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Il progetto utopico di Enrico VII

Nel documento Enrico VII e la Toscana (pagine 162-165)

IV. RIFLESSIONI CONCLUSIVE

4. Il progetto utopico di Enrico VII

A causa della sua sfortunata sorte, Enrico VII non ebbe il tempo neppure per allestire, in Toscana, un apparato amministrativo. È doveroso riflettere sulle reali possibilità di successo dei propositi, che erano stati avanzati dall’Alto Arrigo, di restaurazione dei diritti dell’Impero in loco. In apertura della mia esposizione ho affermato che, l’immagine tradizionale che rappresenta il Lussemburghese fuori

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dal suo tempo, debba essere ormai considerata superata. Questi, al contrario, influenzò i successivi sviluppi politico-istituzionali della realtà italiana, in cui, per tutto il Trecento, si sarebbero affermati i poteri signorili. Deve essere considerato che l’Alto Arrigo non fu un sovrano sognatore, privo di mezzi finanziari e militari, come invece è stato descritto dalla storiografia novecentesca. Giuseppe Petralia439 mette in rilievo il passaggio alla casata di Lussemburgo del controllo delle miniere di Kutna Hora, che probabilmente poterono essere a disposizione di Enrico VII; questi, a ogni modo, fu sostenuto economicamente da Pisa e dalle città dell’Alta Italia a lui fedeli. Enrico inoltre, sebbene non fosse riuscito nell’autunno-inverno 1312-1313 a sottomettere Firenze, comunque aveva allestito un potente esercito440 che, se l’Imperatore non fosse deceduto prima, avrebbe attaccato passando per Roma, il Regno di Roberto d’Angiò. Sulle possibilità di resistenza dell’Angioino, al quale era già stata sottratta la Calabria da Federico III, alleato dell’Alto Arrigo, i Guelfi fiorentini avevano riposto scarse speranze. Come afferma Giovanni Villani441:« di certo si credea per gli savi che […] al signore di

tanto valore e di sì grandi imprese com’era egli, avrebbe vinto il Regno e toltolo al re Ruberto, che poco apparecchiamento avea al riparo suo. Anzi si disse per molti che ‘l re Ruberto no ll’avrebbe atteso, ma itosene per mare in Provenza; e appresso s’avesse vinto il Regno come s’avisava, assai gli era di leggere di vincere tutta Italia, e dell’altre province assai». Veniva prevista, dunque, una grande vittoria delle forze imperiali, che avrebbero avuto in seguito, la strada spianata per la sottomissione dell’intera penisola.

Naturalmente nei piani del Lussemburghese, la conquista dell’antico Regno d’Italia sarebbe stata seguita dal ripristino, nelle diverse province, dell’apparato amministrativo smantellato nel corso dei diversi decenni passati dal crollo del dominio imperiale nel paese. Ritengo tuttavia, che il prevedibile successo di Enrico VII non avrebbe instaurato una situazione politica stabile nella Penisola. È indubbio che i Comuni popolari, all’epoca, stavano vivendo un periodo di crisi istituzionale, la quale sarebbe culminata nella definitiva affermazione della

439 Petralia, op. cit., p. 33.

440 Davidsohn, op. cit., IV, pp. 726-727. 441 Villani, op. cit., II, pp. 257-258.

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Signoria o nella gestione degli affari cittadini da parte di una piccola cerchia di famiglie (come fu il caso di Firenze). Degno di lode fu, pertanto, il tentativo enriciano di riportare la concordia nelle realtà comunali, ordinando il ritorno dei condannati dall’esilio attraverso la già menzionata cassazione generale.

È innegabile che tale Imperatore, tramite la sua personalità cavalleresca e gli ideali di giustizia incarnati, affascini gli appassionati di storia. Egli, tuttavia, fu una figura controversa rispetto allo svolgimento storico, perché non riconobbe che il Sacro Romano Impero aveva ormai fatto il suo tempo in Italia. Le lotte intestine avrebbero avuto come epilogo l’affermazione di un potere dispotico locale, autonomo da una autorità superiore, governante su una realtà territoriale che nel corso del Medioevo si era rivelata troppo estesa per essere controllata. Gli avvenimenti passati avevano dimostrato che gli organismi politici aspiranti a espandersi su vasti territori erano destinati a soccombere per la grandezza delle ambizioni stesse. Le dedizioni comunali a Carlo I e a Roberto d’Angiò avevano avuto forme pattizie, del tutto differenti dalla natura coercitiva con cui Enrico di Lussemburgo aspirò di intervenire nelle questioni italiane442. Lo svolgimento storico aveva decretato la sconfitta dell’autorità imperiale contro i Comuni, che avevano acquisito la giurisdizione sul contado. Come afferma Davidsohn443, se i governi cittadini avessero preso in feudo, in cambio di un tributo, i castelli necessari per la loro difesa, oltre ai terreni dai quali la popolazione urbana traeva parte delle vettovaglie, avrebbero ceduto la libertà di cui erano orgogliosi e gelosi. Se, invece, avessero perso militarmente tali beni, sarebbero piombati nell’impotenza. Sostengo che difficilmente sarebbe stato possibile da attuare un ritorno al passato, dopo che, nei secoli precedenti, erano state combattute numerose battaglie per ottenere l’autonomia amministrativa e l’accesso alle risorse rurali. A differenza dell’autore della Storia di Firenze, ho cercato di dimostrare che le rivendicazioni del Sacro Romano Impero sui territori del contado fiorentino, lucchese, volterrano e senese, non si fondarono su diritti esercitati in un’epoca indefinita, che può essere fatta risalire sino ai tempi di Carlo

442 Poloni, op. cit., pp. 125-126. 443 Davidsohn, op. cit., IV, pp. 564-565.

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Magno. Nella suddetta opera viene fatto riferimento444 al documento oggetto del mio lavoro di ricerca, non considerando che le pretese imperiali si fossero basate sulla situazione vigente durante il regno dell’ultimo grande Imperatore. Viene sostenuto, invece, che i diritti elencati avessero come fondamento il fatto che l’Impero, da tempo immemore, ne aveva avuto possesso445

. Ritengo, tuttavia, che una tale documentazione dettagliata abbia dovuto poggiarsi su delle fonti specifiche, che non potevano che risalire al periodo federiciano, successivamente al quale l’apparato amministrativo imperiale decadde. Durante la mia esposizione ho cercato di porre l’accento sulle coincidenze tra l’elenco in questione e la giurisdizione esercitata dal Sacro Romano Impero, nell’ultimo decennio di vita dello Stupor mundi.

Nel documento Enrico VII e la Toscana (pagine 162-165)