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Una nuova griglia di lettura Sulla Loi d’orientation pour la ville (LOV)

2. Dalle teorie polarizzanti, alle politiche place-based in Europa

2.3 I livelli politici presi in considerazione

2.3.1 La Francia della Politique de la Ville

2.3.1.7 Una nuova griglia di lettura Sulla Loi d’orientation pour la ville (LOV)

Se gli anni ’90 rappresentano una tappa evolutiva essenziale per la PdV questo è in parte dovuto anche ad un ulteriore cambio di visioni circa i malesseri delle Banlieue. Non è solo un problema di esclusione sociale, ma è anche e soprattutto la concentrazione di tale esclusione a fare problema. Sarà proprio questo il timore alla base delle politiche di mixité sociale di cui la legge definita d’orientation pour la ville, emanata nel 1991, incarna una prima traduzione legislativa.

Obiettivo principale del testo fu quello di promuovere un mix demografico, obbligando i comuni con più di 200 mila abitanti a dedicare almeno il 20% della loro edilizia al settore dei “logement sociaux”. Combattere la segregazione di cui le banlieue problematiche erano simbolo, divenne così fondamentale.

9 ISE = (Taux de moins de 25 ans) x (taux de non diplômés) x (taux de chômeurs de longue

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La logica sottesa però, non sembra altrettanto salvifica. Si supponeva, infatti, che parte dei problemi delle periferie popolari fosse attribuibile al solo fatto di vivere a contatto con persone in condizioni economiche simili, secondo una concezione epidemica dei rapporti sociali. La coesione sociale, dunque, verrebbe meno in quei luoghi in cui si manifesta un “cumulo di handicap” diffuso e in cui fenomeni quali la segregazione sociale paiono dominare incontrastati.

Questa legge, seppur non innovativa da un punto di vista degli strumenti messi in campo, segna una svolta concettuale. Ciò che viene implicitamente accettato è il presunto o reale problema dell’effetto di quartiere. La segregazione socio-territoriale è un problema poiché non permetterebbe agli individui di raggiungere uno stato di coesione, ovvero di uscire dalla condizione di escluso e la mixité rappresenterebbe un valido strumento per permettere di distribuire diversamente il disagio, evitando poli di concentrazione, implicitamente pensati come negativi.

Che sia stato il vento nord americano con le sue teorie su urban underclass e lo spatial mismatch, o il semplice timore di divenire come l’America dei ghetti neri, fatto sta che la Francia dei primi anni novanta accetterà l’assunto della “concentrazione” come pericolo e problema da sradicare, moltiplicatore di handicap, piuttosto che sede di reti di relazioni utili.

Come nota Avenel (2005, p. 67), questa legge, assieme alla Loi Besson del 1990, si propone di

Lutter contre le ghetto qui menace toujours quand sont réunies les conditions de concentration des populations fragiles, et d’autre part de répartir le logement social de façon plus équilibrée dans les agglomérations, en introduisant des quotas dans les communes riches.

L’approccio stile “positive action” americane viene rafforzato, almeno su un piano formale. La discriminazione positiva per lottare quelle negative. Questo uno dei credo sottaciuti. Una discriminazione positiva che in fin dei conti si configurava più nei termini di una mera assistenza ai poveri in chiave

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territoriale10 piuttosto che di un meccanismo economico premiante i territori del “meno”.

Un ulteriore handicap territoriale viene al contempo sancito, quello dell’incapacità di questo magma di svantaggio difficile da nominare (ma territorialmente delimitato), di disperdersi autonomamente nello spazio, limitando la creazione di “sacche di rabbia”11. È per la loro presunta incapacità di uscire da questi quartieri che le popolazioni residenti divengono segregate e i territori, invece, segreganti, quasi fossero entità autonome (il territorio si sta forse reificando attraverso certe retoriche?). Ed è in virtù di questa stessa “passività” che questa legge ha proposto un mixaggio coatto, coinvolgente tutti i comuni delle maggiori agglomerazioni francesi. Come afferma Estebe (2005, p. 112), questo periodo politico interpreta diversamente le periferie, dal momento che non si tratta plus de quartiers «symptômes» mais de

quartiers «handicapés».

Si assiste, in altre parole, al passaggio da una logica del rimedio (in chiave “laboratoriale”) all’idea di un progressivo smantellamento di questi quartieri:

C’est-à-dire leur remise à la moyenne ou à la norme : mixité sociale, redéveloppement économique et sécurité deviennent les trois piliers des nouvelles politiques urbaines. Un pas supplémentaire est franchi, au début des années 2000 avec la notion de «renouvellement urbain» qui lève le tabou de la démolition des logements sociaux (Estebe 2005, p.113)

Con la LOV si inizia a definire il quadro nazionale di azione e competenze della PdV. Si potrebbe definire come il momento principale dell’istituzionalizzazione di questa nuova modalità di pensare le politiche pubbliche (Dossier ressource «Politique de la Ville» - ORIV – novembre 2012). Ciò nonostante bisognerà attendere la successiva legge quadro in materia che

10 Jobert e Dammame (1995) parlano di «traitement territorialisé de la pauvreté » e Estebe (2005)

riprende questa definizione per definire la propria concezione della politique de la ville, che secondo l’autore, non può nella sostanza definirsi come una pratica pubblica di discriminazione positiva poiché economicamente non è dimostrabile (Estebe 2005).

11 Finisce l’illusione delle leggi sull’accesso alla proprietà, così come quella sugli auspicati

processi di incremento delle fila della classe media, presenti nelle leggi precedenti, in cui l’HLM era pensato come momento di transito della traiettoria residenziale di uno o più individui (Estebe art su griglie lettura PdV).

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verrà promulgata nel 2000 con il nome di loi pour la Solidarité et le Renouvellement Urbain (SRU), per vedere il completamento delle misure attuate a partire dalla LOV del 1991.

Gli anni successivi all’emanazione della LOV saranno caratterizzati dal processo di zonizzazione finalizzato all’individuazione dei quartieri con cui stipulare i contratti e in cui realizzare i Grand project de ville e le altre misure per il “risanamento” dei quartieri.

La successiva tappa del processo d’istituzionalizzazione della PdV fu quella in cui venne presentata la legge definita “Pacte de relance pour la ville” (PRV). Siamo nel 1996 e come Primo ministro vi era Juppé Alain, accompagnato da Gaudin Jean-Claude al ministero dell’Aménagement du territoire. Furono loro a promuovere questo testo di legge, mentre il senatore Lacher Gérard presentò ufficialmente al Senato la proposta di un patto che, almeno a parole, proponeva di ripensare l’assistenza e lo sviluppo in chiave territoriale e secondo un approccio multidimensionale. 12 A problemi

multidimensionali si oppongono strategie di lotta paradossalmente iper statiche, come i confini di un territorio che le delimitano e ne giustificano l’attuazione.

Questo Pacte ha il merito di affrontare quello che nei decenni precedenti rappresentava il tabù per eccellenza, ossia la definizione di “quartiere difficile” (e sinonimi). È all’interno di questo patto, infatti, che si annuncia e definisce il concetto di zona urbana sensibile (ZUS, anche chiamati quartieri zus, o quartieri sensibili) ed è sempre con questo Pacte che vengono istituite per la prima volta le zone franche urbane (ZFU), un totale di 44 aree urbane ben delimitate in cui attuare dei regimi fiscali agevolati per le imprese che decidono di installare lì parte della loro produzione. Si tratta di una misura che mirava ad incentivare l’assunzione di giovani “sensibili”, residenti in contesti “a problema”.

12 Le parole di presentazione del senatore Lacher (1996) «n'[était] pas un texte de circonstance. Il se situ[ait] dans le droit-fil d'une réflexion qui se poursuit[vait] depuis près de vingt ans et à laquelle le Sénat a contribué. Il repos[ait] sur un diagnostic : les problèmes, les difficultés de la ville sont le résultat de plusieurs facteurs dont celui qui est lié à l'urbanisme a trop longtemps occulté la diversité de nature. Seule une approche globale peut permettre de les traiter ».

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Con il Pacte, inizia a tutti gli effetti il momento della zonizzazione complessa del disagio a livello nazionale che smette così definitivamente di essere una prerogativa delle collettività locali. Il disagio standard viene definito attraverso la distanza che separa gli indicatori di certi quartieri da una media nazionale, che ovviamente si intende come media di normalità e coesione sociale.

Quanto realizzato con il Pacte, definisce i luoghi in cui «casser partout le mécanisme de l’exclusion» e attraverso i criteri di individuazione delle aree prioritarie, i caratteri stessi dell’esclusione sociale, così come intesa dalle politiche. L’esclusione in questione è dunque intesa come una sommatoria statistica di handicap, da quello economico occupazionale, a quello di un elevato tasso di giovani residenti, passando per un “disequilibrio tra habitat e occupazione” e il “degrado” delle abitazioni13.

Con l’emanazione del Pacte si definisce una volta per tutte una visione polarizzata dello spazio urbano e dei suoi modi di vita. La PdV diventa politica pubblica a tutti gli effetti e da questo momento in avanti non farà che modificare e complessificare il quadro legislativo e la zonizzazione dei quartieri prioritari, divenuti nel frattempo la nuova categoria d’azione pubblica (Tissot 2007).

Sarà questo, in estrema sintesi, l’andamento della PdV del 2000. Le basi concettuali sono ormai condivise e i problemi affrontati nell’arco di questo decennio riguardano in maggior misura questioni burocratiche, organizzative e finanziarie di questo nuovo “agire pubblico” territorializzato.

Se guardiamo i discorsi pronunciati in questo decennio trova conferma quanto appena detto. Volendo restringere il campo, è possibile riferirsi a due dircorsi pronunciati da due personalità centrali della PdV del ventunesimo secolo, l’ex Ministro Borloo e l’ex Presidente Sarkozy.

Con la legge n° 2003-710 del 1° Agosto 2003 d'orientation et de

13 La legge del 1996 le definisce come «des zones caractérisées par la présence de grands

ensembles ou de quartiers d'habitat dégradé et par un déséquilibre accentué entre l'habitat et l'emploi. La sélection des ZUS s’est opérée sur des critères qualitatifs («grands ensembles», «déséquilibre emploi/habitat») et sur une analyse conjointe des élus et de l’Etat. Ces zonages intègre aujourd'hui la géographie prioritaire des contrats urbains de cohésion sociale (Cucs)».

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programmation pour la ville et la rénovation urbaine, detta anche “legge Borloo” (da non confondere con il “Plan Borloo”) dal nome del ministro proponente, si definisce in modo più articolato la struttura organizzativo-burocratica della PdV. Vengono identificate delle nuove ZFU e delle nuove ZUS, viene creata l’ANRU (l’Agence Nationale pour la rénovation urbaine) con lo specifico obiettivo di facilitare e accelerare i processi di progettazione locale nei quartieri deprivati, finanziandoli e in alcuni casi, addirittura garantendone la regia parziale o totale. Vengono identificati degli indicatori specifici per la valutazione dell’impatto delle politiche attuate, divisi a seconda dell’ambito di azione (lavoro, scuola, salute, delinquenza) e al fine di garantire un monitoraggio costante dei progetti in corso venne istituito anche un Osservatorio Nazionale delle Zone Urbane Sensibili (ONZUS).

Come è possibile comprendere a partire dalle parole pronunciate durante la presentazione della legge e dei principi che ne giustificavano l’urgenza, Borloo non aveva alcun dubbio sui problemi che affliggevano le banlieue; non vi è, almeno in questo periodo storico, un momento di ripensamento delle basi concettuali della PdV, per cui le categorie di azione pubblica nei confronti dei “quartiers” non vengono assolutamente messe in discussione, rimangono quella dell’esclusione sociale, della segregazione spaziale, della relegazione e della ghettizzazione. Celebre la frase, più volte ripresa dai media, del ministro Borloo che affermava la necessità di «casser le ghettos», sottolineando nuovamente il timore dei ghetti di cui la Francia soffriva e soffre tutt’oggi.

Anche secondo Barloo, come emerge dalla legge, la Francia risentiva di una «crise urbaine et sociale qui concerne un nombre croissant de villes et d'agglomérations», che necessitava di nuovi programmi e strumenti al fine di poter restaurer l'équité sociale au bénéfice des zones urbaines sensibles, sradicando i problemi che affliggevano questi territori, ovvero les phénomènes de relégation sociale et urbaine qui caractérisent […] ces territoires. Il fine ultimo era quello di evitare, attraverso un piano nazionale di rinnovamento urbano (PNRU), di avere dei territori a ritardo di sviluppo all’interno della propria Nazione, collocati ai margini di un progresso sempre più competitivo. In definitiva bisognava

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lavorare, come affermò lo stesso Borloo,

Pour la sortie de ces territoires de la spirale de l'exclusion économique et sociale qui se traduit par des taux de chômage pouvant atteindre plus de 40 %, des écarts importants de performance scolaire et des problèmes spécifiques de santé publique.

Allo stesso tempo con questo testo di legge Borloo rispondeva ad uno dei richiami della corte dei conti. La ricostruzione di Epstein (2012, p. 2) di questa fase è certamente chiarificante:

Lorsqu’il entre dans le gouvernement Raffarin en mai 2002, comme ministre délégué à la Ville et à la Rénovation urbaine, Jean-Louis Borloo trouve sur son bureau un rapport de la Cour des Comptes sur la politique de la ville. Reprenant les critiques qu’ils avaient déjà formulées dans un rapport de 1995, les magistrats financiers y dénonçaient l’imprécision et l’instabilité des objectifs poursuivis, la complexité des procédures partenariales et des montages financiers, le saupoudrage des crédits, l’absence d’évaluation et –non sans contradiction avec le point précédent– la faible efficacité et l’absence d’impact de la politique de la ville. Autant de critiques anciennes que Jean-Louis Borloo avait fait siennes dans un livre-programme publié pendant la campagne présidentielle de 2001, dans lequel il prenait appui sur son expérience valenciennoise pour dénoncer les blocages administratifs qui entravaient l’action des maires engagés dans des Grands Projets de Ville (GPV) et des Opérations de Renouvellement Urbain (ORU). Le rapport de la Cour des comptes ne se réduisait cependant pas à ces critiques. Il les prolongeait par une série de préconisations, qui dessinaient un cahier des charges pour une réforme d’ampleur de la politique de la ville : clarification et quantification des objectifs ; déclinaison de ces objectifs dans des indicateurs de résultats ; identification plus précise des programmes étatiques y contribuant, ainsi que des ressources budgétaires et extra-budgétaires qui leur sont consacrés ; amélioration des systèmes de suivi budgétaire et d’observation statistique des quartiers. Autant de demandes que la Cour avait déjà été formulées en 1995, mais qui se sont muées en impératif sept ans plus tard, dans le contexte de l’entrée en application de la Loi Organique relative aux Lois de Finances (LOLF) qui obligeait l’exécutif à décomposer toutes les politiques de l’Etat en programmes, assortis d’objectifs précis et d’indicateurs de performance.

Certamente la legge del 2003 non discende direttamente dalla finanziaria del 2002, ma quest’ultima ha indubbiamente pesato sulla formulazione della legge Borloo. Vi è, per esempio, una marcata insistenza sulla fase valutativa e

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una definizione chiara degli indicatori delle politiche “de la ville”14; la

creazione di un osservatorio che valutasse quotidianamente i progetti messi in campo (ONZUS); l’istituzione dell’ANRU, in modo tale da ricondurre ad un’unica istituzione il coordinamento generale dei finanziamenti e dei progetti. In definitiva, dunque, questo testo di legge, pur rappresentando una tappa fondamentale del processo di ascesa istituzionale della PdV sembra non esserlo da un punto di vista concettuale. Non vi si trova alcuna problematizzazione degli assunti su cui poggiavano tutti questi programmi politici. Con questa legge, semmai, è possibile rintracciare la definitiva accettazione dei paradigmi d’azione politica che si erano via via consolidati nei decenni precedenti.

Se il 2003 ha segnato un momento fondamentale alla strutturazione della PdV, anche il 2008 lascerà il segno nella storia della PdV.

È l’anno di Espoir Banlieue, definito come il “Piano Marshall delle banlieue” (Demon 2008), il programma politico per i quartieri pensato da Sarkozy e presentato nel 2008.

Il discorso di presentazione del piano, pronunciato da Sarkozy, tocca le principali questioni della PdV e mette in luce alcune delle questioni centrali per questo lavoro di analisi.

Il discorso di presentazione inizia ricordando, con tono celebrativo, l’impegno e l’operato dei governi precedenti in materia di coesione socio territoriale e di lotta alle esclusioni nei territori più vulnerabili che, nonostante il grande sforzo istituzionale ed economico, non ha di fatto condotto alla sperata risoluzione dei problemi delle banlieue che, come sottolinea con forza Sarkozy, persistono.

I caratteri problematici di certi territori, se fino al decennio precedente erano ancora incerti o in via di definizione, alla fine del 2000 sono divenuti ormai certezze, come emerge chiaramente da quanto affermato da Sarkozy (2008):

14 Per un approfondimento di tutti gli indicatori è necessario consultare il testo di legge sul

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Oui, nous le savons tous, il y a des quartiers en France où il est plus difficile que partout ailleurs de s’en sortir, de réussir, de réaliser ses ambitions, ses rêves.

Il y a des quartiers en France où la vie est plus dure qu’ailleurs parce que tous les handicaps, toutes les difficultés y sont concentrés, parce qu’il y a plus de pauvreté, plus de chômage, plus de violence, plus d’insécurité qu’ailleurs.

Il y a des quartiers en France où il y a tellement de handicaps, tellement de difficultés, tellement de précarité, tellement de violence, tellement de souffrance qu’ils se replient sur eux-mêmes, qu’ils ressentent tout ce qui leur est extérieur comme une menace.

Il y a des quartiers dans notre pays, dans notre démocratie, dans notre République où l’on a moins de droits, moins de chances que les autres.

Se fino ai rapporti e discorsi precedenti “il ghetto” rappresentava un possibile destino, da questo discorso appare ormai come una certezza, per cui non solo il ghetto esiste ma vi è ora la necessità di “Briser le ghettos”. Non si parlerà più, dunque, di ghettizzazione, nel senso di un processo in corso, ma di ghetto come una realtà data.

Al di là delle modifiche proposte nel piano EB, che sostanzialmente riguardano nuovamente la struttura organizzativa e finanziaria degli organi della PdV (l’interministerialità della PdV), il piano sembra risposare su una logica di “blaming the territories” (ossia una rivisitazione in chiave territoriale del pricipio del blaming the victim) secondo la quale, se dopo vent’anni di sforzi politici verso certi territori essi sono ancora parte delle geografie prioritarie, è perché non sono realmente in difficoltà o non stanno operando in modo efficace:

Depuis 1996, 751 quartiers prioritaires ont été classés en Zone urbaine sensible. S’y ajoutent les 2200 quartiers prioritaires couverts par la politique de la ville. Quand tout le monde est prioritaire, qui peut l’être réellement ? Aucun quartier n’est jamais sorti de ces dispositifs et zonages qui étaient censés constituer un moyen de revenir à l’égalité (p.4). […] Tant de problèmes n’ont que trop duré. Je les affronterai en concentrant les efforts là où résident les besoins. Ce principe je veux qu’il soit appliqué aux contrats urbains de cohésion sociale. En 2009, lorsqu’il s’agira de les renouveler, il faudra bien se