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Finalità del documento

Nel documento Enrico VII e la Toscana (pagine 156-162)

IV. RIFLESSIONI CONCLUSIVE

3. Finalità del documento

È giunto il momento di riflettere sulle finalità con cui è stato compilato il documento in questione. Come affermato in apertura, quest’ultimo risale con ogni probabilità alla primavera del 1312, in coincidenza del primo soggiorno pisano425 di Enrico VII. L’Alto Arrigo era giunto in Toscana, proveniente da Genova, dopo un intero anno trascorso in Italia settentrionale, caratterizzato da vicende alterne. Infatti, successivamente ai primi mesi in cui i suoi propositi di restaurazione vennero accolti positivamente dai Comuni, la sua fortuna cominciò a declinare con le defezioni di Milano, Cremona, Brescia e con il tradimento di Ghiberto da Correggio. Il Lussemburghese cercò il sostegno di Pisa, fedele alleata, in un momento non felice dal punto di vista politico ed economico e in prospettiva dell’imminente spedizione a Roma, dove avrebbe ricevuto la corona di Carlo Magno.

In questo contesto, un esponente di spicco dell’apparato amministrativo imperiale, Bernardo de Mercato, coadiuvato da altri funzionari, compilò il documento oggi conservato all’Archivio di Stato di Torino, riportando in maniera dettagliata i centri abitati in cui il Sacro Romano Impero aveva esercitato la sua giurisdizione, durante il regno dell’ultimo Imperatore che era stato incoronato. I castelli e i Comuni rurali elencati nella fonte, sono situati nei Comitati delle città aderenti alla Lega Guelfa (Firenze, Lucca, Volterra, Siena) e in quello del Vescovo di Volterra. Enrico VII era consapevole che per restaurare il potere imperiale nella regione, era indispensabile condurre una vittoriosa campagna bellica contro Firenze, che ricopriva il ruolo di principale oppositrice dei piani egemonici dell’Impero, analogamente a quanto fatto nei secoli precedenti. Dante stesso, quando ancora questi si trovava nell’Alta Italia, aveva sollecitato l’Alto Arrigo a non temporeggiare e a scendere in Toscana per costringere i Fiorentini

157 all’obbedienza426

. Il successo su questi ultimi avrebbe guadagnato alla causa del Lussemburghese pure gli altri Comuni toscani appartenenti alla Lega. Inoltre, deve essere considerato il fatto che la suddetta città aveva tessuto, fino ad allora, le fila dell’opposizione ad Enrico VII in tutta l’Italia.

È doveroso riflettere sul motivo per cui un elenco simile non sia stato compilato per le altre regioni del Regno d’Italia. Dalle pagine della Storia di Firenze emerge che nella Tuscia in epoca sveva, l’autorità imperiale, tranne alcuni momenti di crisi, si era fortemente radicata sul territorio. In tale regione, d’altra parte, tradizionalmente, il potere pubblico aveva imposto la sua giurisdizione con più successo rispetto che altrove. Nel corso di questa mia esposizione ho avuto l’occasione di citare Chris Wickham427

, in merito alla lentezza con cui il fenomeno signorile si affermò in Toscana, avanzando la spiegazione incentrata sul funzionamento più duraturo del potere centrale (la Marca di Tuscia). Dopo la

Lotta per le investiture e la fine della dinastia salica, Federico I Barbarossa attuò

una politica volta ad affermare in maniera autoritaria i diritti dell’Impero in loco, estromettendo tra l’altro le prerogative dell’autorità marchionale428

. Egli si valse dell’efficiente operato prestato dall’Arcivescovo di Colonia, Rainaldo di Dassel, dei servigi meno proficui di Cristiano di Magonza e dell’attività densa di buoni risultati del figlio Enrico. Non si può non rilevare il fatto che, contemporaneamente all’istituzione di un funzionante apparato amministrativo sul suolo toscano, il Barbarossa dovette affrontare numerose difficoltà per sottomettere i Comuni lombardi, la resistenza dei quali culminò nella vittoria di Legnano (29 maggio 1176).

Successivamente alla morte di Enrico VI, i maggiori Comuni, famiglie comitali e il Vescovo di Volterra (Ildebrando Pannocchieschi) fondarono la Lega di San

Genesio, dal nome della località vicina a San Miniato in cui fu fondata la suddetta

istituzione. Essa era nata con lo scopo di impedire la restaurazione della giurisdizione imperiale, la quale si era fatta opprimente nei decenni precedenti, in

426 Davidsohn, op. cit., IV, pp. 592-593. 427 Wickham, op. cit., pp. 367-369. 428 Davidsohn, op. cit., I, pp. 711-715.

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Toscana429. In effetti, dalla dipartita dell’Imperatore svevo all’incoronazione di Ottone IV (4 ottobre 1209), i poteri locali seppero approfittare della situazione di vacanza che si era venuta a creare. La Lega di

San Genesio, costituita ai primi di

novembre del 1197, può essere ritenuta una organizzazione analoga alla Lega

Lombarda, che si era opposta con grande tenacia alla volontà egemonica del

Barbarossa. L’istituzione toscana tuttavia, si dimostrò poco unita nei suoi componenti, che mostrarono ben presto l’intenzione di sfruttare quest’ultima per soddisfare le loro ambizioni territoriali. Lo stesso Innocenzo III, celebre per il suo talento diplomatico, favorì la creazione di tale organismo politico con il celato fine di tutelare gli interessi della Chiesa di Roma sul suolo toscano. All’interno della Lega, Firenze guadagnò in poco tempo una posizione dominante. I Fiorentini, non a caso, all’epoca, si resero protagonisti di una espansione territoriale, che fu più ampia di quella degli altri Comuni della regione e che permise alla città sull’Arno di incamerare le entrate fiscali di un gran numero di centri abitati che fino ad allora, si erano avvalsi della protezione dell’Impero dalle mire del governo cittadino. Così nel 1202, fu distrutta Semifonte, abbandonata al suo drammatico destino dai Conti Alberti.

Che la Lega di San Genesio fosse stata fondata per soddisfare le aspirazioni dei singoli componenti, in perenne antagonismo tra di loro e che, per questo motivo, fosse destinata a scomparire non appena fosse stato posto fine alla situazione di vacanza sul trono imperiale, fu dimostrato dagli eventi accaduti successivamente all’incoronazione di Ottone IV. Questi infatti, l’anno seguente a tale cerimonia, era già riuscito a ottenere l’obbedienza di tutti i poteri locali; come rende noto Davidsohn430, pure il Comune di Firenze, tramite l’attività di mediazione del Vescovo Giovanni da Velletri, dopo un’iniziale opposizione, che fu seguita dal bando imperiale, accettò di riconoscere la superiore autorità del Guelfo. L’Imperatore, dunque, fu messo nelle condizioni di restaurare la posizione egemonica che, durante il regno dei due precedenti sovrani svevi, aveva occupato il Sacro Romano Impero. Egli, a tal fine, ripristinò la rocca di San Miniato,

429 Davidsohn, op. cit., I, pp. 912-919. 430 Davidsohn, op. cit., II, pp. 24-27.

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demolita pochi anni prima (1200) dagli abitanti del luogo431, nella sua antica funzione di sede dell’amministrazione imperiale. Fu fatale a Ottone, tuttavia, la infelice decisione di invadere l’Italia meridionale, feudo della Chiesa, in cui regnava l’ancor adolescente Federico. L’autorità del Guelfo in Toscana fu definitivamente compromessa, come in generale il suo conflitto con il Puer

Apuliae, dalla sconfitta riportata alla battaglia di Bouvines (27 luglio 1214).

Emblematico, al riguardo, fu il passaggio del castellano di San Miniato, Averardo di Lutri, dalla parte dello Staufen432.

La politica di Federico II sul territorio toscano può essere suddivisa in due periodi nettamente distinti. Lo Stupor mundi, per circa due decenni, intervenne in maniera poco decisa nelle vicende della regione. Deve essere considerato il fatto che le attenzioni di quest’ultimo furono rivolte ad altre incombenze, come la restaurazione del potere monarchico nel Regnum, la preparazione della Crociata, la lotta con il Papato che gli aveva comminato la scomunica e che, durante la sua permanenza in Terrasanta, aveva tentato di conquistare il Sud Italia. L’Imperatore, in occasione della sua incoronazione (22 novembre 1220), dispensò un gran numero di privilegi, che furono concessi sia all’aristocrazia rurale, la quale era solita poggiarsi sull’autorità imperiale per recuperare l’ormai perso dominio sul contado, sia ai Comuni433. Egli fu inflessibile soltanto nei confronti della ribelle Firenze, che fu nuovamente sanzionata con il bando dall’Impero, mentre i suoi nemici ricevettero abbondanti agevolazioni. Lo Staufen, seguendo una linea di condotta tracciata dai suoi predecessori, sostenne le città rivali dei Fiorentini, ossia Pisa, Pistoia, Poggibonsi e Siena che, obbedendo a una logica politica che si era affermata a partire dal secolo antecedente, si contrapposero alla coalizione antimperiale. I propositi di Federico II, concernenti la demolizione della posizione di potere acquisita da Firenze, nell’immediato non andarono a buon fine. D’altra parte sul territorio toscano gli interessi dell’Impero furono salvaguardati da funzionari che si dimostrarono scarsamente competenti, nel momento in cui furono chiamati all’opera; evidenti sono i casi di Gonzelino di Wolfenbuttel, che

431 Davidsohn, op. cit., I, pp. 928-929. 432 Davidsohn, op. cit., II, pp. 57-58. 433 Davidsohn, op. cit., II, pp. 103-113.

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intervenne in maniera inefficace nella battaglia di Castel del Bosco, e di Bertoldo di Spoleto, il mandato del quale durò pochissimo tempo.

Un cambiamento di rotta, verso l’antica egemonia esercitata dall’autorità imperiale in loco, si verificò a partire dalla nomina alla carica di Legato, del sassone Gebhard Von Arnstein. Quest’ultimo svolse il suo incarico con perizia, sebbene i Comuni fedeli al Sacro Romano Impero continuassero a essere sconfitti dai Fiorentini. La pace di Poggibonsi legittimò un quadro politico-istituzionale contrario agli interessi della casata sveva nella regione. La situazione mutò radicalmente in seguito al successo dell’Imperatore sulla ricostituita Lega

Lombarda a Cortenuova (27 novembre 1237). Infatti Firenze ritenne, come

afferma Davidsohn434, che se persino la potente Milano non era riuscita a prevalere sull’esercito dello Staufen, sarebbe stato ragionevole giungere a un compromesso con l’autorità imperiale. Gli avvenimenti successivi al più volte citato accordo dei Fiorentini con Gebhard Von Arnstein avrebbero poi dimostrato che per restaurare il dominio dell’Impero in Toscana sarebbe stato sufficiente riportare all’obbedienza la città sull’Arno e la sua alleata Lucca, dove ricoprì la carica di Podestà per l’anno 1238 Manfredi da Cornazzano, devoto seguace di Federico II. La parte nord-occidentale della regione in questione, comprendente la Lunigiana, la Garfagnana e la Versilia, fu conquistata militarmente e affidata al fedele Marchese Oberto Pelavicino, che resse il Vicariato generale costituito nella suddetta area435. La zona centrale del suolo toscano, formalmente assegnata al Re di Sardegna Enzo, fu amministrata a causa dei continui impegni bellici del figlio illegittimo dello Stupor mundi, dal Capitano generale Pandolfo di Fasanella, che guadagnò alla causa imperiale, mediante una frenetica attività diplomatica, tutti gli organismi politici locali. In questo modo, il Sacro Romano Impero poté esercitare estesi poteri giurisdizionali sul contado, utilizzando le consistenti risorse estratte dal territorio toscano, per finanziare le campagne militari dell’Imperatore in Romagna e in Lombardia. In pratica, la Tuscia imperialis tornò a svolgere la funzione, già ricoperta nel secolo precedente, di rifornimento del

434 Davidsohn, op. cit., II, p. 331. 435 Salvatori, op. cit., p. 171.

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materiale, sia economico che umano, necessario per realizzare le aspirazioni sveve nell’Alta Italia.

Quanto fosse consapevole Federico II del ruolo fondamentale svolto dalla Toscana nei disegni imperiali e delle conseguenze nefaste che si sarebbero verificate in caso di defezione della suddetta provincia, fu dimostrato dal suo intervento autoritario nella crisi fiorentina del 1245-1246, che terminò con la nomina del figlio Federico d’Antiochia a Podestà del Comune in questione e a Vicario generale della Tuscia436. Deve essere considerato il fatto che, dai tempi del Barbarossa, tuttavia, la regione era stata oggetto di mutamenti economici e sociali, testimoniati dagli scontri tra milites e populus, che ebbero luogo a cavallo dei secoli XII e XIII, all’interno dei Comuni. L’emergente ceto mercantile manifestava una certa ostilità nei confronti di un dispotico potere centrale. Avrebbe mostrato insofferenza verso l’autorità imperiale, che negava ai governi cittadini di porre sotto il loro controllo le aree rurali prossime alle mura e che, oltretutto, non garantiva neppure l’autonomia amministrativa di questi, dal momento in cui l’elezione podestarile era stata vincolata al consenso della casata sveva. Il Sacro Romano Impero, comunque, cercò di guadagnarsi il favore dei ceti popolari, attuando una politica favorevole agli interessi di questi ultimi. Come afferma Davidsohn437, tuttavia, le sollevazioni che si verificarono nel periodo finale del dominio svevo in Toscana furono dovute all’insofferenza accumulata nei confronti delle vessazioni subite, piuttosto che al successo della propaganda religiosa contro Federico II. È vero che il declino del potere imperiale sul territorio toscano fu favorito oltre che da tradimenti di signori rurali che abbracciarono la causa della Santa Sede, pure dalle attività extraspirituali di prelati e di frati domenicani, questi ultimi inseriti, a suo tempo, nella realtà locale da Ugolino da Ostia. Più dei fattori appena citati, tuttavia, fu fatale il malcontento della popolazione, stanca di fornire mezzi economici e umani a un potere dispotico che, tra l’altro, non si mostrava in grado di prevalere sui suoi avversari. Così a Firenze, nell’ottobre 1250, in seguito alla disfatta di Ostina, fu costituito il

436 Davidsohn, op. cit., II, pp. 433-435. 437 Davidsohn, op. cit., II, p. 507.

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Governo di Primo Popolo438, che precedette di poco tempo lo smantellamento dell’apparato amministrativo della provincia, avvenuto successivamente alla morte dello Stupor mundi. L’altro vicariato insediato sul suolo toscano, che comprendeva la Lunigiana, la Garfagnana e la Versilia, all’epoca era già stato disgregato attraverso le concessioni fatte a Pisa e a Lucca, la quale, quando ancora l’Imperatore era in vita, volse le sue mire espansionistiche sui porti versiliesi. Dopo la dipartita di Federico II, i suoi figli ebbero l’arduo compito di proseguire la politica ambiziosa del padre. Corrado IV, tuttavia, morì nel 1254 e Manfredi, che in seguito alla vittoria di Montaperti (4 settembre 1260) era riuscito a riportare i Ghibellini in una posizione di predominio in Toscana, cadde sul campo di battaglia a Benevento, il 26 febbraio 1266, combattendo contro l’esercito di Carlo d’Angiò. La casata sveva fu estinta con il tragico destino di Corradino, nipote dello Stupor mundi, che, il 29 ottobre 1268, fu decapitato a Napoli. La fine degli Svevi sancì la vittoria del Papato contro la dinastia; dopo diciannove anni di vacanza del trono, nel 1273, Rodolfo d’Asburgo fu eletto Re di Germania. A questi succedettero Adolfo di Nassau (1292-1298) e Alberto I (1298-1308). I sovrani sopra citati concentrarono le loro attenzioni sui territori al di là delle Alpi, disinteressandosi degli affari italiani. Come riportato nel primo capitolo, Enrico di Lussemburgo fu protagonista di una netta inversione di tendenza rispetto ai suoi predecessori. Per restaurare la potenza del Sacro Romano Impero era necessario disporre di una documentazione che serbasse memoria dei diritti esercitati al tempo dell’ultimo grande Imperatore. Sarebbe stato indispensabile registrare i territori che erano stati di pertinenza imperiale, nella regione in cui gli Svevi avevano potuto imporre in maniera più profonda la loro giurisdizione.

Nel documento Enrico VII e la Toscana (pagine 156-162)