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Lucca

Nel documento Enrico VII e la Toscana (pagine 47-72)

II. CONTENUTO E STRUTTURA DEL DOCUMENTO

2. Lucca

La fonte in esame a questo punto tratta del contado di Lucca, altro Comune avverso a Enrico VII. Questa sezione è articolata in maniera differente rispetto a quelle concernenti il contado di Firenze. Innanzitutto vengono elencati una serie di territori che si trovano nelle immediate vicinanze della città (Lucana civica et

sex miliaria); in seguito si menzionano castelli sotto la giurisdizione lucchese

appartenenti di diritto a Pistoia (Hec sunt castra, que Lucanum comune tenet de

comitatu Pistorii). Sono poi annotate le località rivendicate dall’Impero

(Infrascripta sunt communia et terre, que detinentur per Lucanum comune, que sunt Romani imperii, videlicet); infine sono elencati castra posseduti da Lucca

stessa e che appartengono di diritto a Pisa (Hec sunt castra que tenet Lucanum

comune de comitatu Pisano). La domanda che sorge spontanea, pure in questo

caso, alla lettura dei territori che si dicono di pertinenza dell’Impero, come pure dei castelli inseriti nel Comitato di Pistoia e Pisa, è su quale base tali rivendicazioni vengono effettuate. In pratica, a quale situazione storica il compilatore del documento fece riferimento nel momento in cui compose gli elenchi in questione. Davidsohn93, facendo riferimento alle sezioni riguardanti il contado fiorentino, sostenne che le comunità e i castelli venivano definiti di proprietà imperiale perché questi erano appartenuti nei secoli precedenti al Sacro Romano Impero. Si addusse dunque una giustificazione che si basava sul fatto che tali territori erano appartenuti all’Imperatore, prima che cadessero nelle mani dei Comuni. Ovviamente in questo modo tutti i castra e i communia potevano dirsi di

92 Davidsohn, op. cit., II, pp. 519-528. 93 Davidsohn, op. cit., IV, pp. 564-565.

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pertinenza del Sacro Romano Impero, sulla base di rivendicazioni che potevano richiamarsi ai tempi di Carlo Magno. Ciò che voglio dimostrare in questa tesi è che il compilatore della fonte in esame aveva in mente una precisa situazione storica, affermando che talune località erano di pertinenza imperiale. Chiarirò nella seconda parte di questo mio lavoro di ricerca il mio pensiero in proposito, per adesso mi limito a descrivere esteriormente gli elenchi.

La sezione riguardante il contado lucchese comincia con un elenco di ventisei località che si trovano nelle immediate vicinanze (Sei Miglia) di Lucca stessa. Queste sono annotate sotto il titolo Lucana civica et sex miliaria. In questo raggruppamento non viene effettuata alcuna rivendicazione di diritti. Ritengo bensì che si tratti di una semplice lista di territori limitrofi al Comune e dipendenti da questo, su cui dunque l’Impero non avanzò pretese. Successivamente vengono citate comunità e castelli che, come è affermato, sono di pertinenza del Comitato di Pistoia. Infatti, sotto l’enunciazione Hec sunt castra, que Lucanum comune

tenet de comitatu Pistorii, sono menzionate venti località. Consultando il Dizionario geografico fisico storico della Toscana94 si rileva che queste si trovano al confine tra i due Comitati, nella zona della Valdinievole, ad oriente della Garfagnana. Ripassando, nelle pagine del Davidsohn95, la storia pistoiese del XIII e XIV secolo si apprende che questa fu caratterizzata da un lento declino. I Pistoiesi pagarono dazio per la vicinanza dell’aggressiva e ambiziosa Firenze come pure di Lucca, che per lungo tempo fu alleata della città sull’Arno. I conflitti che portarono alla perdita di alcuni castra importanti, tra quelli citati nella fonte, furono combattuti tra il 1301 e il 1306. A Pistoia governavano in quel periodo i Guelfi bianchi, mentre nelle due città sopra menzionate era al potere la Parte Nera. Come spesso accadeva in questi frangenti, i Guelfi neri che erano stati banditi da Pistoia, cercarono soccorso tra i compagni di fazione fiorentini e lucchesi e, nella guerra che ne nacque, i Pistoiesi, nonostante la loro fiera resistenza, dovettero sottomettersi. Piteglio, Serravalle, Larciano (tutte e tre elencate nel documento) furono perse nel 1302; nel 1306, dopo undici mesi di assedio, furono aperte le porte della città a Morello Malaspina (Signore della Lunigiana e comandante di

94 Repetti, op. cit. 95 Davidsohn, op. cit.

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Lucca)96. Le condizioni della resa furono durissime: in pratica i Pistoiesi, ai quali furono demolite integralmente le mura e riempiti i fossati, persero la loro indipendenza a favore di Firenze e Lucca. All’epoca in cui venne compilato il documento, questi non avevano ancora recuperato l’autonomia cittadina e, dunque, dovettero aderire alla Lega Guelfa (come annotato nella parte iniziale dello stesso). Dovrò quindi, successivamente, riflettere sul motivo per cui fossero state elencati territori di cui si affermava la pertinenza al Comitato di un Comune che non era fedele all’Impero. Comunque sia, Pistoia aveva perso la giurisdizione sulle venti località citate. La storia di tale Comune, nei secoli centrali del Medioevo, fu caratterizzata da frequenti dispute con Prato, Bologna, Lucca, i Conti Alberti, i Cadolingi, i Guidi e la stessa autorità episcopale pistoiese, per il controllo dei territori situati a cavallo degli Appennini. I Pistoiesi riuscirono a espandere la loro zona di influenza nella suddetta regione, ricorrendo spesso al pagamento in denaro (poiché l’aristocrazia rurale era quasi sempre a corto di liquidi) e ottenendo una posizione egemonica in loco nel primo ventennio del XIII secolo. Nel 1226 si riaprì il contenzioso (nel 1214, 1216 e 1221 erano già sorti contrasti analoghi) tra il Vescovo e il Comune per la giurisdizione su Lamporecchio, al termine del quale un’inchiesta stabilì che il Vescovo, esercitando da sempre diritti signorili, dovesse avere la iurisdictio sul centro abitato. Al Comune, poiché richiedeva ai Lamporecchiesi una vasta gamma di servizi, fu contestualmente riconosciuta la dominatio, ossia la signoria su di essi97.

Per quanto riguarda l’indirizzo politico seguito da Pistoia, si deve rilevare che questa fu costantemente fedele al Sacro Romano Impero, sin dai tempi di Federico I Barbarossa. Nel contesto toscano dei primi decenni del Duecento, si delinearono due schieramenti contrapposti: Pistoia, Pisa, Siena, da una parte, Firenze, Lucca, Arezzo, dall’altra. Deve essere precisato che i conflitti tra queste due fazioni, specialmente all’inizio del XIII secolo, furono causati da interessi territoriali più che da motivi politici (fedeltà o meno all’Impero). La rivalità tra le città appartenenti agli schieramenti sopra menzionati fu mantenuta, comunque, per

96 Repetti, op. cit., IV, pp. 424-425. 97 Repetti, op. cit., II, pp. 635-639.

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tutto il secolo. Vi furono alcuni passaggi di fronte (Arezzo divenne ghibellina) e, nelle dispute, furono coinvolti dei Comuni minori (Prato, Volterra, San Gimignano, Colle Val d’Elsa, San Miniato), i quali si alleavano con chi offriva loro maggior denaro o con chi si mostrava più minaccioso. Nel 1228 i Fiorentini mossero guerra a Pistoia, distruggendo i castelli di Larciano e Lamporecchio e attaccando Carmignano. In seguito, insieme a milizie provenienti da Arezzo, Prato, Volterra e congiuntamente alle azioni belliche condotte da Lucca, truppe fiorentine posero sotto assedio Pistoia stessa. Il 7 giugno Pisa, Siena e Poggibonsi (acerrima nemica di Firenze) strinsero accordi, nella sede dei Templari in Val d’Era, per soccorrere la loro alleata; gli aiuti, che prevedevano il pagamento da parte dei Senesi di una somma di denaro ai Pisani per procurare mercenari, furono tuttavia talmente lenti che i Fiorentini riuscirono a imporre alla città assediata una pace umiliante98. I termini di quest’ultima (25 giugno 1228), stipulati con la mediazione del Legato pontificio (il Cardinale milanese Goffredo Castiglioni) furono così duri che Pistoia, come Comune autonomo, parallelamente a quanto sarebbe successo all’inizio del Trecento, scomparve per un certo periodo dalla scena toscana. La città divenne in pratica un’appendice della politica estera fiorentina. I Pistoiesi dovettero cedere il campo in ogni contesa ai vicini rivali (Prato, i Guidi, il Conte Rodolfo di Capraia), riserbando l’arbitrato su questioni dubbie a Firenze; non avrebbero neppure potuto dichiarare guerra o firmare trattati senza il consenso di Firenze stessa99. Nel conflitto del 1228 è da individuare il principio del declino di Pistoia come potenza di primo piano della Toscana, considerando pure l’ingerenza esercitata negli anni Trenta dai Fiorentini, in particolare nelle lotte tra i milites e il populus, nella politica interna del suddetto Comune.

La fonte prende a questo punto in esame i territori, posseduti dal Comune di Lucca, di pertinenza del Sacro Romano Impero (Infrascripta sunt comunia et

terre, que detinentur per Lucanum comune, que sunt Romani imperii, videlicet).

Viene rivendicata con convinzione, utilizzando l’avverbio videlicet (senza dubbio), la giurisdizione imperiale. Le comunità e i castelli elencati in questa

98 Davidsohn, op. cit., II, pp. 213-218. 99 Ibidem.

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sezione sono suddivisi, per un totale di 190 località, in otto raggruppamenti: In

valle Arni (Valdarno), In valle Nebula (Valdinievole), In valle Ariane (Valle

Ariana), In pleberio Ville Bagilice (Villabasilica), In valle Lime (Val di Lima), In

provincia Carfagnane (Garfagnana), In provincia Lunisciane (Lunigiana), In Versillia (Versilia).

Il raggruppamento concernente il Valdarno è costituito da quindici località e, tra queste, due emergono per importanza nelle vicende toscane del XII-XIII secolo: Montopoli e Fucecchio. Montopoli fu motivo di contrasti tra Lucca e Pisa sin dal 1161, data in cui Federico I Barbarossa accordò ai Pisani il possesso del castello, che fino a quel momento era appartenuto all’autorità episcopale lucchese100

. I dissidi per il controllo di tale castrum sfociarono in una battaglia che fu decisiva per il consolidarsi dei rapporti di forza all’interno della regione. Nel 1222 Firenze si trovava in una situazione di crisi, sia politica che economica. Come riporta Davidsohn101, il Comune non aveva prestato il giuramento di fedeltà al nuovo Imperatore Federico II (incoronato il 22 novembre 1220). All’accampamento imperiale sul Monte Mario vi fu una lite, sfociata in veri e propri combattimenti, tra Fiorentini (in testa ai quali vi era Oddo Arrighi dei Fifanti, vero e proprio attaccabrighe che aveva preso parte pure alle vicende di Campi) e Pisani. Con ogni probabilità tali dissapori furono causati dal fatto che la delegazione pisana presente alla cerimonia non intercedette, come aveva desiderato il Fifanti insieme ai suoi compagni, in favore di Firenze presso lo Staufen, che poco dopo tale vicenda emanò il bando imperiale contro Firenze stessa. Questa, in conseguenza del tumulto scoppiato sul Monte Mario, dovette pure subire una pesante rappresaglia mercantile di Pisa nei suoi confronti. Il Podestà di quest’ultima città, infatti, ordinò che venissero imprigionati tutti i fiorentini che si trovavano a Pisa e che fossero confiscate le loro merci; in aggiunta dichiarò decaduti tutti i patti e le convenzioni allora in vigore con il Comune vittima dei suoi provvedimenti. Infine pose il fermo a tutti i depositi e averi che i mercanti fiorentini detenevano nella città da lui amministrata102. In questa situazione Firenze decise di intervenire nei

100 Repetti, op. cit., III, pp. 593-601. 101 Davidsohn, op. cit., II, pp. 108-111. 102 Ibidem.

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dissidi tra Lucca e Pisa, riguardanti il controllo di castelli situati in zone di confine. Tra i castra contesi vi era pure Montopoli che, come già detto, originariamente era appartenuta all’autorità episcopale lucchese. Lucca trovò un entusiastico alleato nel Comune fiorentino che, bandito dall’Impero e in crisi dal punto di vista mercantile per le misure adottate da Pisa, fu stimolata a risollevare le sue sorti con una grande vittoria ai danni dello schieramento filoimperiale. Il 21 luglio 1222 questi desideri si realizzarono attraverso l’esito della battaglia di Castel del Bosco. In questa località infatti truppe fiorentine, insieme a quelle lucchesi, sconfissero l’esercito pisano, coadiuvato da milizie pistoiesi, senesi, di Poggibonsi e da alcuni reparti di San Gimignano, Colle Val d’Elsa e San Miniato103. Fu, dunque, imposta la restituzione di Montopoli al Vescovo lucchese e la demolizione di fortificazioni pisane erette in territorio nemico. La grande trionfatrice di Castel del Bosco fu, comunque, Firenze. Pisa, infatti, si affrettò ad inviare ambasciatori presso questa città per chiedere la liberazione dei numerosi prigionieri (1500) caduti in mano nemica; i Fiorentini chiesero, ovviamente, in cambio la restituzione delle merci sequestrate due anni prima o adeguati risarcimenti. Essi, citando Davidsohn104, da buoni finanzieri richiesero la somma enorme, per quei tempi, di 63000 libbre pisane per i danni subiti. Le indennità furono pagate e i prigionieri nemici non furono posti in libertà finché non fu versato l’ultimo denaro. Firenze, inoltre, si riserbò di trattare separatamente con ciascuno dei Comuni che avevano partecipato al conflitto, per le vessazioni subite dai suoi mercanti e dai suoi cittadini, in seguito ai sequestri di merci e di persone, verificatesi a seguito del bando dall’Impero (essendone conseguenza). Le restituzioni di pellicce, di lane e panni non si fecero attendere visto che le armi fiorentine si erano rivelate più forti della sentenza imperiale stessa105. Le ostilità tra Lucca e Pisa durarono ancora per molto tempo, poiché quest’ultima si rifiutava di abbandonare l’occupazione di castelli che erano di pertinenza del Vescovo di Lucca. Montopoli stessa passò numerose volte da un proprietario all’altro, fino a giungere, al momento della stesura della fonte in esame, al possesso del Comune lucchese. Vedremo comunque che i conflitti tra le due città sopra citate furono

103 Davidsohn, op. cit., II, pp. 126-129. 104 Davidsohn, op. cit., II, p. 130. 105 Ibidem.

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causati da contrastanti interessi territoriali pure in altre aree (Garfagnana, Versilia). In queste fece sentire la sua ingerenza la Santa Sede, poiché vi rivendicava poteri giurisdizionali. Ciò che è importante sottolineare della battaglia di Castel del Bosco è che, con la vittoria riportata, Firenze si affermò come prima potenza toscana, tanto forte da poter permettersi, sconfiggendo le città fedeli a Federico II, di non curarsi del bando imperiale che le era stato inflitto. Continuò la sua politica antimperiale per altri sedici anni (fino al 1238).

Un castello che fu tra i capisaldi della presenza dell’Impero in Toscana fu quello di Fucecchio. Tale castrum venne scelto come sede di castellani imperiali, insieme alla vicina San Miniato (dove, come dirò in seguito, venivano propriamente amministrati gli interessi dell’Imperatore in Toscana e nel Ducato di Spoleto), per l’importanza strategica determinata dalla sua posizione geografica. Dal castello situato nel Valdarno era possibile infatti controllare con lo sguardo ciò che accadeva nelle maggiori città della regione (Firenze, Lucca, Pisa, Pistoia, Siena), come pure nei Comuni minori. Fucecchio, d’altra parte, difese sempre gelosamente il suo status di centro dipendente in maniera diretta dal Sacro Romano Impero, dunque autonomo dai più potenti Comuni confinanti. Alberto Malvolti, nel suo saggio Il Comune di Fucecchio tra Firenze e Lucca (secoli XIII-

XIV)106, rende noto che la suddetta località era stata protagonista, nei secoli centrali del Medioevo, di una, relativamente consistente, espansione demografica, favorita dalla vivacità dell’economia. La popolazione traeva il proprio sostentamento principalmente dalle attività agricole, ma abbastanza praticate erano pure la caccia e la pesca, per la presenza di estesi boschi e corsi d’acqua nel territorio. Molto profitto veniva tratto dal commercio, reso florido dalla posizione geografica del castrum. Fucecchio infatti era percorsa da importanti strade come la Via Francigena, la Via per Pistoia e quella per Pisa, che proprio in prossimità di tale castello si incrociavano con l’Arno e la Gusciana (oggi canale Usciana), corsi d’acqua navigabili e integrati in un sistema in grado di mettere in comunicazione la Valdinievole e il Valdarno con Pisa e Firenze. La relativa prosperità economica

106 A. Malvolti, Il Comune di Fucecchio tra Lucca e Firenze (secoli XIII-XIV), in Il Valdarno

Inferiore terra di confine nel Medioevo (secoli XI-XV), Atti del Convegno di studi 30 settembre-2

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si accompagnava alla salvaguardia della libertà. Come affermato in precedenza, i Fucecchiesi avevano molto cara la difesa dei privilegi autonomistici che erano stati a loro elargiti. Nel 1085 Papa Gregorio VII aveva reso, tramite privilegio, l’Abbazia di San Salvatore esente dalla giurisdizione vescovile e direttamente soggetta alla Santa Sede107. L’atto che è considerato dalla tradizione locale come costitutivo del libero Comune è il diploma emanato nel 1187 da Enrico, figlio del Barbarossa, che concesse ai Fucecchiesi di erigere un castrum che li proteggesse dai nemici esterni. Egli accolse pure richieste inerenti la costituzione di organi amministrativi locali. Con il provvedimento in questione, Fucecchio fu resa direttamente dipendente dal Sacro Romano Impero, essendo riconosciuta esente dalla giurisdizione di qualsiasi altra autorità sia ecclesiastica che secolare108. Venne deliberato inoltre che chiunque avesse voluto compiere transazioni (di acquisto o di vendita) nel castello, avrebbe dovuto versare una somma di dodici denari alle casse imperiali. Il castrum continuò ad essere un centro nevralgico del potere imperiale in Toscana fino alla morte di Federico II. Questi scelse il castrum stesso come propria residenza nella primavera del 1249 e da qui diresse le operazioni militari contro i Guelfi che erano stati banditi da Firenze109. Quest’ultima città, invece, fu sempre evitata dallo Staufen nel corso della sua vita, a causa di una profezia che gli era stata fatta da un astrologo. In pratica, come riporta Davidsohn110, gli fu rivelato che a Firenze avrebbe trovato la morte. A Fucecchio, il 29 aprile 1249, fu festeggiata la presa di Capraia (avvenuta il 25 aprile). Nell’occasione furono condotti dinanzi all’Imperatore i Guelfi che erano caduti in mano nemica nel tentativo di difendere la roccaforte e, fra di essi, vi furono il già citato Rodolfo di Capraia, suo fratello Anselmo e Ranieri Zingani Buondelmonti (quest’ultimo aveva ricoperto un ruolo di primo piano nella politica fiorentina del primo Duecento). Ai prigionieri non fu riservato un trattamento migliore di quello che aveva avuto pochi mesi prima Pier delle Vigne111. Alcuni

107 Malvolti, op. cit., p. 340. 108 Ibidem.

109 Davidsohn, op. cit., II, p. 492. 110

Davidsohn, op. cit., II, pp. 102-103.

111 Pier delle Vigne, il più eminente consigliere politico di Federico II, fu arrestato per aver commesso, con ogni probabilità, il reato di malversazione. Morì suicida, come riporterò pure in seguito, nel castello di San Miniato, dove (nella primavera 1249) era stato condotto in catene.

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furono impiccati sul posto, altri furono condotti nelle carceri del Regno di Sicilia dove furono loro strappati gli occhi con un ferro arroventato e, così mutilati, furono successivamente gettati in mare112. Così morì, come già accennato in precedenza, Rodolfo. Costui, ne parlerò nel prossimo capitolo, per molto tempo aveva avuto stretti rapporti di collaborazione con importanti funzionari imperiali; successivamente, essendo stato deluso dall’Impero stesso e da Pisa, abbracciò la fede guelfa. Lo Staufen risparmiò la vita a un certo numero di quegli sventurati: Ranieri Zingani Buondelmonti, ad esempio, dopo essere stato accecato, fu lasciato libero di terminare la sua esistenza tra le capre della rocciosa isola di Montecristo113. Alla resa di Capraia, tuttavia, non fece seguito una totale sottomissione dei ribelli Guelfi che continuarono a stazionare nei castelli del Valdarno Superiore. Tra l’altro un mese dopo tale vittoria, Federico II fu raggiunto dalla drammatica notizia che suo figlio Enzo era caduto prigioniero dei Bolognesi presso Fossalta (26 maggio 1249). Alberto Malvolti114 afferma che, subito dopo la morte dell’Imperatore, Lucca si affrettò a imporre la sua giurisdizione sui territori del Valdarno Inferiore; gli ufficiali imperiali preposti al vicariato di tale area furono sostituiti da vicari lucchesi. Soltanto a partire dagli anniSettanta del XIII secolo, comunque, il Comune lucchese esercitò pienamente il suo controllo sullasuddetta zona. Fucecchio divenne allora luogo di residenza e centro dell’attività giurisdizionale del vicario di Lucca e della sua curia. La competenza territoriale di quest’ultimo, rende noto Malvolti115

, fu più ristretta rispetto a quella che aveva avuto chi lo aveva preceduto nell’ufficio. Il vicario imperiale infatti aveva esercitato la sua giurisdizione pure sulla Valdinievole, mentre il funzionario dipendente dalla città toscana ebbe competenza esclusivamente sull’antica curia di Fucecchio, inclusi i castelli di Montefalcone, Orentano, Staffoli, Galleno, Ultrario, Massa, Cappiano (oltre ai due nuovi centri fondati nel biennio successivo al 1250, Santa Croce e Castelfranco di Sotto). Dopo l’elenco riguardante il Valdarno, il documento tratta della Valdinievole (In

valle Nebula) e della Valleriana (In valle Ariane), per un totale di 28 castra citati

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Davidsohn, op. cit., II, p. 493.

113 Davidsohn, op. cit., II, p. 494. 114 Malvolti, op. cit., p. 341. 115 Malvolti, op. cit., p. 342.

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(19 per la Valdinievole e 9 per la Valleriana). Le due suddette aree erano entrate a far parte del contado sotto la giurisdizione del Comune di Lucca poco prima rispetto all’epoca in cui fu compilata la fonte. La presenza signorile infatti, ancora

Nel documento Enrico VII e la Toscana (pagine 47-72)