I diversi tipi di rituale hanno qualcosa che li unisce ed una di queste caratteristiche è, a
proposito del corpo in questi ambiti, il modo particolare che ha esso di essere
regolamentato. Alla luce di ciò sembrerebbe che i gesti della “liturgia” di ogni comunità
meritino un approfondimento, poiché, come afferma Fabietti:
«(...) i gesti sono quei movimenti del corpo che nella religione vengono compiuti nell’ambito della "liturgia", un termine di origine greca che estendiamo, senza troppi distinguo, a tutti quei riti che, in qualunque religione, rinviano esplicitamente al piano dell’azione e della manipolazione di sostanze e oggetti, alla dimensione "pratica" della religione e dell’esperienza religiosa»164.
Le movenze sono, perciò, la parte pratica di ogni religione e siano esse, parte o meno, della “liturgia” appartenente ai riti specifici di ogni comunità, sono il frutto della società alla
quale questi riti competono, in particolar modo esse vengono collegate alle idee che
permeano gli schemi di credenze di ogni individuo. A tale riguardo Durkheim ne Le forme
sottolinea come siano importanti i movimenti del corpo, in special modo in ambito
religioso, poiché, in accordo con il suo pensiero, essi riescono a rinforzare il legame che i
credenti hanno con il loro dio, dando vigore al rapporto che questo ha con la società a cui
appartiene, in virtù dello scopo che, secondo il sociologo, la religione detiene all’interno di
ogni singola comunità.
«Per questo motivo si può essere certi in anticipo che le pratiche del culto, quali che esse siano, non costituiscono movimenti senza importanza e gesti senza efficacia. Per il solo fatto di avere la funzione apparente di rafforzare i vincoli che uniscono il fedele al
96 suo dio, esse rendono al tempo stesso realmente più stretti i vincoli che uniscono l’individuo alla società di cui è membro, perché il dio non è che l’espressione figurata della società»165.
A proposito dei gesti e del linguaggio che essi sembrano “parlare”, l’antropologo Maurice
Bloch dedica parte del suo lavoro su simboli, canti e danza all’interno dei rituali a tale
caratteristica. Lo studioso considera i movimenti del corpo alla stessa stregua di discorsi,
anche se all’interno della religione (e oseremmo dire non solo)166 essi sottostanno alle regole che ogni rituale prescrive, ad un sistema al quale non possono sottrarsi, mancando,
però, della spontaneità e della dinamicità che contraddistingue il linguaggio quotidiano.
«Vi è un certo buon senso nel dire che i movimenti del corpo sono una sorta di linguaggio, e che una persona comunica ad un’altra segnali simbolici attraverso una varietà di movimenti. È anche molto evidente che la combinazione di segni corporei e il loro ordine di successione servono ad inviare messaggi più complessi. (…) Le restrizioni attuate su questa forma di linguaggio nelle situazioni di autorità tradizionale sono analoghe alla formalizzazione del discorso, ed anzi di norma la accompagnano. (…) Inoltre, analogamente a quanto si verifica nel linguaggio, tali restrizioni sono anch’esse presenti in modo più sistematico nei rituali religiosi. Anche i messaggi trasmessi dal linguaggio del corpo divengono ossificati, predittivi, e sono ripetuti da un’azione all’altra, invece di ricombinarsi come nelle situazioni quotidiane»167.
Tali riti hanno come caratteristica principale le interdizioni che riguardano spesso modi e
tempi di attuazione di determinati atteggiamenti, dunque, di gesti. Tanto è vero che, a
prescindere dalle differenti modalità, il rito, sia esso o meno un sacrificio, ha una propria
linea guida che deve essere rispettata, grazie alla quale gli atteggiamenti ad esso collegati
165 Durkheim É., Le forme elementari della vita religiosa, op. cit., p. 284.
166 Si pensi alle regole sociali che impongono un atteggiamento consono per ogni luogo: in chiesa, a scuola, etc.
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possono essere eseguiti non semplicemente nel modo giusto, ma anche nel tempo e
nell’ordine a loro consoni. «Quest’ordine è di fatto realizzato attraverso il compimento e la
collocazione di determinati gesti in maniera corretta e al momento appropriato»168. Il tema dei movimenti del corpo e dello strumento che quest’ultimo sembra essere, viene affrontato
anche da Marcel Mauss nel suo Le tecniche del corpo (1936). In quest’opera l’autore le
analizza partendo da quelle più basilari, come mangiare, bere, camminare servendosi di
scarpe, intendendo con il vocabolo “tecniche” tutto ciò che può essere fatto con il corpo,
perché esso stesso è uno strumento.
«Io chiamo tecnica un atto tradizionale ed efficace (e voi vedete che, sotto questo aspetto, esso non differisce dall’atto magico, religioso, simbolico). Occorre che sia tradizionale ed efficace. Non esiste tecnica né trasmissione, se non c’è tradizione. È in questo che l’uomo si distingue, prima di tutto, dagli animali: per la trasmissione delle sue tecniche e, molto probabilmente, per la loro trasmissione orale»169.
Il modo in cui il corpo viene usato, le abitudini con le quali esso è messo in relazione sono
riconducibili, anche se provenienti da diverse culture o società, tutte allo stesso comune
denominatore: la tradizione. Quest’ultima, come si evince dalle pagine dello studio di
Durkheim, è la risposta che danno gli indigeni quando gli viene chiesto il perché essi danno
vita a questi rituali e sembra essere, tra l’altro, una conferma di quanto la religione sia un
fatto sociale, poiché la tradizione è la massima autorità all’interno della società.
«”Quando” (…) “si chiede agli indigeni quale sia la ragione determinante di queste cerimonie, essi sono unanimi nel rispondere: è perché gli antenati hanno istituito le cose così. Ecco perché agiamo in questo modo, e non altrimenti”. Ma dire che il rito è
168 Ibidem, p. 228.
98 osservato perché deriva dagli antenati significa riconoscere che la sua autorità si confonde con l’autorità della tradizione, che è qualcosa di sociale al massimo grado. Lo si celebra per restare fedeli al passato, per conservare alla collettività la sua fisionomia morale, e non è per gli effetti fisici che esso può produrre. Così, il modo stesso in cui i fedeli lo spiegano lascia trasparire i motivi profondi da cui deriva»170.
Pertanto la tradizione è quell’insieme di credenze, che vengono ereditate dal singolo
individuo, che ne influenzano il modo di essere e l’educazione. Quest’ultima non concerne, però, semplicemente lo “stare con”, “stare in” una comunità, bensì anche l’educazione del
corpo, a maggior ragione per quanto riguarda l’ambito sacrale. «Il momento più importante
dell’educazione del corpo è, infatti, quello della iniziazione»171. Con l’iniziazione, effettivamente, l’individuo inizia con e attraverso il proprio corpo un cammino che lo
porterà ad essere parte integrante ed attiva della società. Pertanto è proprio quest’ultima ad
essere il fine ultimo di ciò e a dimostrare perché l’educazione, soprattutto quella del corpo e
dei suoi atteggiamenti, svolga un ruolo così fondamentale. Fabietti esplica tale importanza,
sulla scia di ciò che ha affermato Durkheim nella sua opera, così:
«Il gesto rituale è dunque qualcosa mediante il quale è possibile attribuire un posto nel mondo alle divinità e agli esseri umani. Ma i gesti possono anche fare "nuovi esseri umani", come sappiamo dalla lunga tradizione degli studi sui riti di passaggio. Il gesto di "creare nuovi esseri umani" fa parte di una onnipresente tendenza a sottolineare, ribadire, affermare la verità che l’individuo come tale non è nulla, ma che esiste solo perché parte di una comunità, di una società, di una confraternita, corporazione, setta, di una religione»172.
170 Durkheim É., Le forme, op. cit., p. 434. 171 Ibidem, p. 400.
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Il gesto, dunque, è ciò che rende manifesto, grazie alle regole ad esso collegate, l’ordine nel
quale il mondo viene suddiviso, da una determinata comunità, tra sfera umana e sfera
divina. Grazie al ruolo fondamentale che hanno le movenze all’interno dei riti, è possibile il
passaggio da una sfera all’altra e, di conseguenza, non soltanto l’intervento dell’individuo
nella società, ma anche, al contrario l’intervento della società stessa sulla coscienza del
singolo individuo. Tanto è vero che, Mauss scrive: «Non è grazie all’inconscio che si ha un
intervento della società, ma è grazie alla società che si ha un intervento della coscienza»173. Di conseguenza è la società ad avere un ruolo predominante sulla vita del singolo individuo
del quale regola tutti gli ambiti incluso quello del sacro. «Per comprendere un gesto
religioso dobbiamo quindi inserirlo in una più ampia configurazione di contesti pratici e di
significati»174. Ma in che senso una categoria che, a prima vista, sembra essere
principalmente, se non quasi, del tutto ideale, può essere ricollegata alla praticità e
all’ordine e può essere messa in relazione con altri contesti?
«Sul piano religioso “mettere ordine” significa accordare al soggetto la possibilità di avere un’idea del mondo che gli consenta di affrontare ciò che sfugge normalmente al suo potere di controllo. Questo vale per ogni cultura»175.
Dunque il sacro e i gesti ad esso collegati dovrebbero essere, o perlomeno lo sono per i
credenti, una via per gestire/giustificare e controllare tutto quello che è fuori dall’ordinario
e che sembra creare il caos. Ma cosa crea il caos nella mente dei fedeli, secondo gli schemi
di credenze ad essi associati? Per quanto differenti siano le religioni o le credenze prese in
esame tutte sono accomunate dall’idea che esista una gerarchia tra gli uomini e la divinità,
173 Mauss M., Le tecniche del corpo, op. cit., p. 409. 174 Fabietti U., op. cit., p. 227.
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che non va assolutamente destabilizzata o, peggio, ribaltata. Infatti, è a questo che servono i
riti, ossia un insieme inscindibile di parole e gesti, cioè a ristabilire l’ordine e a ricordare ad
ognuno quale sia il proprio posto nel mondo:
«Accompagnato da una preghiera che sottolineava i tre momenti dell’immolatio, il rito consisteva dunque di gesti e di parole, dove i primi stavano per le seconde e viceversa, ma senza che le parole potessero sopperire, da sole, all’assenza dei gesti: sacrificare, di fatto, non poteva essere sostituito dalla semplice intenzione di farlo. Secondo gli studiosi del mondo romano, la gran parte dei riti religiosi compiuti tra il III secolo a.C. e il II d.C., e specialmente i riti sacrificali, avevano il significato primario di stabilire una gerarchia tra gli esseri umani e una divinità»176.
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Capitolo IV
Esiste e resiste ancora il sacro nella modernità?
I. Il corpo in se stesso: moderna divinità da adorare?
Jean Baudrillard (1929-2007) sociologo e filosofo francese, attraverso un approccio critico,
analizzò nei suoi scritti la società a lui contemporanea partendo dal presupposto che tale
società fosse figlia non della logica della produzione177, ma del consumo.
«Il consumo è dunque solo apparentemente un settore anomico, perché esso pare, secondo la definizione di Durkheim, retto non da regole formali, ma abbandonato all’eccesso e alla contingenza individuale dei bisogni. Esso non è assolutamente, come lo si immagina di solito (…) un settore marginale di indeterminazione in cui l’individuo, altrove ovunque costretto da regole sociali, recupera infine, nella sfera «privata», lasciato a se stesso, un margine di libertà e gioco personale. Esso è una prassi attiva e collettiva, è un obbligo, una morale, un’istituzione. Esso è tutto un sistema di valori, con tutto ciò che questo termine comporta come funzione integrativa del gruppo e di controllo sociale»178.
Lo studioso sembra tracciare, nell’arco dello sviluppo del suo pensiero, uno spartiacque tra
le società basate sullo scambio simbolico e quelle che, invece, si basano sulla produzione e
conseguentemente sullo scambio di beni/prodotti. Pertanto, Baudrillard si può accostare, in
questo momento della sua riflessione179 con il filone francese che va dall’apologia del buon
selvaggio di Rousseau rispetto all’uomo moderno, passando per l’opposizione
all’individualismo che, nel pensiero di Durkheim, caratterizza la società moderna rispetto
alla solidarietà peculiare delle comunità antecedenti la modernità, fino all’importanza che
177 Baudrillard si riferisce qui al marxismo.
178 Baudrillard J., La società dei consumi, il Mulino, Bologna, 1976, p. 80.
179 Il pensiero di Baudrillard può essere scisso in due fasi: la prima è caratterizzata dall’idea del simbolico, mentre nella seconda quest’ultima viene sostituita da quella della seduzione.
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secondo Bataille riveste il consumo nelle società semplici. Le sue idee, le sue riflessioni a
tal proposito, non possono non aver risentito del clima degli anni in cui è nato e
cresciuto180. Secondo Baudrillard, l’uomo ha sempre cercato di trovare un senso ultimo al mondo e alle cose, poiché questo atteggiamento è insisto nella sua natura, anche se mondo
e cose un senso non ce l’hanno. Infatti, alla base di ciò che si percepisce con i propri sensi e
alla luce dei tentativi fallimentari che hanno fatto nel tempo ideologie e religioni non
sembra esserci niente al di là dell’apparenza delle cose. Questo dovrebbe bastare per evitare
continue ricerche in tal senso, ma a quanto pare ciò all’uomo risulta impossibile, poiché
l’umano, in generale, desidera un mondo che sia regolato dalla volontà, che sia “governato”, nel quale credere. «Desideriamo volere – è questo il segreto – come
desideriamo credere, come desideriamo potere, poiché l’idea di un mondo senza volontà,
senza fede e senza potere ci è insopportabile»181. Nella riflessione di Baudrillard è questo “slancio”, questa passione investita nella ricerca di tal senso della vita, che sembra darne
uno. Difatti, sorgente di tale atteggiamento sembra essere il desiderio innato in ognuno di
noi della sottomissione delle cose, del governo del mondo, che non ci renda dei soggetti
passivi. Riflettendo sulla società non si può fare a meno di analizzare tutti gli ambiti della
stessa compreso il sacro che, influenzato da quest’ultima, sembra non potere fare a meno di
trasformarsi, di cambiare i propri valori e l’ideologia che ne sta alla base o ne è il fine. È
possibile trovare una prova di ciò nel processo di conversione che ha subito l’idea di corpo.
Quest’ultimo, al contrario di come, generalmente, fu negli anni addietro e nelle religioni “primitive”, è stato innalzato a nuovo oggetto da curare/adorare in quanto tale e non come
mezzo per mettersi in comunicazione con il divino, per mantenere le relazioni con esso o
180 Si pensi a tal proposito alla crisi del ’29 e al boom degli anni ’60.
181 Baudrillard J., Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996.
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per essere una sua manifestazione182. È proprio Baudrillard nel suo La società dei consumi
a dare il quadro di questa situazione:
«Nella panoplia del consumo vi è un oggetto più bello, più prezioso, più splendente di tutti – ancora più ricco di connotazioni dell’automobile – che tuttavia li riassume tutti:
il corpo. La sua riscoperta, dopo una millenaria era di puritanesimo, sotto il segno della
liberazione fisica e sessuale, la sua onnipresenza (…) nella pubblicità, nella moda, nella cultura di massa – il culto igienico, dietetico, terapeutico di cui lo si circonda, l’ossessione della giovinezza, dell’eleganza, della virilità/femminilità, le cure, le diete, le pratiche sacrificali che vi si ricollegano, il «mito del piacere» che lo avvolge – tutto oggi testimonia che il corpo è diventato oggetto di salvezza. Esso si è letteralmente sostituito all’anima in questa funzione morale ed ideologica»183.
Dunque il corpo, dopo aver incarnato per secoli, soprattutto durante il medioevo, la
materialità impura da opporre alla spiritualità pura, dopo aver subito un’incessante
mortificazione, riemerge da questa dimensione per essere innalzato esso stesso a nuovo dio.
La “divinizzazione” e la “sacralizzazione” del corpo hanno avuto inizio già nel XVIII
secolo, quando le correnti di pensiero empiriste e materialiste hanno cominciato a mettere
in discussione/in dubbio l’ortodossia tradizionale che, naturalmente, tendeva ad assumere
come base e fondamento ultimo lo spirito e tutto ciò che lo riguardava. Infatti, tale era il
trattamento riservato all’anima e allo spirito prima dell’avvento del processo di
trasformazione della società, ma nel momento in cui quest’ideologia cominciò a vacillare
venne sostituita con quella di corpo. Influenzando modi ed atteggiamenti, usi e costumi
della società in questione.
182 Quest’ultimo aspetto in particolare è stato già preso in esame nel capitolo precedente di questa trattazione. 183 Baudrillard J., La società dei consumi, op. cit., p. 149.
104 «Questa lunga desacralizzazione e secolarizzazione a favore del corpo ha attraversato tutta l’era occidentale: i valori del corpo furono i valori sovversivi, sede della più acuta contraddizione ideologica. (…) Il corpo (…) ha semplicemente interpretato il mutamento del nostro tempo come istanza mistica, come dogma e come schema di salvezza. La sua scoperta fu per lungo tempo una critica del sacro, verso una maggiore libertà, verità ed emancipazione, in breve una lotta per l’uomo contro Dio, si attua al giorno d’oggi sotto il segno della risacralizzazione. Il culto del corpo non è più in contraddizione con quello dell’anima: semplicemente gli succede ereditando così la sua funzione ideologica»184.
Le influenze che il corpo esercita sulle masse, attraverso i cambiamenti che suscita sulle
ideologie appartenenti ad una determinata comunità e di conseguenza sulle menti di ogni
singolo individuo, non possono essere le stesse in ogni società. Anche se a prima vista
sembrerebbe di sì, poiché, sembrerebbe che il corpo sia, semplicemente, ciò che è visibile a
tutti e nulla di più, ma questo non è del tutto vero. Secondo il filosofo francese, infatti, il
corpo, o meglio, la considerazione che abbiamo dello stesso differisce da ogni comunità,
poiché concerne la cultura. Tale aspetto è già stato sottolineato nel corso di questa
trattazione185 ed è ribadito, in particolar modo, anche da Marcel Mauss186 che nel suo Le
tecniche del corpo mette in risalto l’importanza dell’educazione del corpo e della
tradizione, per quanto concerne i rituali. Con il termine “cultura” ci si riferisce a
quell’insieme di nozioni, di attitudini che vanno dal modo di approcciarsi alle cose alle
relazioni con l’altro; è a ciò che si rifà Baudrillard quando sottolinea il rapporto che
intercorre tra il corpo e la società con la quale è messo in relazione.
184 Ibidem, pp. 157-158.
185 Più in generale, nel corso della trattazione, è stato messo in risalto il ruolo e l’influenza della cultura nei confronti di ogni singolo individuo facente parte della comunità, di volta in volta, presa in considerazione. 186 Tale aspetto della riflessione di Marcel Mauss è stato trattato all’interno del paragrafo Antropologia dei gesti di questo testo.
105 «Una propaganda incessante ci ricorda, secondo i termini del cantico, che non abbiamo che un corpo e che occorre salvarlo. (…) Il corpo non è l’evidenza stessa? Sembra di no: lo statuto del corpo è un fatto di cultura. Ora, in qualunque cultura, il modo di organizzazione della relazione col corpo riflette il modo di organizzazione della relazione con le cose e quello delle relazioni sociali»187.
Pertanto, rispetto a quanto detto in precedenza, nel pensiero dell’autore, in una società
consumistica le dinamiche che metteranno in relazione il singolo individuo con il proprio
corpo, non potranno che essere collegate allo schema di credenza consumistico/capitalista,
il quale farà in modo che esso sia percepito, usato sia come un capitale da investire, sia
come un oggetto di consumo vero e proprio.
«Quel che vogliamo mostrare è che le strutture attuali della produzione/consumo inducono presso il soggetto una duplice pratica, legata a una rappresentazione discontinua (ma profondamente solidale) del proprio corpo; quella del corpo come
capitale, quella del corpo come feticcio (o oggetto di consumo). Nei due casi quel che
importa è che il corpo, lungi dall’essere negato o omesso, sia deliberatamente investito (nei due sensi: economico e fisico del termine)»188.
Dunque, sarebbero le leggi del consumo a dirigere, ad influenzare, a guidare il modo che si
ha di porsi rispetto a se stessi. Ma quali sono le caratteristiche esatte di queste leggi, di
queste linee guida? In che modo il corpo può essere dualisticamente capitale e merce
riuscendo ad essere, contemporaneamente, guida “spirituale” e “morale”? Il principio sul
quale si basa tale tipo di società sembra basato, meramente, sul piacere e sul godimento e