2. Dalle teorie polarizzanti, alle politiche place-based in Europa
2.3 I livelli politici presi in considerazione
2.3.1 La Francia della Politique de la Ville
2.3.1.8 Le nuove geografie prioritarie
Guardando a quanto sta avvenendo oggi sul fronte della PdV, possiamo notare che la sua legittimità sia tale da non necessitare alcuna messa in discussione.
Che questa politica abbia una sua ragion d’essere sembra fuori da ogni dubbio e i problemi che spingono i diversi attori politici a ripensare la PdV sono grossomodo riconducibili alla sola sua “efficacia” e titolarità, nonché alla strutturazione di questo programma politico e, dunque, non più al tipo di diagnosi sociale e territoriale che mette in campo16.
Potremmo sintetizzare l’andamento della PdV degli ultimi dieci anni come un alternarsi di processi di delimitazione territoriale dei problemi sociali, scrematura, ri-categorizzazione dei territori, riformulazione degli indicatori di svantaggio, ri-categorizzazione e così via.
Si potrebbe fin dire che l’obiettivo della PdV sia la PdV in sé, la sua sopravvivenza, piuttosto che l’eliminazione delle disuguaglianze territoriali e sociali.
D’altronde non attuare più una PdV condurrebbe implicitamente ad ammettere il fallimento di una politica in cui sono stati investiti miliardi di euro nell’arco di trent’anni; vorrebbe dire che la struttura dell’azione pubblica sia stata stravolta senza avere alcun risultato soddisfacente.
Nel 2014 anche il governo Hollande ha deciso di intervenire sul tema PdV e lo ha fatto dopo 18 mesi di consultazioni, accompagnati da diversi rapporti scientifici redatti in particolar modo dal Centro di Analisi Strategica.
Se negli anni ’90 un ruolo di primo piano nella delucidazione dei problemi fu giocato Touraine, questa fase ha visto un’altra personalità scientifica di riferimento, M. H. Bacqué, divenire promotrice di cambiamento per la PdV.
Se con Touraine il focus si spostò definitivamente sull’esclusione sociale
16 Fino alla fine degli anni ’90 vi erano tracce di una diagnosi dei problemi emergenti che si
opponeva almeno concettualmente, a quella proposta da una PdV, mi riferisco in particolare al rapporto SUEUR, richiesto dal primo ministro Juppé che, inizialmente, portò ad una temporanea eliminazione del ministro della “ville” proprio a fronte della constatazione che: «la réforme de la fiscalité locale, la mise en place d’un pouvoir d’agglomération “à la bonne échelle”, le
rétablissement de la mixité sociale […] Si l’Etat, au niveau national, entreprend ces réformes structurelles, la politique de la ville ne lui est plus nécessaire» (Behar 1999, p. 3).
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Lo spazio dei problemi. Processi di spazializzazione dei problemi sociali: il caso di Scampia Tesi di dottorato in Scienze Sociali – Indirizzo Scienze della Governance e dei Sistemi Complessi Università di Sassari
come malessere delle banlieue, con la Bacqué il problema principale diviene quello della mancata partecipazione degli abitanti dei quartier alla PdV.
Pur identificando gli effetti perversi di trent’anni di PdV, in particolare la stigmatizzazione territoriale degli abitanti, la concezione di territorio come cumulo di handicap, la dipendenza finanziaria di questi luoghi dai loro stessi malesseri, (dal momento che di fatto, i finanziamenti extra sono andati a sostituire quelli di “diritto comune” come evidenziano nel rapporto del 2013), la Bacqué sembra evitare una critica alla logica della PdV, alla zonizzazione del disagio, optando per una valutazione dei soli sistemi di partecipazione degli abitanti nella PdV, troppo spesso disattesi ma fondamentali per una legittimazione dal basso.
La nuova griglia di lettura attraverso cui leggere e valutare la PdV diviene così l’empowerment degli abitanti, in cui per abitanti si intende l’unità minima dell’associazione e per empowerment un effettivo processo di potenziamento che si riassume nella necessità di garantire il diritto di voto agli stranieri, popolazione dominante nelle periferie francesi.
L’associazione tra “potere” e “voto”, come se il secondo garantisse il primo, risulta a tratti semplicistica e ingenua. Così come l’idea di attore associativo come attore di riferimento della PdV, in quanto portatore di idee salvifiche, sembra promuovere una visione acritica della “località” aggirando, inoltre, le questioni maggiormente problematiche di questo programma politico.
Ma a cosa ha condotto questo rapporto? A Giugno 2014 è stata presentata la nuova normativa della PdV, nuova non tanto nelle sue fondamenta, dal momento che si ripropone la solita lettura dei problemi e dello spazio urbano presente nei decenni precedenti. L’innovazione ha riguardato da un lato, gli strumenti di partecipazione degli abitanti, in linea con quanto suggerito dal rapporto Bacqué, dall’altro la necessità di semplificare e ridurre la zonizzazione della PdV che, come aveva sottolineato la Corte dei Conti nel rapporto del 201217, stava rendendo “illisible” la PdV nonché invalutabile il
17 Per approfondimenti cfr. “La politique de la ville, une décennie de réformes”, pubblicato
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suo impatto.
Il modello di riferimento sembra rimandare ancora una volta al Nord America (vedi il discorso di Lamy, ministro de la ville) e alla sua lunga tradizione di lavoro di comunità per garantire l’empowerment dei cittadini.
Negli ultimi mesi sono così state ridisegnate le zone ad intervento prioritario, che da 2500 sono ora state ridotte a 1500, al fine di «rendre les moyens plus efficaces en les concentrant sur les quartiers les plus en difficulté» (Governo Francese, 2013) e sono stati previsti nuovi strumenti di partecipazione per gli abitanti, i cosiddetti “consigli dei cittadini” che dovrebbero garantire una miglior interazione tra cittadini e cittadini e tra cittadini e autorità. L’idea alla base è quella di una PdV “co-costruita” assieme all’apporto delle associazioni del territorio.