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Federico d’Antiochia e il tramonto del potere imperiale

Nel documento Enrico VII e la Toscana (pagine 118-134)

III. L’AMMINISTRAZIONE IMPERIALE IN TOSCANA

5. Federico d’Antiochia e il tramonto del potere imperiale

Federico d’Antiochia dunque, in qualità di Podestà di Firenze e di Vicario generale della Toscana, fu posto a capo dell’amministrazione di questo territorio. Davidsohn321 fornisce una breve descrizione del figlio illegittimo dell’Imperatore. All’epoca correva voce che la madre di questi fosse una donna orientale: una principessa musulmana o una dama dell’Oriente cristiano. In tal modo veniva spiegato l’appellativo “d’Antiochia”. Incertezze vi sono pure sulla sua data di nascita. Davidsohn322 stesso sostiene che Federico, nominato cavaliere dal padre nel luglio 1245, assunse la podesteria fiorentina a ventisei anni (la nascita, se si accoglie tale tesi, deve essere collocata nell’anno 1220). Il Dizionario Biografico

degli Italiani323, al riguardo, afferma che il figlio dello Staufen, partorito dalla nobildonna siciliana Maria (o Matilde) d’Antiochia, probabilmente figlia di Roberto d’Antiochia, nacque intorno al 1222-1224; ritengo che la tesi appena citata sia del tutto condivisibile, in quanto colloca il concepimento in questione nell’arco di tempo in cui il Puer Apuliae, vedovo della prima moglie Costanza

d’assedio del suddetto castello, nel luglio 1246 costrinse alla resa i congiurati. Questi furono incarcerati e, dopo terribili supplizi, giustiziati.

320 Kamp, op. cit. 321

Davidsohn, op. cit., II, pp. 435-436. 322 Ibidem.

323 E. Voltmer, Federico d’Antiochia, in Dizionario Biografico degli Italiani, su voce on line (XLV, 1995).

119 d’Aragona324

, risiedette in Italia meridionale in attesa di nuove nozze. Federico II instaurò buoni rapporti con il mondo musulmano, tanto da guadagnarsi la profonda devozione dei Saraceni di Lucera; l’Imperatore, tra l’altro, recuperò, ai Cristiani Gerusalemme tramite accordo diplomatico con la controparte araba. E’ ragionevole sostenere tuttavia, che Federico d’Antiochia fosse nato nel Regno di Sicilia, dove fu educato presso la corte paterna. Sull’aspetto fisico del figlio dello

Stupor mundi è da ritenere che questi, sebbene claudicante, fosse avvenente come

gli altri esponenti della casata sveva. Egli, unendo a uno spirito fiero e combattivo elevate doti intellettive, possedette gli attributi caratterizzanti gli Hohenstaufen; è da segnalare a tal proposito il fatto che, verosimilmente, alcune liriche attribuite al padre fossero in realtà state composte dal figlio. Federico, intorno al 1240, sposò Margherita, figlia di Giovanni dei Conti di Poli, il padre del quale era Riccardo, fratello di Papa Innocenzo III325. L’Imperatore si adoperò costantemente, con il chiaro intento di indebolire la posizione del Vicario di Cristo, per stringere saldi legami con l’aristocrazia romana e, d’altro canto, Giovanni dei Conti di Poli, nonostante la parentela sopra menzionata, fu noto per il suo orientamento politico filoimperiale. Quest’ultimo, in seguito all’accordo matrimoniale, ricevette in feudo la Contea di Albe, mentre Federico, grazie ai possedimenti ereditati dalla moglie, ottenne il controllo di estesi territori del Lazio e dell’Abruzzo. Federico, tra il 1244 e il 1245, resse la Marca Anconetana in qualità di Vicario generale. Questi, come già detto, fu investito cavaliere (a Cremona) dal padre nel luglio 1245, ossia in un momento difficile per l’Imperatore, considerando che in quello stesso mese venne pronunciata a Lione la sentenza inerente la sua deposizione. Lo Staufen, allora, in una situazione in cui le province a lui ancora fedeli erano minacciate dai nemici (in particolar modo da prelati e monaci), decise di assegnare ancor più di prima le cariche amministrative a una ristretta cerchia di devoti. In particolare, ai figli illegittimi (oltre a Federico d’Antiochia, Enzo e Manfredi), vennero affidate grandi responsabilità326 per quanto riguarda la protezione degli interessi imperiali. In tale contesto deve essere inquadrato il

324

Costanza d’Aragona, sposatasi con Federico II a Messina il 15 agosto 1209, madre di Enrico di Germania, morì a Catania il 23 giugno 1222.

325 Voltmer, op. cit. 326 Ibidem.

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conferimento a Federico d’Antiochia del vicariato della Toscana, oltre che della podesteria fiorentina. A quest’ultimo, pur senza esserne in possesso, dagli abitanti di tale regione, fu ben presto dato il titolo di Re327(probabilmente per assimilazione con il fratellastro Enzo, Re di Sardegna, o con il padre). Il potere dispotico esercitato dal Vicario generale è verosimilmente testimoniato dal fatto che la fortezza eretta a Prato, divenuta un centro nevralgico dell’amministrazione imperiale, fu chiamata Castello dell’Imperatore, sebbene lo Stupor mundi non vi avesse mai messo piede.

Federico d’Antiochia, afferma Davidsohn328

, per quanto riguarda il caso specifico di Firenze, assunse un’autorità che in epoca posteriore sarebbe stata qualificata con il nome di Signoria. Dunque, da quanto appena affermato, si rileva che Federico concentrò nelle sue mani i poteri di comando nella provincia che, indispensabilmente, doveva essere conservata al Sacro Romano Impero. Deve essere precisato, tuttavia, che gli ex domini della Contea aldobrandesca, nel 1248, furono assegnati al controllo del Marchese Galvano Lancia, nominato Vicario generale della suddetta porzione di territorio; inoltre, la Lunigiana, la Garfagnana e la Versilia appartenevano a un apposito vicariato. Per quanto concerne i provvedimenti presi nei confronti di Firenze, all’indomani della composizione della discordia riguardante l’elezione podestarile, l’autore della Storia di

Firenze329 ne fornisce i dettagli. In pratica, il Comune perse tutti i diritti che gli erano stati riconosciuti nell’accordo del giugno 1238. Ai Fiorentini fu sottratta la giurisdizione sul contado, che fu diviso in varie porzioni, con ogni probabilità cinque o sei distretti, ciascuno dei quali affidato a un vicarius imperiale. Purtroppo sono pervenute poche fonti inerenti la gestione del Comitato fiorentino in seguito alle disposizioni del 1246. Vi sono notizie soltanto su due distretti. Uno è l’area compresa inter Arnum et Elsam (il Chianti con Castelfiorentino e Certaldo); l’altro è quello della Valle Arni [ ex] utraque parte, in Mucillo et

partibus adiacentibus, in cui fu insediato, come vicario, il giovane aristocratico

napoletano Landolfo Caracciolo. I capitani delle varie plebes del contado vennero

327 Davidsohn, op. cit., II, pp. 435-436. 328 Davidsohn, op. cit., II, p. 442. 329 Davidsohn, op. cit., II, pp. 436-438.

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sostituiti da rettori nominati, verosimilmente con cadenza annuale, dal figlio illegittimo di Federico II. Firenze, oltre al Comitato di sua pertinenza e alle relative entrate fiscali, perse pure la giurisdizione d’appello. Deve essere aggiunto che Federico d’Antiochia, nel 1246, abolì la magistratura dei Capitani del Popolo330(istituita da Bernardo d’Orlando Rossi due anni prima), poiché i titolari di tale carica si erano opposti alla sua elezione. La magistratura in questione, comunque, con la formazione del Governo di Primo Popolo fiorentino, sarebbe stata ricostituita nel 1250. Si può affermare, considerando i suddetti provvedimenti, che l’odio tra le fazioni all’interno delle mura fiorentine si dimostrò assolutamente controproducente per il benessere della città che, tramite l’accordo raggiunto con Gebhard Von Arnstein, aveva ottenuto notevoli concessioni dall’Impero. Firenze, negli anni in cui fu Podestà il figlio dell’Imperatore, divenne la principale sede amministrativa imperiale in Toscana. Federico fu posto a capo di un assetto amministrativo ampiamente accentrato e gerarchico, specialmente per quanto riguarda l’ambito fiorentino, in cui si sarebbe verificato un forte incremento di richieste di contributi economici e militari alla popolazione locale.

Nel momento di crisi dunque, il Sacro Romano Impero, vedendo addirittura aumentati i suoi diritti su Firenze e il relativo territorio circostante, era riuscito a conservare la sua base di potere in Toscana. Il controllo del potere imperiale sulla provincia, tuttavia, con il passare del tempo, si sarebbe rivelato sempre più arduo. Si venne a costituire, in maniera ancor più accentuata rispetto alle altre regioni italiane, una netta contrapposizione, in seno ai poteri locali, tra i sostenitori dello

Stupor mundi e i suoi oppositori. L’autonomia dei Comuni, a livello

amministrativo, era stata danneggiata dal decreto dell’autunno 1241 che aveva subordinato l’elezione podestarile all’approvazione dell’Impero; i Podestà, tra l’altro, venivano designati con la formula Dei et Domini Imperatoris gratia. Inoltre, era stato istituito un ufficio speciale (al capo del quale era stato posto il

receptor et dispensator pecunie imperialis curie in Tuscia) per la raccolta dei

contributi versati dalla popolazione locale. In generale, l’amministrazione delle finanze imperiali fu assegnata a funzionari (come Giovanni iudex, magister

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Boccamuselli, Tommaso di Gurgio e Gualtieri da Capua) provenienti dal Regno di Sicilia331. Federico II per molto tempo, avendo voluto mantenere sotto il diretto controllo dell’Impero i proventi derivanti dal contado, si era rifiutato di convenire alle aspirazioni territoriali delle città a lui fedeli. Egli, d’altro canto, nel 1248, fu costretto dalle necessità politiche del momento a concedere la Lunigiana a Pisa (tranne il castello di Pontremoli e i feudi di Corrado Malaspina) e la Garfagnana a Lucca. L’Imperatore dunque dovette togliere tali territori all’amato figlio Enzo, al quale li aveva conferiti nel gennaio 1246 (il Re di Sardegna, in quella data, era stato nominato Vicario generale della Versilia, della Garfagnana e della Lunigiana)332.

Il Comune che non vide mai ricompensata in maniera adeguata la sua fedeltà verso il sovrano fu quello senese, che nondimeno, fu pure il più vessato dal personale burocratico al servizio dello Staufen stesso. Le pretese sui castelli di Belforte e Radicondoli non furono accolte, mentre cresceva l’insofferenza verso il personale imperiale, specialmente nella persona del vicario Ticcio di Colle Val d’Elsa333.

Le preoccupazioni inerenti la salvaguardia della fedeltà delle città furono accompagnate dalla stretta sorveglianza delle attività dell’aristocrazia signorile, sia religiosa che laica. Al riguardo un esempio fu rappresentato dal Vescovo di Arezzo Marcellino Pete (in precedenza a capo della Chiesa di Ascoli), che aveva ricevuto in feudo Cortona da Federico II. Quest’ultimo, avendo scoperto accordi segreti con l’allora pontefice Gregorio IX, nell’estate 1240 privò il prelato dei suoi possedimenti334. Il Pete, come era consueto in quegli anni di conflitto tra Chiesa e Impero, trovò rifugio presso il Papa, che risarcì questi dei beni perduti con adeguate prebende e il titolo di rettore della Marca d’Ancona. Marcellino prestò i suoi servigi alla causa della Sede Apostolica finché, nel dicembre 1247, fu catturato dal Capitano imperiale Roberto di Castiglione mentre stava combattendo, ricoprendo funzioni di comando, nelle fila dell’esercito pontificio. Il

331

Davidsohn, op. cit., II, p. 387. 332 Davidsohn, op. cit., II, p. 475. 333 Ibidem.

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prelato fu punito per il suo tradimento con una morte orribile, che aggiunse ulteriore materiale alla propaganda papale avversa all’Imperatore scomunicato, deposto e accusato di eresia335.

Lo Staufen, negli ultimi anni di vita, tra continui episodi di infedeltà e congiure, si dimostrò d’altra parte scarsamente incline a provare misericordia verso i nemici. Pure alcuni grandi signori laici decisero di schierarsi contro il potere imperiale. Al riguardo è doveroso riportare due casi di divisioni politiche in seno a potenti famiglie comitali. Il primo riguarda la casata degli Aldobrandeschi in cui, mentre Guglielmo si affermò come uno strenuo difensore del potere temporale della Chiesa di Roma, il figlio di Bonifazio (fratello di Guglielmo), Ildebrandino, sposò la causa di Siena e dell’Impero. Federico II, come già ampiamente riportato in precedenza, esigette che i feudi in possesso del paladino del Papa fossero conquistati e posti sotto il controllo di funzionari a lui devoti; tali ordini vennero eseguiti con successo da Pandolfo di Fasanella. Guglielmo, nondimeno, continuò a rappresentare un’insidia per gli ufficiali dell’Impero di servizio in Maremma. Successivamente alla disfatta di Vittoria, il Marchese Galvano Lancia, Vicario generale della ex Contea aldobrandesca, ebbe molte difficoltà a reprimere le agitazioni, favorite dall’attività sotterranea dell’Aldobrandeschi, verificatesi a Grosseto336. L’Aldobrandeschi, dopo la morte dello Stupor mundi, proseguì la sua politica filoguelfa, riuscendo a riconquistare i territori che gli erano stati sottratti. Prosecutore della linea di condotta di Guglielmo fu il figlio Omberto, che si dimostrò profondamente avverso a stringere compromessi con i Ghibellini senesi; quest’ultimo pagò con la morte per assassinio tale superbia.

L’altro ramo della casata aristocratica, i Conti di Santa Fiora, aveva mantenuto un orientamento politico avverso ai consanguinei e favorevole agli interessi del Comune di Siena. Analoghe divisioni si verificarono in seno alla casata dei Conti Guidi. Guido Guerra V e Ruggero, figli di Marcovaldo (capostipite del ramo dei Dovadola), si schierarono in favore della fazione Guelfa. Davidsohn337 rende noto che l’Imperatore nel 1234, quando aveva già al suo servizio in qualità di paggio

335 Davidsohn, op. cit., II, pp. 466-468. 336 Davidsohn, op. cit., II, p. 497. 337 Davidsohn, op. cit., II, p. 370.

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Guido Guerra, temendo una possibile defezione del ramo Dovadola dei Conti Guidi, richiese a Beatrice di Capraia, vedova di Marcovaldo, l’invio dell’altro figlio, Ruggero. Le sue preoccupazioni si sarebbero dimostrate, di lì a poco, del tutto fondate, in quanto Guido Guerra, nel 1240, combatté contro le milizie imperiali in difesa dell’assediata Faenza338. Possono essere avanzate più spiegazioni sulla scelta politica compiuta dai figli di Marcovaldo. In primo luogo deve essere considerato che il patrimonio di tali esponenti della famiglia comitale era, in larga parte, concentrato in Romagna; Guido Guerra V e Ruggero, con il fine di ottenere maggiori garanzie di tutela dei loro interessi territoriali, avrebbero potuto essere stati spinti a brandire le armi in favore della Santa Sede. Un altro motivo che avrebbe potuto aver convinto i Guidi da Dovadola a tradire Federico II, fu rappresentato dalle scorie probabilmente non del tutto rimosse, derivanti dalla contestata eredità di Ruggero (uno dei cinque figli, insieme a Guido, Tegrimo, Aghinolfo e Marcovaldo, di Guido Guerra IV), morto nel 1225 senza aver dato alla luce figli339. Le liti in quell’occasione, erano state causate dal testamento di Ruggero stesso, l’esistenza del quale fu addirittura messa in dubbio da Marcovaldo e Aghinolfo, che aveva lasciato in eredità i suoi beni esclusivamente a Guido e Tegrimo. I due Guidi, che in questo modo videro negati i loro diritti di successione, protestarono aspramente contro tale atto, affermando in difesa dei loro interessi, che in seno alla famiglia era sempre stata applicata la legge longobarda, la quale si basava su una divisione ugualitaria dei possedimenti tra i consanguinei. Essi, inoltre, rivendicarono il riconoscimento dei servizi prestati per la gloria della casata. Marcovaldo morì (nel 1229), quando ancora non era stato emanato un giudizio definitivo sul contenzioso in questione. Fu il Conte Rodolfo di Capraia, nonno di Guido Guerra e Ruggero, che si occupò della salvaguardia dei diritti dei nipoti, riuscendo a esporre il caso all’arbitrato dei giudici del Podestà di Firenze; i Dovadola ottennero così l’agognata sentenza in loro favore340. Rodolfo con ogni probabilità, ebbe un ruolo di primo piano nell’educazione dei figli di Beatrice, i quali, ancora nell’età dell’infanzia, dopo la

338

Ibidem.

339 M. Bicchierai, Marcovaldo Guidi, in Dizionario Biografico degli Italiani, su voce on line (LXI, 2004).

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morte del padre, erano stati affidati agli zii Guido e Tegrimo; il suddetto Conte, tuttavia, dovette far sentire la sua influenza molto più di questi ultimi. Non si può non considerare il fatto che, proprio nello stesso momento in cui Rodolfo a causa del mancato rimborso del denaro prestato ad Ubaldo II Visconti, era entrato in discordia con l’Impero e Pisa, Guido Guerra V e Ruggero sposarono la causa dei Guelfi fiorentini. E’ da sostenere, d’altro canto, che l’influenza dell’ambiente familiare, pure per quanto riguarda il ramo dei Conti Guidi rimasto fedele all’Impero, presumibilmente ricoprì notevole importanza nelle scelte politiche. Guido Novello, esponente di spicco del ghibellinismo fiorentino della seconda metà del XIII secolo, infatti, era figlio di Guido e di Giovanna Pelavicino, sorella di Oberto Pelavicino, fido funzionario, come già detto, dello Stupor mundi. Guido Guerra V e Guido Novello, per lungo tempo, si sarebbero trovati, assolvendo incarichi di grande responsabilità, a militare nei due schieramenti opposti dei Guelfi e dei Ghibellini. Essi combatterono l’uno contro l’altro alla celebre battaglia di Montaperti, che, in quel caso, vide prevalere Guido Novello e i suoi compagni d’arme, sostenitori di Manfredi (4 settembre 1260)341. La divisione politica all’interno della casata dei Guidi funge da stimolo per descrivere le vicende degli ultimi, turbolenti anni del dominio imperiale in Toscana.

A Firenze, il malcontento della fazione ostile a Federico II e l’attivismo religioso in favore di Innocenzo IV, trovavano base d’appoggio nell’insofferenza popolare nei confronti delle vessazioni compiute dai funzionari del Sacro Romano Impero. Questi, a partire dal 1246, erano divenuti sempre più pressanti nella richiesta di uomini e beni necessari per sostenere le incessanti campagne belliche imperiali. Alla guida dell’opposizione nei confronti del governo ghibellino si posero, a quel tempo, gli Adimari e i Cavalcanti; nel marzo 1247, tuttavia, il Vescovo Ardingo, difensore della causa pontificia, morì a San Miniato, località in cui era stato esiliato a causa dei suoi contrasti con il reggimento cittadino filosvevo342. Davidsohn documenta che il Vicario generale della Tuscia, nel maggio di quello stesso anno, incontrò a Siena il padre Imperatore diretto a Lione (dove risiedeva

341 M. Marrocchi, Guido Novello Guidi, in Dizionario Biografico degli Italiani, su voce on line (LXI, 2004).

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all’epoca il Papa), ricevendo da quest’ultimo l’ordine di mettere insieme un consistente esercito toscano che avrebbe dovuto servire gli interessi dello Staufen al di là del Reno343.

Federico II, tuttavia, dovette trattenersi in Italia per riparare alla defezione di Parma (giugno 1247)344, fino a quel momento rinomata città ghibellina; il tradimento in questione fu favorito dall’attività antimperiale di Bernardo d’Orlando Rossi, ex collaboratore dello Stupor mundi. Lo Staufen, dunque, fu raggiunto dal figlio illegittimo (accompagnato da truppe reclutate per l’occasione) all’accampamento di Vittoria, allestito con il proposito di riportare all’obbedienza i Parmensi. Si trattò della prima e unica volta in cui Federico d’Antiochia avrebbe valicato l’Appennino durante il suo mandato; in quell’occasione questi poté incontrare i più stretti collaboratori del padre, ossia il fratellastro Enzo, Manfredi Lancia, Oberto Pelavicino, Ezzelino da Romano, Taddeo da Sessa, accorsi per recare aiuto nel difficile assedio.

Egli, tuttavia, dovette lasciare Vittoria per impedire che pure in Toscana fosse abbattuta l’autorità del Sacro Romano Impero. Infatti, il Legato Ottaviano degli Ubaldini, personaggio controverso e molto potente, accusato più volte all’interno degli ambienti pontifici di ghibellinismo (d’altronde, fu un esponente della celebre casata tradizionalmente fedele all’Impero), stava a quel tempo guidando un esercito pontificio per sostenere l’opposizione dei Guelfi fiorentini. Mentre l’Imperatore avrebbe subito una cocente sconfitta contro i ribelli parmensi (18 febbraio 1248), il Vicario generale restaurò l’ordine all’interno delle mura fiorentine (gennaio 1248). Davidsohn345 rende noto che quest’ultimo mosse la sua offensiva, contro le forze ostili all’Impero, da Prato. Ampio appoggio fu fornito da Farinata degli Uberti (ricordato da Dante nel suo Inferno), capo dei Ghibellini fiorentini. Il figlio illegittimo dello Stupor mundi, per l’occasione, riuscì a radunare 1600 cavalieri, cifra ragguardevole, considerando che molti Comuni toscani avevano deciso di non adempiere alle richieste vicariali. San Gimignano, ad esempio, non inviò che pochi militi. La maggior parte dei Guelfi, nella notte

343 Davidsohn, op. cit., II, pp. 446-448. 344 Davidsohn, op. cit., II, pp. 445-446. 345 Davidsohn, op. cit., II, p. 460.

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della Candelora (2 febbraio 1248), fuoriuscì dalla città per proseguire la ribellione nel territorio circostante346. Il successo conseguito all’interno delle mura, nei piani di Federico d’Antiochia, avrebbe dovuto essere seguito dalla sottomissione dei focolai di resistenza nel contado; in pratica, la vittoria dell’autorità imperiale avrebbe dovuto essere completata. I Guidi di Dovadola, intanto, accolsero i fuoriusciti presso i loro possedimenti. Essi fecero diventare Montevarchi uno dei principali centri della resistenza guelfa. Guido Guerra V e Ruggero vennero insigniti da Innocenzo IV del titolo di Capitanei pro Ecclesia, ricoprendo così funzioni di comando nell’esercito che il pontefice stesso aveva messo a disposizione dei ribelli. Gli zii dei Dovadola, Guido e Tegrimo invece, poichè Federico II aveva conferito loro le contee meridionali di Andria e Lecce, brandirono le armi in difesa degli interessi svevi347.

Un altro centro nevralgico dell’opposizione antimperiale fu Capraia, dominio del Conte Rodolfo, che si trovava in cattivi rapporti con il Sacro Romano Impero, oltre che con Pisa. La sconfitta dinanzi alle mura di Parma dell’esercito dell’Imperatore, ebbe ripercussioni in Toscana. I poteri locali, sino ad allora costretti all’obbedienza da un apparato amministrativo invasivo e opprimente, cercarono di sfruttare la debolezza del sovrano per liberarsi dal giogo a cui erano

Nel documento Enrico VII e la Toscana (pagine 118-134)