescere le loro ricchezze. La legittimazione dei manager deriva quindi dagli shareholder e non dalla società, per questo non esiste nessuna ragione che giustifichi il manager a prendere il denaro che gli è stato affidato e a spenderlo per ridurre l’inquinamento, donarlo alle università o qualsiasi altro obiettivo di interesse non privato ma pubblico, che come risultato finale non porta maggiore ricchezza per l’azionista.107

105 M. Friedman, Capitalism and Freedom, The University of Chicago Press, 1962, pp.133-134

106 M. Friedman, The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, The New York Times Magazine,

September 13, 1970

107 M. Friedman, The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, The New York Times Magazine,

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Dello stesso avviso di Friedman è Heyne che nel 1968 scrive:

“Taken seriously, the doctrine of social responsabilità fosters megalomania in its adherents. It places upon the businessman’s conscience intolerable burdens that tempt him continually to arrogance and pharisaism.”108