IV. RIFLESSIONI CONCLUSIVE
6. La morte dell’Alto Arrigo
Il 24 agosto 1313 i medici dichiararono ai Grandi dell’esercito che l’Imperatore Enrico VII non aveva più che poche ore di vita; il Conte Amedeo V di Savoia, fedele seguace dell’Alto Arrigo, comunicò a quest’ultimo ciò che gli altri non avevano il coraggio di dirgli453. Enrico ricevette i sacramenti dal suo confessore, il domenicano fra’ Bernardino da Montepulciano, e morì come era vissuto, da uomo pio che affronta anche la morte coraggiosamente. La dipartita lo salvò dal peggio, dalla lotta col Papa e con la Chiesa, che su di lui, credente e fedele, incombeva come una sciagura ineluttabile. L’ambizioso sogno della restaurazione della potenza imperiale era tramontato. Quando la notizia del decesso si sparse, nell’esercito risuonarono grida di dolore. Non si voleva credere che una malattia avesse ucciso il sovrano nella piena vitalità. Subito si diffuse il sospetto che Enrico fosse stato avvelenato. Fu sostenuto che fra’ Bernardino avesse inserito del veleno nell’ostia sacra e nel calice della Comunione offerti, alla vigilia dell’Assunta, al Lussemburghese454
. I gravi sintomi che precedettero la morte apparvero appena due giorni dopo la suddetta solennità religiosa, ma non furono affatto quelli di un avvelenamento. Poiché ciò che è straordinario è creduto più facilmente e più volentieri di quello che è naturale, come afferma Davidsohn455, si sparse in tutti i paesi la nuova, che continuò a essere creduta per secoli, che l’Imperatore era stato assassinato. Furono accusati quali mandanti del presunto
453 Davidsohn, op. cit., IV, p. 748. 454 Davidsohn, op. cit., IV, p. 749. 455 Ibidem.
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delitto Clemente V, Roberto d’Angiò e Filippo il Bello di Francia, ma soprattutto i Guelfi fiorentini furono sospettati di aver corrotto il confessore sopra citato. L’accusa rivolta contro i Guelfi di Firenze fu aggravata con l’aggiunta del fatto che il frate domenicano, successivamente alla dipartita dell’Alto Arrigo, sarebbe stato accolto con tutti gli onori nella città sull’Arno, dove avrebbe preso residenza456.
In molte opere storiche, contemporanee e posteriori, in latino, in tedesco, in italiano e in francese, i governanti fiorentini e fra’ Bernardino furono ritenuti colpevoli di omicidio. In diverse città italiane e tedesche la popolazione si volse violentemente contro i Domenicani; questi ultimi furono spesso, per odio o per vendetta, aggrediti e feriti e, in molti luoghi, le loro chiese furono assalite. D’altra parte, i Francescani, in concorrenza con l’Ordine fondato da Domenico de Guzman, contribuirono a diffondere il risentimento nei confronti dei Domenicani. Per decenni furono scritti versi diffamanti nei confronti dei frati in abito bianco e nero e vennero recitate cronache rimate nelle quali si lamentava la morte di Enrico. Fu persino augurato a tutti i Fiorentini di morire di peste per il loro crimine.
Nonostante questa generale convinzione, tali accuse erano infondate. Dante, come tutti i Grandi Ghibellini della corte di Enrico, non le mosse; tornò a loro onore il fatto che essi si opposero sempre al sospetto verso gli odiati nemici. L’accusato fra’ Bernardino fu un dotto, di una nobile famiglia di Montepulciano, che aveva studiato a Colonia e a Parigi, era stato Cappellano del Cardinale Jacopo Colonna e sempre fervido Ghibellino; l’Alto Arrigo gli aveva concesso alla sua corte un grado principesco457. Dopo la morte dell’Imperatore non si ritirò, come fu affermato, a Firenze, ma, minacciato di morte dai cavalieri nordici, fuggì da Buonconvento e trovò rifugio nella vicina Arezzo, fedele all’Impero, dove avrebbe vissuto indisturbato 16 anni nel convento dei Domenicani458. Il Vescovo di Arezzo, Guido Tarlati, uno dei Ghibellini più zelanti, scrisse al Cardinale Niccolò di Prato, tre settimane dopo il decesso del Lussemburghese, una lettera in
456 Davidsohn, op. cit., IV, pp. 749-750. 457 Davidsohn, op. cit., IV, p. 751. 458 Davidsohn, op. cit., IV, pp. 751-752.
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cui dichiarò che nessuna persona ragionevole aveva creduto alla presunta corruzione di fra’ Bernardino, il quale, per la suddetta morte era precipitato da una splendida condizione, in quella misera di un frate questuante. Una lettera simile fu indirizzata allo stesso Cardinale dal Comune di Arezzo, retto dal favorito dell’Imperatore, Federico da Montefeltro, e dai fuoriusciti fiorentini, a mezzo dei loro Capitani e del loro Consiglio459. Inoltre, Giovanni di Boemia nel 1346, su richiesta dell’Ordine dei predicatori, poche settimane prima di cadere accecato nella battaglia di Crècy, rilasciò una documentazione nella quale attestava che un’inchiesta eseguita subito dopo il decesso, aveva escluso nel modo più assoluto ogni sospetto a carico di fra’ Bernardino460
.
Tragica fu la sorte di Enrico VII, non perché dovette morire ancora giovane, ma perché fu chiamato a combattere per un ideale che apparteneva al passato e perché mise tutta la sua più sincera volontà e tutta la sua energia al servizio di diritti ormai decaduti. Dante si era abbandonato a una profonda illusione. È vero che la vita politica dei Comuni italiani era scossa, all’epoca, dalle lotte tra fazioni; la salvezza non sarebbe tuttavia venuta da un giudice supremo, ma da un’incisiva opera di risanamento e rinnovamento interno. Davidsohn461 rende noto che il comando dell’esercito privato del sovrano fu assunto dal Maresciallo Enrico di Fiandra. Quest’ultimo, nei giorni successivi alla morte dell’Alto Arrigo, fece prendere la via più diretta verso il territorio pisano. Dieci cavalieri con in testa gli elmi d’acciaio portarono a spalla la bara con la salma. I medici, evidentemente, non disponevano a Buonconvento dei mezzi per imbalsamare il cadavere e apparve impossibile, data la calura estiva, trasportare più oltre la salma stessa. Per cui a Suvereto, località della Maremma, fu deciso di bruciare il corpo secondo l’uso medievale. Soltanto le ossa furono portate a Pisa462
. L’Imperatore, prima di morire, aveva comunicato la sua volontà di essere sepolto presso la chiesa dei Domenicani; i cavalieri nordici, irati con i frati in abito bianco e nero, tuttavia, vennero meno a tale richiesta. Le esequie solenni ebbero luogo il 2 settembre nel Duomo. Le ossa furono avvolte in un drappo di broccato di seta rossa, intessuto
459
Davidsohn, op. cit., IV, p. 752. 460 Ibidem.
461 Ibidem.
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con figure di aquile e leoni e accanto furono deposti la corona, lo scettro e il globo imperiale d’argento dorato. Grande fu il lutto dei Pisani, anche se si disse che i due milioni di fiorini d’oro forniti per un’impresa fallita ebbero una gran parte in quel dolore463. A ogni modo il lutto fu sincero e trovò la sua espressione nella splendida tomba, eretta nella tribuna dietro l’altare maggiore del Duomo, dal maestro senese Tino di Camaino. Tale monumento funebre fu condotto a termine in due anni e sarebbe stato destinato a ospitare, oltre al Lussemburghese, i propositi di restaurazione del potere imperiale in Italia e, in particolare, in Toscana.
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