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2. Dalle teorie polarizzanti, alle politiche place-based in Europa

2.3 I livelli politici presi in considerazione

2.3.1 La Francia della Politique de la Ville

2.3.1.5 Gli anni ’90 della PdV

Con gli anni ’90 si apre una nuova stagione politica delle misure rivolte ai quartieri. Da un lato la priorità locale si fa nazionale, passando attraverso intricati sentieri dettati da rapporti, commissioni d’indagine, nuovi scontri

3 Come evidenzia Epstein (2000) non erano disponibili dei resoconti sulla PdV, delle analisi

dei risultati, ciò a causa di un’assenza di strumenti di che valutazione chiari e confrontabili.

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urbani e nuove e vecchie parole d’ordine. Dall’altro lato, il modello di stampo associativo sperimentato nel decennio precedente, sotto la guida dell’allora Sindaco di Grenoble, viene abbandonato in favore di una gestione contrattuale dei progetti da attuare nei quartieri.

A partire dalla leggedel 10 Luglio 1989 approvante il Xe plan (1989-1992) il

contratto si è così imposto come «l’immaginario fondamentale ultimo su cui risposa l’ordine della società» (Perulli 2012, p. 22). Sarà questa la legge con cui si definiranno le future linee guida per il governo dei problemi urbani.

Il testo di legge (Loi n° 89-479/1989), nel descrivere gli ambiziosi traguardi cui mirava, attraversa alcuni nodi centrali con cui le città si dovevano confrontare al fine di potersi assicurare un posto tra le città europee: competitività e coesione. Se, infatti, molte città avevano saputo iniziare a ripensarsi a partire da un processo, allora in corso, di deindustrializzazione, al loro interno continuavano a manifestarsi déséquilibres très préoccupants in cui vengono inclusi i phénomènes d'exclusion dans les banlieues les moins favorisées. Se fin qui si delinea un discorso che tende ad una lettura duale delle città e delle società che le popolano è nei paragrafi successivi dell’introduzione alla legge che viene esplicitato con maggior chiarezza il problema centrale:

Nos villes, qui regroupent 70 p. 100 de la population française, restent des lieux privilégiés, d'intégration sociale. C'est un atout qu'il faut à tout prix préserver. Mais les villes subissent le contrecoup des mutations sociologiques, économiques et démographiques qui, lorsqu'elles se conjuguent, peuvent provoquer un véritable déchirement du tissu social et engendrer des phénomènes de ségrégation. Des populations nombreuses se retrouvent parfois captives d'un habitat et d'un environnement qu'elles n'ont pas choisis, et de services de vie quotidienne de qualité médiocre.

È a questo punto del testo che si definiscono alcuni punti fondamentali per affrontare il problema di una frattura socio urbana che contrappone un centro città ai suoi “margini”:

Pour améliorer la qualité de l'offre de services et ouvrir au plus grand nombre de ménages de réelles possibilités de choix, il faut adapter les politiques sectorielles et les articuler dans un véritable projet

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urbain d'ensemble, tourné vers un développement qualitatif et un meilleur équilibre entre le centre des villes et les banlieues.

Si potrebbe dire che questo testo rappresenti il vero e proprio discorso fondativo della Politique de la Ville su scala nazionale in cui a problemi sociali inediti, cui le politiche settoriali non garantivano risposta, si decise di rimediare predisponendo nuovi strumenti territorialmente orientati, capaci, in prima istanza di fornire risposte efficaci nella lotta alla segregazione urbana, ovvero quella che da questo momento in poi iniziò a divenire «la première

urgence à traiter dans le cadre des projets urbains» (Loi n° 89-479/1989).

La modalità individuata per la definizione di un quadro entro cui collocare i progetti urbani è quella contrattuale.

La PdV è anzi tutto un contratto stipulato tra stato e collettività territoriali5,

per riuscire ad incidere sui disequilibri interni alle città. Ma nel divenire dispositivo del contratto, “la forma” della PdV, già di per se problematica in quanto frantumata e scarsamente monitorabile, si autonomizza dai suoi contenuti, lo spazio si fa “diritto” e la priorità socio-politiche nazionali subiscono un radicale ripensamento. Ma i «contraenti spariscono nel contratto» (Perulli 2012, p. 26), lo Stato diviene così “animatore” (Loi n° 89- 479/1989; Donzelot e Estebe 1994) e i beneficiari si tramutano in territori ciblé secondo regimi di accumulo di handicap che si differenziano per gravità e in ultima istanza, per priorità di intervento. Ciò nonostante il contratto viene eletto quale nuovo strumento garante di ogni relazione tra il livello nazionale e quello locale.

I Contrats de Ville saranno l’incarnazione di questo nuovo periodo delle politiche “ABIs” alla francese, un nuovo patto sociale che in parte doveva porre rimedio alle conseguenze della frattura del precedente sistema di welfare di cui “Rodeos” ed émeutes banlieusards si consideravano come conseguenze tangibili.

Si tratta di un atto con cui uno o più collettività locali e lo stato si impegnano ad attuare congiuntamente un programma pluriennale (5 anni

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prima, poi 7 nel XII Piano 2000-2006) per lo sviluppo sociale urbano in specifiche aeree che per gli handicap che accumulano si configurano come prioritari. Inizialmente questo strumento coesisterà assieme ai progetti DSQ (poi DSU), ma a partire dal 1993 sostituiranno i DSU pur concentrandosi, come i predecessori, sui quartieri problematici.