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4. Oggetto, domande e metodi

4.5 Per uno sguardo da “dentro” Sull’approccio etnografico

4.5.1 Dal micro al macro

Scegliere un approccio etnografico, fatto di, partecipazione, osservazione, note, colloqui informali, discussioni collettive, stralci di vita, silenzi e interviste, da un punto di vista epistemologico, ci costringe a interrogarci sulla capacità dei micro contesti e delle micro dinamiche, di parlarci di fenomeni e dinamiche che si astraggono dalla fisicità del luogo, definiti per questo macro sociali.

Il micro può parlarci del macro? Come far emergere questo legame?

Anzitutto con un approccio micro sociologico, mi riferisco a un metodo, o meglio, a un certo punto di vista su un dato fenomeno, che si focalizza sulla dimensione individuale e/o gruppale delle interazioni, al fine di comprendere come da queste si produca e riproduca socialmente l’oggetto di indagine. Diversamente, con approccio macro sociologico mi riferisco a quell’insieme di punti di vista che indagano il proprio oggetto di studi a partire dalle dinamiche strutturali, economiche e politiche in primis, attribuendo al soggetto e al suo agire quotidiano un ruolo subalterno rispetto alle prime (Bovone 1993).

Ora, tornando alla prima domanda, possiamo rispondere affermativamente, poiché è evidente che una traccia dei processi macro sociali, siano essi a livello urbano, regionale, nazionale o internazionale, è sempre rinvenibile su un piano micro sociale, magari non con la medesima intensità e modalità in ogni contesto e in ogni narrazione, ma nelle pratiche, nei discorsi, nei vincoli, nei problemi, nei cambiamenti, è sempre possibile scorgere una globalità. Ogni politica, fondo, legge, istituzione, ogni processo su ampia scala, non potrà che trovare nei contesti definiti “locali” una sua concretizzazione, sarà a un livello di analisi micro sociale, allora, che si potrà verificare l’essenza della sfera macro sociale.

Nel caso specifico, io mi interrogo sulla possibilità che Scampia, un quartiere dei vent’uno presenti all’interno della città di Napoli, possa, attraverso i suoi attori, le loro pratiche, narrazioni e rappresentazioni,

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rispondere ad una domanda di ricerca che indaga un processo su scala nazionale, domandandomi se e come anche in Italia si possa parlare di un processo di spazializzazione dei problemi sociali nei contesti periferici dei grandi agglomerati urbani e di una strutturazione di contesti geografici prioritari per le politiche pubbliche, in che modo, attraverso quali attori e discorsi.

Questa prospettiva solleva inevitabilmente un dibattito radicato in sociologia, ovvero quello del legame tra l’agire individuale e le strutture entro cui questo agire si sviluppa o, appunto, tra dimensione micro e macro dei processi sociali. Da Weber a Durkheim, da Parsons a Mills, fino ad arrivare a Luhmann e Garfinkel, tutti si sono posti la questione di come mettere in relazione questi due livelli dell’architettura sociale, cercando di comprendere le potenzialità esplicative dell’uno nei confronti dell’altro e viceversa. Non è mia intenzione riprendere questo dibattito. Io fornirò una mia ipotesi di come questo legame si possa rintracciare a partire dal campo stesso e non intende, dunque, porsi come proposta generalizzabile.

Sarà dal quartiere stesso e dalle dinamiche che ho osservato in otto mesi di permanenza, che si cercherà di cogliere il modo in cui questo legame si manifesta o lascia delle tracce. Se, quindi, vi è una certezza circa l’esistenza di un legame tra le due dimensioni (gli autori citati sopra concordavano tutti sull’esistenza di un legame, ciò su cui differivano era il modo di leggerlo), il come esse si leghino non potrà, a mio avviso, che darsi su un piano empirico. Ciò non vuol dire che i processi di connessione tra dimensioni differenti non siano generalizzabili su scale più ampie di quella osservata, ma che su questo legame incidano dei processi locali che lo rendono parzialmente specifico e non immediatamente predisposto per un processo di astrazione.

In altre parole, se è vero che il micro può parlare di macro, è altrettanto vero che sono innumerevoli i modi in cui possa farlo e diversi i modi in cui il ricercatore possa coglierli.

Il fatto che un interlocutore mi parli, ad esempio, del quartiere esaltandone tratti quali la normalità, la calma, la sicurezza, insomma negando in toto la lettura dominante di “luogo degradato”, mi dice che quel soggetto sta

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parlando di macro a patto che la sua opinione sia leggibile nei termini di una reazione ad una narrazione stigmatizzante, ovvero in cui il termine entro cui si sviluppa il discorso individuale è frutto di una reazione ad un discorso “societale” (societal).

Diversamente, i progetti extra curricolari realizzati nelle scuole del quartiere, sono in grado di parlarci di dinamiche macro, poiché è su un programma nazionale che poggiano e perché, allo stesso tempo, sono capaci di mettere in evidenza un processo di una prioritarizzazione di contesti urbani a partire dal campo educativo. Ci aiuta a comprendere, inoltre, alcuni elementi che costituiscono, nell’insieme, la concezione che a livello nazionale si ha della questione urbana e di quella sociale.

Le modalità attraverso cui il micro ci parla di macro, dunque, non sono date una volta per tutte e ancora meno certa è la capacità del ricercatore di rintracciare questi legami, che pure esistono.

In altre parole, bisogna comprendere, all’interno del proprio contesto di ricerca, quelli che sono i riferimenti degli attori ad una scala più ampia e le azioni che si inquadrano all’interno di un processo più ampio, pur essendo rinegoziate a livello locale (l’esempio della scuola in area a rischio).

In questo senso, abbiamo un micro che parla di macro, non solo quando un interlocutore del campo parla di macro, ma quando le loro azioni si possono ricondurre a dinamiche, paradigmi, norme, valori, afferenti la dimensione macro sociale.

Diversamente, un abitante, con cui identifico tutte le persone non afferenti all’ambito politico, associativo o cooperativistico, educativo del quartiere (anche se residenti), che parla di scale differenti (la società nel suo complesso o di Europa, per esempio), pur rimandando direttamente ad una relazione reciproca tra dimensione micro e macro, esplicita tale relazione più ad un livello narrativo, dal momento che per l’abitante sono minori le possibilità di compiere delle azioni che si inscrivano in una relazione con la scala macro sociale (le proteste degli abitanti delle vele e le conseguenze mediatiche delle stesse, sono uno di questi esempi in cui l’agire micro sociale ha trovato uno

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scorcio nella dimensione macro sociale della politica nazionale e della sfera pubblica).

Il legame, allora, lo si intende tanto in termini di “azioni” micro, quanto in termini di narrazioni, che si possono leggere in discontinuità o in continuità con un agire macro, su ampia scala.

Allora si tratterà di comprendere come un agire-narrare locale si sviluppi e quando questo sia legato a doppio filo con azioni e narrazioni a livelli differenti.

Se l’interesse è comprendere, a partire dal campo, i processi di spazializzazione dei problemi sociali, per cogliere il macro dalle informazioni micro, sarà indispensabile individuare i casi in cui l’azione-narrazione localizzata trova dei riscontri in un’azione-narrazione a livelli differenti o si trovano in posizione di contrasto con questa (anche delle pratiche oppositive segnano la presenza di un legame che può essere anche di tipo conflittuale)6.

Anche quando un’azione su scala “locale” prende vita a partire dal rifiuto o dall’esplicito contrasto con livelli politici differenti o con la società, quel micro ci sta parlando di macro, perché è da questo che desume i termini del conflitto ed è alla dimensione macro sociale che intende far arrivare le proprie istanze.

Questi aspetti verranno comunque approfonditi a partire dagli esempi provenienti dal campo, campo che verrà presentato e discusso nei capitoli successivi.

6 Un esempio di micro che parla di macro attraverso un sistema di azioni e narrazioni, ma in

modo conflittuale e proponendo azioni che si collocano in discontinuità con la dimensione macro, è fornito dal caso della Courneuve (Comune a nord est di Parigi), in cui il Comune e gli altri attori hanno organizzato degli eventi e prodotto una sorta di manifesto contro le forme di discriminazione sociale e urbana, poiché i processi di stigmatizzazione legati al territorio così come gli strumenti attivati attraverso la Politique de la ville, rendevano impossibile per la Courneuve pensarsi diversamente rispetto alla rappresentazione di mercato della droga, delinquenza, povertà, etc.

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4.6 Scampia come punto privilegiato di osservazione dell’oggetto d’indagine

Come ho esplicitato in precedenza, il campo di osservazione scelto è stato quello di Scampia.

Per quanto questo contesto e il mio interesse nei suoi confronti, fossero alla base della costruzione dell’oggetto stesso di ricerca, ciò non vuol dire che esso non sia stato rimesso in discussione al fine di comprendere se davvero potesse ritenersi un punto di osservazione privilegiato sul processo indagato. È per questo motivo che, in apertura, ho parlato di “riconferma” del contesto entro cui svolgere la ricerca sul campo.

È davvero Scampia il quartiere ottimale per indagare le dinamiche che mi interessano? Cosa distingue questo quartiere dalle tante periferie definite “a problema” che pure nel contesto italiano esistono?

La risposta alla seconda delle questioni sollevate fornisce, a mio avviso, la base per rispondere alla prima.

Scampia, infatti, a differenza degli altri contesti periferici urbani assunti a problema pubblico, è letteralmente un “modello” di riferimento nei discorsi sul malessere sociale e urbano.

Se andiamo a vedere l’insieme di notizie che riguardano il quartiere7

impossibile non accorgersi della vasta produzione letteraria, cinematografica, documentaristica, scientifica e mediatica che ha come oggetto il quartiere Scampia, si potrebbe rimanere allibiti dalla ricchezza di materiale che lo riguarda. Inoltre, risulta essere l’unico quartiere italiano ad aver ricevuto le visite di alcune delle massime cariche istituzionali, italiane e straniere.

Un film di fama internazionale, Gomorra, quasi interamente ambientato nel quartiere; una decina di film di minore impatto, che spaziano dal tema della criminalità, alla droga, alla gioventù bruciata dei ragazzi del quartiere, al degrado, alla spazzatura; un’innumerevole quantità di documentari di ogni sorta. Una vasta produzione letteraria sul tema della criminalità organizzata,

7 Le notizie cui mi riferisco sono quelle raccolte tramite i giornali, i blog e i siti internet dal

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sulle questioni legate all’esistenza di una parte buona del quartiere, sui sogni dei bambini del quartiere, sulla storia delle associazioni che lo popolano, sulla vita dei residenti, sulla polizia che vi lavora, sui rom che vi risiedono. Una produzione scientifica sulle caratteristiche del quartiere, sulle possibili strategie di riqualificazione, sul mercato del lavoro, sul fenomeno criminale, sui problemi e servizi educativi del territorio, sul ruolo dell’associazionismo, sugli effetti di quartiere.

Scampia ha visto passeggiare tra le sua strade svariati primi ministri, presidenti della repubblica, ministri di ogni sorta, il papa, deputati europei, delegazioni di politici e accademici americani, calciatori di fama internazionale, presidenti di federazioni.

È questo il solo quartiere che viene sistematicamente assunto a modello qualora alcuni territori manifestino forme di malessere sociale.

Analizzando le notizie nazionali e locali, comparse sia sulle maggiori testate giornalistiche, sia su quelle minori, nonché sul web e i blog, che hanno riguardato il quartiere negli ultimi quattro anni, più precisamente a partire da Marzo del 2010 fino ad oggi, Scampia, a differenza di una campione di controllo fornitomi dalle notizie riguardanti altri quartieri genericamente assunti come problematici (Zen, Centocelle, Quarto Oggiaro, Librino), è il solo a poter vantare ben 27 altri quartieri collocati sia a nord che a sud dell’Italia che hanno dichiarato di “avere la loro Scampia” o “essere come Scampia” o ancora, di “rischiare di diventare come Scampia”. Da Rimini a Parma, da Bitonto a San Savalvario, passando per Torbella monaca, Centocelle e Librino, tutti assurgono a punto di riferimento dei mali socio- urbani Scampia.

Affermare, dunque, che Scampia sia un modello, non vuol dire che esso sia semplicemente emblematico, ma che il suo emblema oltrepassi i confini stessi del quartiere, per divenire il termine entro cui comprendere lo stato di salute di altri contesti. Scampia permette di rappresentare fenomeni e processi “altri” rispetto al quartiere. In altre parole, se dovessimo immaginare una scala del disagio in ambiente urbano, Scampia si collocherebbe in una posizione estrema e al pari degli ideal tipi, la realtà di altri quartieri periferici, è con

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questa “Scampia” immaginata, più che reale, che si confrontano e si definiscono il loro disagio.

Allora Scampia, non è solo un quartiere con dei problemi ma si configura come il quartiere problema per eccellenza. In altre parole è il termometro delle periferie italiane, non una come tante.

Questo suo essere modello non può che considerarsi come esito di una pesante stigmatizzazione che lo ha riguardato e che, volendo guardare al di fuori dell’Italia, coinvolge poche altre realtà. Il Bronx in America ha subito delle sorti simili, così come la Courneuve e Les Minguettes per la realtà francese. Tutti questi territori hanno in comune il fatto di essere divenuti “realtà” costruite e indipendenti da loro stesse.

Allora, per tornare al quesito iniziale, Scampia, per quanto riguarda l’Italia, è senza alcun dubbio un punto privilegiato di osservazione delle dinamiche di spazializzazione dei problemi sociali. È su questo territorio, più di altri, che sono convogliate narrazioni di ogni sorta, programmi, progetti e finanziamenti speciali.

Scampia, a differenza di altre periferie, si è configurata, negli anni, come un problema pubblico la cui rilevanza è assolutamente nazionale se non internazionale, cosa che difficilmente possiamo ritrovare in altri contesti e che la rende unica nel suo stigma.

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