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Anni Venti e Trenta

Nel documento Enrico VII e la Toscana (pagine 88-100)

III. L’AMMINISTRAZIONE IMPERIALE IN TOSCANA

2. Anni Venti e Trenta

Nell’anno 1221 la Toscana fu percorsa dal Cardinale Ugolino da Ostia, futuro Papa Gregorio IX, che all’epoca era impegnato a raccogliere fondi e uomini per i combattimenti dei Cristiani in Oriente. Il porporato trovò devota accoglienza nei Fiorentini, banditi dall’Impero: Davidsohn223

mette in evidenza, nelle pagine della sua Storia di Firenze, l’importanza fondamentale che, per le successive vicende politiche della città stessa, ebbe l’attività del Principe della Chiesa in difesa della ortodossia cattolica. Si costituirono nel frattempo due opposte coalizioni che possono essere definite degli antimperiali e dei fedeli al Sacro Romano Impero. I banditi Fiorentini trovarono sostegno alla loro causa nei Lucchesi e negli Aretini, mentre a Monteriggioni (10 luglio 1221), centro fortificato del senese che fu fonte di ispirazione per Dante nella rappresentazione della infernale città di Dite, strinsero un patto d’alleanza Siena e Poggibonsi224, al quale avrebbero aderito successivamente pure Pisa e Pistoia. Tali schieramenti contrapposti, piuttosto che essere motivati da ragioni inerenti il quadro politico internazionale, furono

220 Ibidem. 221

Ibidem.

222 Davidsohn, op. cit., II, p. 119. 223 Davidsohn, op. cit., II, pp. 117-118. 224 Davidsohn, op. cit., II, pp. 119-121.

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generati più semplicemente da contrastanti interessi territoriali che opposero Comuni geograficamente vicini tra di loro. Siena, Poggibonsi, Pistoia e Pisa stessa furono tutte città che condivisero l’interesse di far cadere in rovina Firenze; l’altra grande rivalità che alimentò tali coalizioni fu quella tra i Pisani e i Lucchesi. Arezzo, per il momento, fu solidale con i Fiorentini: nella seconda metà del XIII secolo, tuttavia, il Comune sopra citato sarebbe diventato ghibellino. Vi erano inoltre i Comuni minori (Volterra, San Gimignano, Colle Val d’Elsa, San Miniato, Prato), che all’occorrenza impugnavano le loro armi in favore della fazione che avrebbe promesso loro più favori o che li avrebbe minacciati di più gravi ripercussioni.

Un primo importante conflitto tra i suddetti schieramenti fu combattuto a Castel del Bosco, il 21 luglio 1222 e vide le milizie fiorentine, con l’ausilio di quelle lucchesi, riportare una vittoria fondamentale per il destino della loro città di appartenenza225. Firenze infatti, a causa delle conseguenze, soprattutto in materia commerciale, derivanti dal bando dall’Impero, stava vivendo un periodo di grave crisi. La battaglia in questione fu causata da contrastanti pretese di Lucchesi e Pisani su determinati castelli del Valdarno inferiore ed ebbe come esito la sconfitta della coalizione filoimperiale. Il Comune di Pisa, tra l’altro, dovette risarcire i Fiorentini dei danni economici subiti in conseguenza della rappresaglia mercantile originata dalla lite sul Monte Mario. In cambio della restituzione dei prigionieri tenuti in custodia a Firenze, Pisa versò alle casse di tale Comune l’esorbitante somma di 63000 lire pisane. Firenze, inoltre, si fece indennizzare a dovere pure le vessazioni (sequestro di merci e di persone) che nei due anni precedenti alcuni Comuni minori, applicando i dettami previsti dal provvedimento dell’Imperatore contro la suddetta città, avevano esercitato sui suoi mercanti e cittadini226. I Fiorentini, in pratica, erano passati da una situazione precaria in cui gli avversari locali e il Sacro Romano Impero non aspettavano altro che una loro sconfitta per farli cadere nel baratro, a una situazione in cui, dimostrato il valore delle loro armi, si erano affermati come prima potenza della Toscana, sentendosi talmente forti da non preoccuparsi, per molto tempo, di riappacificarsi con lo

225 Davidsohn, op. cit., II, pp. 126-131. 226 Ibidem.

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Staufen. Nel frattempo aumentava l’ostilità dell’Imperatore verso la città, tenendo conto pure del fatto che, come riporta Davidsohn227, al Puer Apuliae era stata predetta la morte proprio a Firenze; per tale motivo questi evitò per tutta la sua vita di mettervi piede.

Gli anni Venti conobbero frequenti cambi al vertice nell’apparato amministrativo imperiale della Toscana. Il 29 aprile 1222 Averardo di Lutri fu sostituito nella carica di Legato da Gonzelino di Wolfenbuttel, Siniscalco di Federico II e in precedenza funzionario al servizio di Ottone IV. Il 28 aprile 1223 Gonzelino, dimostratosi un rappresentante incapace, soprattutto in occasione della battaglia di Castel del Bosco, lasciò le redini ad Alberto, Vescovo di Trento; nel 1224 fu posto a capo delle questioni attinenti la regione il Duca di Spoleto, Rainaldo Von Urslingen. Nel 1226 il fratello di quest’ultimo, Bertoldo (anch’egli titolare della carica ducale), fu incaricato dallo Staufen di salvaguardare gli interessi dell’Impero in Toscana a nome di Rainaldo, che rimase ufficialmente a capo dell’assetto amministrativo; in pratica, Bertoldo svolse le funzioni di vicario, mentre suo fratello mantenne la qualifica di Legato. L’incarico di Bertoldo tuttavia fu molto breve, dal momento che questi, ricevuta la carica il 20 maggio, il 27 settembre dovette già passare il testimone ad Everardo d’Estac, divenuto nell’occasione castellano di San Miniato e messo della Tuscia per conto di Federico II e di Rainaldo (che, d’altro canto, di lì a poco, fu congedato)228. Un ulteriore funzionario, di nome Rodolfo, nell’anno 1226 fu presente in loco.

Tutta questa sequela di nomi stimola a compiere una riflessione. Se in uno spazio di tempo di sei anni si succedettero al vertice dell’amministrazione altrettante persone, ciò significa che l’autorità del Sacro Romano Impero in Toscana fu all’epoca piuttosto debole, o almeno i suoi rappresentanti si erano dimostrati inefficienti nello svolgere le loro mansioni (palese è il caso di Gonzelino e Bertoldo). Una prima inversione di tendenza, favorevole agli interessi di Federico II, si verificò quando lo Staufen nominò Legato per la regione il sassone Gebhard Von Arnstein, al quale fu assegnato l’incarico di far rispettare in loco la volontà imperiale. Gebhard sostituì il sopra citato Rainaldo, che aveva perso il favore

227 Davidsohn, op. cit., II, pp. 102-103. 228 Davidsohn, op. cit., II, p. 150.

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dell’Imperatore ed era finito addirittura in prigione229

. Il funzionario tedesco è attestato per la prima volta, esercitante la carica di Legato, a Poggibonsi nell’ottobre 1230230

. Questi fu attivo in Toscana per ben nove anni (1230-1239), intervenendo nei conflitti tra i Comuni locali e talvolta ricevendo denaro in cambio dei suoi servigi in favore di questi ultimi. Tralasciando tali episodi di corruzione, si può affermare che il Sassone abbia agito sempre in favore dell’Impero, che cominciò a rafforzare la sua presenza nel territorio proprio in corrispondenza del mandato di Gebhard.

Firenze, dopo la battaglia di Castel del Bosco, aveva riformato il suo governo in senso più democratico e aveva provveduto al riordino delle sue finanze. Fra le più eminenti personalità politiche del Comune vi era, all’epoca, Gherardo Caponsacchi, noto per i suoi sentimenti filoimperiali. Egli, nonostante il sopra citato orientamento politico, ricoprì incarichi governativi di rilievo, dal momento in cui gli esponenti del ceto dirigente fiorentino, tra gli anni Venti e Trenta del XIII secolo, prima ancora di dichiararsi favorevoli o meno alla causa di Federico II, posero gli interessi della città al centro delle loro attenzioni231. Soltanto negli anni Quaranta a Firenze la contrapposizione tra Guelfi e Ghibellini cominciò ad avere consistenti ripercussioni a livello politico. Siena (nemica di Firenze), nonostante la sua fedeltà al Sacro Romano Impero, condusse ai danni degli Aldobrandeschi operazioni belliche in Maremma, dirette a sottomettere tale territorio sotto la sua giurisdizione. I Senesi, tra l’altro, strinsero a tale scopo, dal 1221, patti d’alleanza con Orvieto (tale Comune, come dirò in seguito, passò successivamente dalla parte avversa ai Senesi stessi)232. L’Imperatore tuttavia non aveva accordato alla città in questione il trattamento di favore che invece aveva ricevuto Pisa (nel sopra menzionato privilegio del 1220); in pratica, Federico II era fermamente intenzionato a mantenere sotto il controllo di ufficiali a lui fedeli il contado circostante le mura senesi, presidiato dalle roccheforti di San Quirico e

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Rainaldo fu arrestato per alcune irregolarità compiute nella gestione dei numerosi incarichi che gli erano stati affidati da Federico II (il Duca di Spoleto fu, tra l’altro, reggente del Regno di Sicilia mentre l’Imperatore si trovava in Terrasanta). Infatti, in seguito ad un’inchiesta disposta dallo Staufen, fu giudicato colpevole dei reati che gli erano stati imputati. Dopo il periodo di prigionia, comunque, Rainaldo venne graziato dallo Stupor mundi.

230 Davidsohn, op. cit., II, pp. 258-259. 231 Davidsohn, op. cit., II, pp. 140-145. 232 Davidsohn, op. cit., II, p. 120.

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Orgia. Siena, d’altro canto a quel tempo, non si mostrò disposta a convenire ai desideri dello Staufen, tanto che il castello di Orgia fu assaltato per ben tre volte tra il 1226 e il 1228233. Tra il 1226 e il 1227, inoltre, il suddetto Comune rinnovò gli accordi in funzione antifiorentina con Poggibonsi e Pistoia. Era alle porte una lunga stagione di guerra in Toscana. Innanzitutto, nel 1228, i Fiorentini volsero le armi contro i Pistoiesi. Le truppe al servizio del Comune di Firenze, dopo aver distrutto i castelli di Lamporecchio e Larciano e cinto d’assedio Carmignano, si misero in cammino verso Pistoia stessa per costringerla a sottomettersi. Come sottolinea Davidsohn234, gli alleati di quest’ultima si dimostrarono troppo lenti nel procurare aiuti e tale negligenza fu decisiva per il successo fiorentino. Siena, Pisa e Poggibonsi il 7 giugno stipularono accordi, cercando di coinvolgere pure San Gimignano, nella sede dei Templari in Val d’Era; il denaro che i Senesi avevano versato per assoldare mercenari per difendere le mura pistoiesi, giunse tuttavia troppo tardi ai Pisani235. Tramite l’attività mediatrice del Legato pontificio (il Cardinale milanese Goffredo Castiglioni), fu firmata una pace (25 giugno 1228) umiliante per Pistoia, a cui fu tolta la possibilità di amministrare autonomamente i suoi rapporti con i Comuni e i signori rurali confinanti. I contenziosi tra questi ultimi e la suddetta città avrebbero dovuto essere sottoposti all’arbitrato di Firenze e i Pistoiesi non avrebbero potuto muovere guerra e stipulare alleanze senza il consenso fiorentino236. Il Comune di Firenze, in questo modo, sottomise alla sua volontà uno scomodo vicino appartenente alla coalizione filoimperiale. L’anno seguente (1229) ebbe inizio un conflitto che durò per ben sei anni (fino al 1235), causato dalla cacciata dei milites da Montepulciano; questi si rivolsero a Siena per rientrare nelle mura natie, mentre i Fiorentini si affrettarono a porre sotto la loro protezione ilsuddetto castrum237. Chiaramente, l’episodio, generato da lotte locali per il potere tra milites e populus, rappresentò una ghiotta occasione per i Comuni rivali per dare sfogo alla loro reciproca ostilità. Siena, sfruttando la richiesta di aiuto che le era pervenuta, tentò di estendere il contado sotto la sua giurisdizione;

233 Davidsohn, op. cit., II, p. 149. 234

Davidsohn, op. cit., II, pp. 216-217. 235 Ibidem.

236 Davidsohn, op. cit., II, pp. 217-218. 237 Davidsohn, op. cit., II, pp. 229-230.

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Firenze, invece, si adoperò energicamente nel realizzare lo scopo di impedire l’ingrandimento territoriale della sua nemica.

Siena poté contare sul sostegno del Legato imperiale, il già citato Gebhard Von Arnstein, il quale fece spesso visita, durante il suo mandato, alla suddetta città, a Chiusi, a San Quirico; in generale, il Sassone si dimostrò interessato al felice esito delle campagne militari senesi. Nel 1230 le milizie fiorentine, sostenute da reparti di Lucca, Arezzo, Prato, Pistoia (tale Comune, come già riportato, aveva perso la sua autonomia) e Orvieto (che aveva rotto gli accordi presi con i Senesi per allearsi proprio con Firenze), non riuscirono a riportare una vittoria decisiva sulle forze nemiche. I successi ottenuti, come quello del 15 giugno sotto le mura di Siena (in tale occasione fu fatto prigioniero l’aretino Arrigo Testa, Podestà della città, riconosciuto da Davidsohn238 come il primo poeta volgare toscano), non bastarono per porre fine alla resistenza dei Senesi239. Questi furono appoggiati da Pisa e Poggibonsi e, tra l’altro, in quell’anno furono favoriti dal tradimento avvenuto a loro vantaggio degli Scialenghi, i quali, versando in una cattiva situazione finanziaria, vendettero il 2 luglio al Comune di Siena, la piazzaforte di Chianciano. A complicare i progetti di Firenze vi fu, oltre all’opposizione dell’Impero rappresentata da Gebhard Von Arnstein, il fatto che Gregorio IX, in seguito alla fallimentare spedizione dei suoi clavesignati nel Regnum, era all’epoca in procinto di tendere la mano a Federico II (il ristabilimento dell’armonia tra le due massime autorità della Cristianità avvenne il 23 luglio 1230 a San Germano). Papato e Impero avevano risanato così la frattura che si era aperta in seguito alla scomunica comminata allo Staufen il 29 settembre 1227, causata dalla mancata partenza dello stesso Puer Apuliae per la Terrasanta. Deve essere considerato che, per i vincoli che lo legavano a eminenti personaggi della sua Curia e a banchieri nati in tale città, il pontefice fu incline a salvaguardare gli interessi di Siena; egli inoltre, a quel tempo, in conseguenza di contrastanti interessi territoriali (Garfagnana, possedimenti sul Lago di Bolsena), si trovava in cattivi rapporti con Lucca e Orvieto, alleate di Firenze240. Il quadro politico

238 Davidsohn, op. cit., II, p. 243. 239 Davidsohn, op. cit., II, pp. 249-252. 240 Davidsohn, op. cit., II, pp. 253-254.

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internazionale sembrava, insomma, opporsi alle ambizioni egemoniche dei Fiorentini. Dunque, il Papa incaricò il Generale dell’Ordine francescano, il fiorentino Giovanni Parente, di trattare la pace tra i Comuni toscani; l’attività mediatrice del frate tuttavia si dimostrò inconcludente241.

I combattimenti sopra citati si svolsero contemporaneamente ad altri, che videro scontrarsi Lucca e Pisa. Come rende noto Davidsohn242, i dissidi tra questi due Comuni furono causati dall’opposizione pisana nei confronti delle mire espansionistiche lucchesi verso la Versilia e la Garfagnana; tale azione di contenimento trovò valido sostegno nelle famiglie aristocratiche locali (i cattani), che strinsero accordi di alleanza con il Comune di Pisa, entrando tra l’altro a far parte del consorzio cittadino tramite la concessione in loro favore di terreno pubblico (i cosiddetti guariganghi). Nel contenzioso si inserì pure Gregorio IX, che si dimostrò intenzionato a far rispettare le rivendicazioni del trono apostolico sui beni matildini. Lucca fu sanzionata dal Vicario di Cristo con la scomunica (per due volte) e la soppressione della diocesi (1231-1236), dal momento che non si era mostrata disposta a rinunciare ai suoi propositi per soddisfare le pretese pontificie. La diocesi fu ripartita tra quelle circostanti, mentre la giurisdizione episcopale lucchese fu conferita ad Ardingo, Vescovo di Firenze (1231-1247)243. Nella primavera del 1231, intanto, era fallito un attacco congiunto di Lucchesi e Fiorentini contro alcuni castelli della Garfagnana. In quell’anno l’Imperatore, in pratica, incaricò il Legato per la Toscana di risolvere la controversia riguardante Montepulciano in favore di Siena. In giugno fu infatti inviata, a nome di Gebhard Von Arnstein, un’ambasceria (costituita da Malpilio di San Miniato, Gualtiero Ubertini, Ranieri Zacconi) che richiese ai Montepulcianesi di sottomettersi all’arbitrato del Legato stesso. Il Podestà Ranieri Zingani Buondelmonti, noto oppositore fiorentino della politica imperiale, rispose che prima di accettare tali proposte, come era avvenuto nel 1229 in una occasione simile, avrebbe dovuto interpellare Firenze244. Gebhard a quel punto comminò (il 19 giugno a Monticelli) il bando imperiale al Podestà stesso e al Comune di Montepulciano; inoltre, il

241

Davidsohn, op. cit., II, pp. 260-261. 242 Davidsohn, op. cit., II, pp. 262-263. 243 Ibidem.

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Sassone promise ai Senesi, dietro pagamento in denaro (come afferma Davidsohn245), di mettere a ferro e fuoco il territorio circostante Montepulciano. Firenze si adoperò per sostenere con tutti i suoi mezzi la sua protetta, che, il 21 ottobre, ricevette un nuovo monito dallo Staufen. Rinnovati tentativi promossi dal Papa di pacificazione generale, che si svolsero nel mese di dicembre a Rieti e a cui parteciparono il Podestà fiorentino Andrea Iacobi, insieme ad ambasciatori di Lucca, Pisa e Pistoia, non ebbero esito positivo.

Il 2 ottobre 1232 fu consegnata dalle mani del giudice della corte suprema Pellegrino di Caserta ad Andrea Iacobi, che stava ricoprendo la carica di Podestà a Firenze per il secondo anno consecutivo, una citazione per i danni arrecati dalle milizie fiorentine ai Senesi e un’intimazione a non aggredire più Siena e il suo territorio246. Il Comune di Firenze presentò condizioni di pace che avrebbero previsto il riconoscimento del suo patronato su Montepulciano, castrum che i Fiorentini ritenevano appartenente al loro distretto, la restituzione dei diritti su Poggibonsi, la demolizione di Monteriggioni e che non dovessero essere ricostruiti i castelli distrutti nel contado senese, nel corso degli anni di guerra. Siena, ovviamente, ritenne inaccettabili tali proposte, considerando pure il fatto che Orvieto aveva preteso, come clausola interna agli accordi di pace, la restituzione di Chiusi e Chianciano247. Il 15 ottobre 1232, il Cappellano Goffredo dei Prefetti di Vico, rappresentante papale, dal castello imperiale di San Quirico, si vide costretto a pronunciare la sentenza di scomunica nei confronti del Podestà e del governo di Firenze. La sede scelta per tale provvedimento è eloquente riguardo alla linea di condotta comune seguita nel conflitto in questione, in quel periodo, dall’Impero e dalla Chiesa. Il provvedimento ebbe l’effetto di sfaldare, in parte, la coalizione guidata da Firenze e poco dopo, il 27 ottobre, i Senesi riuscirono a conquistare Montepulciano, permettendo ai milites che erano stati cacciati tre anni prima di dare libero sfogo ai loro desideri di vendetta248.

245

Ibidem.

246 Davidsohn, op. cit., II, p. 272. 247 Davidsohn, op. cit., II, pp. 273-274. 248 Davidsohn, op. cit., II, pp. 275-277.

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Montalcino, in quel frangente, si sottomise spontaneamente al Comune di Siena. Nel mese di dicembre il tribunale imperiale, insediatosi ad Apricena (in Puglia) al cospetto di Federico II, condannò Firenze per le distruzioni compiute dalle milizie di tale città a Querciagrossa e Selvole e, in generale, per le vessazioni arrecate durante gli anni di guerra, agli abitanti del territorio senese. Nell’occasione fu stabilito che i Fiorentini avrebbero dovuto versare al fisco imperiale la somma di 100000 marchi d’argento; poiché questi non si presentarono per essere giudicati, ne avrebbero dovuti corrispondere pure altri 10000. Lo Staufen inoltre concesse ai Senesi il suo beneplacito, in merito alla facoltà di rivalersi sulle persone e sui beni fiorentini; in pratica, le operazioni belliche condotte da Siena contro Firenze sarebbero state considerate alla stregua di esecuzioni di un mandato imperiale249. Nonostante le avversità menzionate, i Fiorentini, che procedettero a un accurato censimento degli abitanti del loro territorio, non si arresero. Questi infatti, sebbene le due massime autorità della Cristianità agissero contro di loro, continuarono a combattere e si adoperarono per legare alla loro causa importanti signori toscani. Si deve rilevare che, decisivo per le sorti della guerra, fu il fatto che il Comune in questione riuscì a concludere alleanze con Guglielmo Aldobrandeschi, Tancredi e Pepone (Visconti di Campiglia), gli Ardengheschi di Tintinnano. Pure Montalcino, che poco prima si era consegnata ai Senesi, stipulò patti con Firenze250. Siena, a causa di tale proficua attività diplomatica, si trovò accerchiata da vicini ostili. Gebhard Von Arnstein si premurò di comminare il bando imperiale alla traditrice Montalcino (5 ottobre 1233); tale sanzione tuttavia non ebbe alcun effetto pratico. Nel marzo 1234 truppe senesi, guidate dal Podestà Transmundo Annibaldi (nativo di Roma), attaccarono e rasero al suolo Campiglia, punendo così la condotta sfavorevole agli interessi del Comune cittadino dei Visconti di tale località251.

Si trattò comunque di una rappresaglia fine a sé stessa, dal momento che non servì a mutare la direzione presa dal conflitto, negativa per Siena considerando i suoi numerosi avversari. Sempre nel 1234 i Senesi, indeboliti pure da carestie ed

249 Davidsohn, op. cit., II, pp. 278-279. 250 Davidsohn, op. cit., II, pp. 288-289. 251 Davidsohn, op. cit., II, p. 290.

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epidemie, non furono in grado di impedire violente scorrerie di milizie fiorentine in alcune zone del loro contado (Asciano, Corsignano)252. L’Imperatore e il Papa a quel tempo furono tenuti occupati da questioni di primaria importanza. Federico II dovette recarsi in Germania per domare la ribellione del figlio Enrico253; Gregorio IX si concentrò nella repressione della ribellione che si era verificata a Roma e che lo aveva costretto ad allontanarsi dalla Città Eterna. Il Vicario di Cristo a questo scopo godette dei servigi dello Staufen254. Il Comune di Siena di conseguenza si sentì privo del sostegno esterno; i negoziati di pace di quell’anno, mediati dal minorita Guglielmo da Cordella, naufragarono per la consapevolezza dei Fiorentini di trovarsi in una situazione di vantaggio tale da sconsigliar loro di accordarsi con la parte avversa. Oltretutto, dal momento in cui era entrato nelle sue grazie Guglielmo Aldobrandeschi, il pontefice non si mostrò più molto incline a sostenere la causa senese; a tal proposito si deve ricordare che, il 25 giugno

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