Se per quanto concerne gli oggetti materiali le società sembrano essere, più o meno, tutte
influenzate dal loro potere, diversa sembra essere la situazione per quanto riguarda le
immagini, infatti:
«Vi sono religioni, o correnti di una stessa religione, che sembrano più "turbate" di altre dalle immagini, e che, di conseguenza, ne condannano la produzione e il possesso. Questo atteggiamento può essere considerato iconofobico e spesso iconoclastico ma, come è stato ormai appurato da tempo, non come segno di un aniconismo radicale, di una assenza totale di immagini. Non esistono, infatti, religioni e più in generale culture aniconiche, le quali possano cioè fare totalmente a meno di immagini»112.
Proprio la riflessione sulle immagini portò alla formazione di diversi schieramenti
all’interno del Cristianesimo tra l’VIII e il IX secolo d. C. Infatti, nell’impero bizantino, o
meglio, nelle zone di quest’ultimo più influenzate dal pensiero giudaico e da quello
islamico, vide la luce la lotta contro l’abitudine di raffigurare i santi, la Vergine Maria e
Cristo stesso. Di fatto, i cristiani abitanti di queste terre ritenevano tale atteggiamento un
peccato, nello specifico, ritenevano che questo fosse da considerarsi peccato di idolatria. Le
loro richieste furono accolte quando Leone III l’Isaurico salì al trono. Difatti, egli emanò un
decreto grazie al quale il culto delle icone fu proibito e ordinò la distruzione di tutto ciò che
raffigurasse scene o individui sacri, anche se fossero stati affreschi o mosaici. Le cose
cambiarono quando salì al trono un imperatore favorevole al culto delle immagini. Nel 787,
tra l’altro, il II Concilio di Nicea (settimo per quanto riguarda gli ecumenici) condannò
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l’iconoclasmo come eresia, definitivamente, affermando, però, che era lecita la venerazione
dell’immagine, ma non lo era l’adorazione, poiché quest’ultima doveva essere esclusiva di
Dio, mentre fu sottolineato che la venerazione dell’immagine riguardava ciò che essa
rappresentava e non l’oggetto rappresentante in sé. Questo atteggiamento è stato notato
anche da Durkheim nel suo studio sulla religione totemica, nelle sue pagine, infatti, egli
non può fare a meno di notare come la presenza o meno di determinate immagini sia
importante e permetta il passaggio da semplici oggetti in legno a oggetti sacri. Queste
ultime, naturalmente, debbono, però, ritrarre i “contrassegni totemici”: è, invero, l’incisione
di questi ultimi, che viene “santificata” ed adorata durante i rituali. È dall’immagine,
dunque, che deriva la forza che permette la sacralizzazione degli oggetti, delle cose, degli
uomini.
«Ora, di per sé, i churinga sono oggetti di legno e pietra come tanti altri; si distinguono dalle cose profane dello stesso genere solo per un particolare: su di essi è impresso o disegnato il contrassegno totemico. È dunque questo contrassegno e questo soltanto che conferisce loro il carattere sacro. (…) La sua natura religiosa gli viene dunque da un’altra fonte, e da quale potrebbe venirgli se non dall’impronta totemica che porta? Così, è a questa immagine che si indirizzano, in realtà, le dimostrazioni del rito; è essa che santifica l’oggetto su cui è incisa»113.
La rappresentazione di cose o individui ritenuti sacri, se per un verso può essere accostata
alle incisioni sui churinga, dall’altro non ha lo stesso significato nelle società più avanzate
rispetto a quello che si trova nelle popolazioni primitive, poiché le rappresentazioni sono
connesse indissolubilmente alla società con la quale sono messe in relazione. Per le
popolazioni indigene, per esempio, tali cose o figure hanno e meritano la stessa
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considerazione riservata alla divinità, poiché vengono considerate alla stessa stregua, infatti
essi non rappresentano semplicemente l’immagine della divinità, ma sono considerate, esse
stesse, tali. «Per queste ultime l’idea di rappresentazione era, potremmo dire, sopravanzata
da quella di presentazione. Nel loro caso le huaca non “stavano per”, ma erano: un
antenato, una divinità, un eroe o qualche sacra narrazione»114. Per quanto riguarda le religioni totemiche, per esempio, esse svolgono un ruolo basilare, poiché è in particolar
modo su queste che si erigono tutti i riti e le credenze ad esse collegati. Durkheim ne Le
forme elementari della vita religiosa sottolinea che l’uso che se ne fa durante le cerimonie
rituali e nei momenti importanti che riguardano la vita dell’intero clan ne è una
dimostrazione:
«(…) le virtù dei churinga non si manifestano solo nel modo in cui tiene il profano a distanza. Se è così isolato, è perché si tratta di una cosa di grande valore religioso e la cui perdita danneggerebbe gravemente la collettività e gli individui. (...) conferisce importanti poteri sulla specie totemica di cui assicura la normale riproduzione; dà agli uomini forza, coraggio, perseveranza, mentre deprime e indebolisce i loro nemici»115.
I churinga, pertanto, non sono semplici icone da ammirare, non bisogna emulare il modello
che è in loro rappresentato (atteggiamento confacente molto di più alla raffigurazione dei
martiri, nelle religioni ove presenti), ma rispettare e adorare il totem di cui esse sono la
personificazione. Per quanto riguarda, invece, le immagini in contesti, come quelli magici,
che per alcuni aspetti possono essere accostati alla religione, Marcel Mauss afferma,
insieme ad Henri Hubert, che nella magia la credenza nasce dal senso comune. Essa
proviene dall’intera comunità e non da un singolo individuo: è infatti la convenzionalità, se
114 Fabietti U., op. cit., p. 171. 115 Durkheim É., op. cit., p. 173.
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pur non esplicita, che permette di paragonare le raffigurazioni di qualcosa alla cosa in sé, di
conseguenza è l’usanza che radica una determinata abitudine, la quale diviene con il tempo
una tradizione116. Esistono, però, anche religioni, o piccoli gruppi all’interno della stessa, che non accettano la rappresentazione del loro dio ed altre che, al contrario, pur
accettandole e venerandole come sacre, proprio perché tali, come tutti gli oggetti di tal
genere, non possono sottrarsi da formulare regolamentazioni e interdetti, che sono propri di
questa categoria di cose. L’immagine detiene un ruolo fondamentale, sia essa interdetta o
meno alla comunità della quale si sta trattando. Innanzitutto, però, bisogna capire quale sia
il potere delle immagini sacre e cosa esse, fondamentalmente, rappresentino.Diversi, tra
l’altro, sono i tipi di rappresentazione religiosa, alcuni sono pubblici altri, invece, privati,
per entrambi, però, esistono dei codici comportamentali emanati o dalle autorità
competenti, se si tratta di un culto separato dall’ordine sociale stabilito, o dalle stesse
autorità politiche nel caso entrambi i poteri coincidano. In ogni caso, però, il singolo non è
completamente libero di seguire un proprio modo di venerazione dell’immagine o degli
oggetti in relazione al culto a cui appartiene, poiché deve sempre sottostare ai dogmi che
definiscono tale culto. Pur potendo non rispettare le regole dai dogmi imposti, l’individuo
non può sottrarsi alle conseguenze che deriveranno dal sacrilegio.
116 É possibile trovare questa idea anche nel saggio di M. Mauss Le tecniche del corpo, nel quale vengono analizzati i diversi modi di usarlo e viene sottolineato come le differenze vadano ricondotte alle tradizioni e alle culture di ogni società di cui si sta trattando. Quest’opera sarà approfondita nel paragrafo “Antropologia dei gesti” di questo testo.
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