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Volenti o nolenti si deve ammettere che la pubblicità è, ormai, parte integrante delle nostre

vite, ovunque andiamo, qualsiasi cosa vediamo la pubblicità è presente e anche coloro i

quali si professano o si dimostrano immuni agli avvisi promozionali, non possono esserlo

del tutto:

«Chi rifiuta il potere di condizionamento della pubblicità (o più in generale dei mass

media) non ha capito la logica specifica della sua efficacia. Logica non più

dell’enunciato e della conferma, ma della favola e dell’adesione. Non ci si crede, eppure interessa. La “dimostrazione” del prodotto non persuade nessuno fino in fondo: serve solo a razionalizzare l’acquisto, che in ogni caso precede e supera i motivi razionali. Tuttavia, senza “credere” al prodotto, si crede alla pubblicità che vuole far

credere nel prodotto»233.

Difatti, nella mentalità comune si tende ad associare ad una precisa marca non solo una

precisa fantasia di mercato, ma anche l’idea di una migliore qualità. Prima degli anni ‘60 si

acquistava un oggetto con la garanzia che fosse frutto del lavoro di un unico o pochi

artigiani, pertanto, esso era considerato di maggior valore rispetto all’articolo che nasce,

oggigiorno, dalla produzione in serie. «La pubblicità realizza questo prodigio di un

considerevole bilancio consumato per il solo scopo non di incrementare bensì di diminuire

il valore d’uso degli oggetti, di diminuire il loro valore/tempo assoggettandolo al loro

valore/moda e al rinnovamento accelerato»234. La produzione in serie ha, invero, fatto sì

che gli oggetti venissero percepiti come uguali l’uno all’altro, così che al consumatore

risulti quasi impossibile trovare delle differenze, ed è per questo che la spinta verso la

stimolazione di desideri, passioni etc. comincia ad essere utilizzata dal venditore:

233 Baudrillard J., Il sistema degli oggetti, op. cit., p. 212. 234 Baudrillard J., La società dei consumi, op. cit., p. 33.

126 «Il vero condizionamento a cui siamo sottoposti dal dispositivo erotico pubblicitario, non è la persuasione «abissale», la suggestione inconscia, è al contrario la censura del senso profondo, della funzione simbolica, dell’espressione fantasmatica in una sintassi articolata, in breve dell’emanazione viva dei significati sessuali»235.

Nell’ottica di Baudrillard la pubblicità è lo strumento più potente del nostro tempo. Infatti,

essa ha come scopo, nel particolare, quello di elogiare/adorare un determinato oggetto agli

occhi dell’acquirente, anche se, ad un’analisi più approfondita ci si rende conto che essa, in

realtà, ha come oggetto e come destinatario (virtuali) gli oggetti e gli uomini in generale.

«In questo senso la pubblicità è forse il mass-medium più notevole della nostra epoca. Mentre parla di un oggetto li glorifica tutti, almeno virtualmente; mentre parla di quell’oggetto o di quella marca parla in effetti della totalità degli oggetti e di un universo totalizzato mediante gli oggetti e le marche; mentre guarda a un consumatore mira in realtà a tutti gli altri e viceversa, simulando così una totalità consumatrice»236.

Tutto questo è possibile, perché i consumatori accettano, se pur inconsciamente, di

partecipare all’illusione pubblicitaria e di dare questo grande potere a questo preciso

macchinario. Il quale, secondo Baudrillard, manca di morale237 o comunque è difficile

trovargliene una ed è proprio questa sua caratteristica precipua ad alimentare la sua

grandezza. In che senso e perché? Cos’ha di catartico e di “liberatorio” il messaggio

pubblicitario? La risposta potrebbe celarsi proprio nelle sue caratteristiche precipue, che

fanno in modo che, davanti ad un messaggio di tal genere, non venga chiesto nulla in

cambio, o almeno così sembra, donando, semplicemente, una parvenza di godimento scevro

da giudizi. Tanto è vero che Baudrillard crede, che se la pubblicità dovesse non esserci più,

235 Baudrillard J., La società dei consumi, op. cit. p. 174. 236 Ibidem, p. 140.

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non si avrebbe nessuna perdita dal punto di vista informativo, poiché, per lui, essa non è

nient’altro che vuoto, per quanto riguarda il contenuto, ma non nel caso della forma. La

quale è, prettamente, quella della seduzione che affascina e deresponsabilizza lo spettatore

dall’immaginare, dall’immaginario. Bisogna tenere a mente che grazie alla pubblicità,

quest’ultimo non rischierà mai di esaurirsi. Difatti la pubblicità invoglia a comprare un

determinato articolo perché, inconsciamente, siamo attratti dalle situazioni che abbiamo

visto associate ad esso. «La pubblicità è una parola profetica nella misura in cui essa non

invita a comprendere o ad apprendere, ma a sperare»238. Le famiglie felici, i fidanzati

innamorati, coppie che si rilassano su spiagge lontane, sono tutti archetipi utilizzati per

indurre l’acquirente a desiderare un certo oggetto perché si spera di poter ottenere quanto è

stato promosso e promesso. Questa influenza si ha, non solo, grazie alle campagne

pubblicitarie televisive, ma anche tramite i cartelloni pubblicitari in strada, ossia con

l’ausilio di tutti quei mezzi che permettono di raggiungere il cliente:

«Come compito la pubblicità si attribuisce quello di informare sulle caratteristiche di un qualunque prodotto e di promuovere le vendite. La suddetta funzione “oggettiva” in linea di principio sarebbe la sua funzione primordiale. Dall’informazione la pubblicità è passata alla persuasione, poi alla “persuasione occulta”, nell’ultimo caso con una chiara tendenza a dirigere il consumo»239.

Sembrerebbe giusto chiedersi, a questo punto, cosa esattamente sponsorizzi la pubblicità.

Sembrerebbe che, al pari della festa, essa riesca a mostrare se stessa e a far credere al

singolo consumatore che un determinato oggetto è desiderato da tutti trasformandolo, di

conseguenza, in qualcosa di desiderabile al massimo grado: «La pubblicità (…) fa

238 Ibidem, p. 144.

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dell’oggetto un avvenimento. Infatti lo costruisce come tale sulla base dell’eliminazione

delle sue caratteristiche oggettive. Lo costruisce come modello, come fatto di cronaca

spettacolare»240. La pubblicità, quindi, sembra essere uno degli strumenti, se non addirittura

il più importante, di quella “religione” che è il consumismo. Infatti, come si è avuto modo

di vedere, di tale processo fa parte anche una specie di sacrificio il quale, grazie alla

pubblicità, sembra restituire, in qualche modo, ciò che si è perduto, il mezzo pubblicitario

si offre come un dono, come lo scopo al quale tende la relazione di fiducia instaurata tra

venditore e consumatore:

«Attraverso la pubblicità che è già in sé un servizio sociale, tutti i prodotti si offrono come servizi, tutti i reali processi economici sono messi in scena e reinterpretati socialmente come risultati di un dono, di una fedeltà personale e di una relazione affettiva. (…) L’astuzia della pubblicità è propriamente quella di sostituire ovunque la

magia del «Cargo» (la totale e miracolosa abbondanza sognata dagli indigeni) alla logica del mercato»241.

240 Baudrillard J., La società dei consumi, op. cit., p. 142. 241 Ibidem, p. 199.

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Conclusione

I quesiti ai quali si è cercato di rispondere sono quelli già messi in risalto nell’Introduzione,

ossia: “Il sacro è un fatto sociale e non può essere altrimenti?” e ancora: “Esiste e resiste

ancora il sacro nella modernità?”. Per quanto concerne il primo, sembrerebbe, alla luce di

ciò che è venuto fuori da questa trattazione, che non ci sia una risposta oggettiva ed

unanime, o meglio, il sacro è sì un fatto sociale, ma non sembrerebbe, per alcuni autori, che

lo sia in modo esclusivo. È anche vero, però, come è stato più volte sottolineato, che la

cultura e la società entro la quale siamo nati influenza la nostra idea del mondo e regola la

nostra esistenza. Quindi, gli intellettuali, come Rudolf Otto, ad esempio, che hanno avuto

un’educazione prettamente religiosa e l’hanno abbracciata in toto, non possono che dare

spazio più ad una concezione trascendente ed incommensurabile del sacro, rispetto ad una

concezione sociologica. Quest’ultima, invece, è quella di Émile Durkheim, anche se nato in

una famiglia ebrea. Sulla scia del pensiero del sociologo francese è sorta, con le dovute

differenze, l’ideologia che ha permeato gli scritti e le riflessioni dei filosofi del Collège de

Sociologie e che ha, non di meno, influenzato, la riflessione di Marcel Mauss e di Henri

Hubert sui contesti sociali, religiosi e magici. Dunque, per quanto riguarda questo primo

quesito, si può propendere più per un’interpretazione, piuttosto che per un’altra ma ciò

dipende sempre da quale sia il bagaglio personale che ognuno di noi si porta dietro e dal

tipo di società alla quale si appartiene. Pertanto, il sacro avendo, come è stato più volte

messo in luce nel corso di questa trattazione, come peculiarità un’ambiguità di base, non

permette il raggiungimento di una risposta unanime e definitiva al quesito che ci si è posti.

La risposta alla seconda domanda, invece, sembrerebbe essere più chiara e netta. Infatti,

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elementari della vita religiosa”, seguendo la scia del pensiero, in particolare di Roger

Caillois su come il sacro, anche se in modo differente, continui ad essere presente in ogni

ambito della società, non si può che essere d’accordo sulle somiglianze che si riescono a

trovare tra i “riti del consumo” della società moderna e della nuova religione che, sembra

appartenerle e quelli delle società semplici o anche pre-consumistiche da tali autori prese in

esame. Analogie tra i rituali del consumismo e del consumo e le categorie del sacro, in

particolar modo, di quelle utilizzate dalla religione, che sono state messe in risalto in modo

eminente da Jean Baudrillard, com’è emerso nell’ultimo capitolo a lui dedicato. In ogni

caso, che siamo o meno d’accordo con ciò che è stato precedentemente esposto,

ricollegandoci con ciò che è stato detto all’inizio dell’Introduzione di questo testo e

qualunque sia il nostro credo, sempre che se ne abbia uno, non si può che concludere

questo lavoro con una citazione di Simone Weil:

«C’è nell’intimo di ogni essere umano, dalla prima infanzia sino alla tomba e nonostante l’esperienza dei crimini commessi, sofferti e osservati, qualcosa che ci si aspetta invincibilmente che gli faccia del bene e non del male, è questo prima di tutto, che è sacro in ogni essere umano. Il bene è l’unica fonte del sacro»242.

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Ringraziamenti

Vorrei ringraziare il Professor Paoletti per la pazienza con la quale ha seguito la stesura di questo mio lavoro, per quello che mi ha insegnato, per la passione che ha per la sua professione.

Grazie a mia madre per avermi insegnato ad amare, tollerare ed accogliere ogni persona che si incontra nella propria esistenza. Grazie a mio padre per aver dimostrato che, se si ama abbastanza la vita, si sconfigge anche la morte.

Grazie ai miei fratelli, Giovanni e Gabriele. Grazie al primo perché, nonostante gli anni di differenza che ci separano è sempre stato presenza costante e mai indiscreta. Grazie al secondo perché, conseguenza della poca differenza d’età che intercorre tra di noi, l’ho sempre visto e vissuto più come un gemello, un amico, che un fratello minore. Entrambi siete la mia ancora di salvezza e lo sarete sempre.

Grazie a mia nonna Elena sempre presente nella mia vita, dalla mia nascita fino ai giorni più importanti. Grazie perché mi hai insegnato che non bisogna perdere mai la voglia di imparare cose nuove, che non bisogna arrendersi mai, che è possibile amare più di se stessi qualcuno, come tu hai fatto con il nonno e con noi. Grazie per averci sostenuto sempre, per non aver mai perso la speranza, per averci consigliato, per quando, pur non comprendendo le nostre scelte e pur soffrendone, hai continuato a sostenerci, grazie per avermi sostenuto economicamente ed amorevolmente, grazie per le tue chiamate chilometriche a distanza e per i tuoi pianti di gioia ai nostri ritorni.

Grazie ai miei zii Carmelo e Gisella, a mia nonna Lilla, a mia zia Colomba.

Grazie a Roberta, perché siamo cresciute insieme, perché ci siamo aiutate, amate, perché non abbiamo mai provato a cambiarci, grazie perché siamo due alberi con le stesse radici, che hanno fatto sì potessimo innalzare i nostri rami fino al confine dei nostri obiettivi.

Grazie a Marica e Rossana, per tutti i ricordi che abbiamo condiviso, sia in Italia, che all’estero, per essere state la mia famiglia, ovunque fossimo e qualunque cosa stessimo facendo. Grazie alla prima per i momenti condivisi in Erasmus come per quelli tra le strade

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arabe della Palermo che tanto ama e che ha fatto in modo amassi anche io, la ringrazio anche, per aver dimostrato che nessun male può distruggerti completamente se hai la forza interiore che la contraddistingue. Rimani sempre l’esempio che tengo in mente (e nel cuore) quando ho bisogno di trovare la forza per qualunque cosa mi sembri impossibile o troppo grande per le mie aspettative, hai dimostrato con la tua vita e con la tua intelligenza che “anche dal letame nascono i fior”, fiori come il tuo “Progetto Agata”. Grazie a Rossana per essere stata il mio rifugio, il mio appoggio, grazie per aver fatto in modo che vedessi cose di me, che neanche io riuscivo a vedere, spero tu, un giorno, possa vederti come ti vedo io, una donna in gamba e di cultura.

Grazie a Melania, per come riesce a sorridere sempre e a portare allegria ovunque vada.

Grazie a Consuelo e Luana, per le risate, per le serate, per le chiacchiere in macchina fino all’alba, per il bene che ci vogliamo. Grazie alla prima per esserci, a modo suo, sempre e alla seconda, per aver dimostrato come una nuova vita non possa, semplicemente, venire al mondo ma donare nuova forza, nuova linfa anche alla sua mamma.

Grazie a Giulia e Francesca, “le romane” che più mi stanno a cuore, che più mi stanno nel cuore, grazie perché un incontro casuale in una città fredda dell’est-Europa ha fatto sì che diventaste uno dei pilastri fondamentali della mia vita.

Grazie ad Ania e alla mia famiglia polacca, che non mi fa mai mancare l’affetto, nemmeno a distanza, grazie per i momenti belli che abbiamo condiviso e per le lezioni di polacco in polacco. Rivederla e risentirla è sempre un piacere, è sempre come trovare una parte di se stessi.

Grazie a Cristina, diventata punto di riferimento e bussola d’orientamento quando a Pisa non sapevo da dove cominciare, grazie perché, con te, è come se ci conoscessimo da sempre, grazie per la splendida persona che sei.

Grazie a Fernanda, Saverio e all’insostituibile e soprattutto fondamentale supporto di Sigismondo II. Ai primi due dico grazie per tutte le volte che, sentendomi un po’ loro figlia, ho condiviso pranzi passando la maggior parte della giornata in casa loro senza sentirmi un ospite, grazie alla prima per il rapporto che è nato, per quello di buono che, spero, anche lei abbia trovato in me, come io in lei.

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Grazie a Greta e Lucrezia, per il "disagio" che abbiamo vissuto tra le mura della Facoltà di Filosofia, tra quelle della Biblioteca e del Nettuno, perché i nostri deliri filosofici sembravano sempre meno dei deliri, se condivisi con voi.

Grazie a Claudia, prima collega con la quale ho stretto amicizia qui a Pisa, con la quale ho condiviso i mesi che hanno portato, prima lei e poi me, a questo traguardo, la ringrazio per aver sempre sciolto i miei dubbi, per aver disteso le mie ansie prima di ogni ricevimento, per aver controllato le mail che il Professore mandava ad entrambe e che io, puntualmente, dimenticavo di controllare.

Grazie a Domizio, per il suo modo differente di vedere il mondo e di affrontarlo e per i video di magia visti tra una lezione e l’altra.

Grazie a Miriana e Iosé, piccoli pezzi di Sicilia, di casa in questa nuova città che, adesso, sento un po’ più mia.

Grazie a Pascale e Massimo, perché la loro non è soltanto una copisteria a gestione familiare, bensì una famiglia ed un punto di riferimento per tutti gli studenti universitari, non soltanto per me.

Grazie a Matteo, per il modo in cui ogni giorno riesce a farmi trovare un motivo per essere una persona migliore, per come siamo cresciuti insieme in questi anni e per come, spero, continueremo a fare per il tempo a venire, per come mi è stato accanto e per come mi ha spronata in ogni momento del mio percorso, universitario e non. Per la splendida persona che è e per quella che mi fa essere da quando ho avuto la fortuna di averlo incontrato, per l’amore che ci unisce e con il quale abbiamo infuso tutto ciò che abbiamo costruito giorno per giorno durante il nostro cammino insieme. La mia vita senza di te, di sicuro, non sarebbe la stessa.

Sto, certamente, dimenticando qualcuno e me ne scuso profondamente, ma sappiate che se state leggendo queste pagine, indubbiamente, per me, siete stati importanti e qualunque cosa abbiate fatto o per il semplice fatto di esserci stati in qualche modo, vi ringrazio.