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Sull’origine dell’istituzione del sacrificio diverse furono le teorie che vennero elaborate a

partire dalla metà del XIX secolo. Alcune di queste affermavano che tali atteggiamenti

rituali implicavano obbligatoriamente un’idea di divinità antropomorfa dalla quale

conseguiva l’atteggiamento di deferenza e la voglia, da parte dei credenti, di ingraziarsi la

divinità come si fa con gli uomini potenti138. Un’altra, formatasi, invece, con l’inizio delle teorie preanimiste139, credeva ci fosse stato un tempo nel quale l’uomo non concepiva né dio né dei sotto una forma antropomorfa, bensì solo come energie impersonali da

ingraziarsi o da distruggere attraverso il ricorso alla magia. Pertanto, supponeva la non

obbligatorietà dell’elemento antropomorfo nell’idea della divinità verso la quale il rito era

orientato, arrivando a credere che lo scopo del sacrificio non fosse la ricompensa ricevuta

grazie al dono offerto, bensì un’azione di tipo magico che influisse sulle forze impersonali, che sembrano stare “al di sopra” del mondo terrestre. Nello stesso periodo vide la luce

un’altra spiegazione del sacrificio, che venne poi accolta anche da Durkheim, per la quale

la fonte del sacrificio si potrebbe scorgere nell’unità che deriva dal totem. Secondo questa

idea lo scopo finale del rituale in questione non starebbe nel rafforzare la divinità, bensì,

nell’accogliere dentro di sé, attraverso l’ingestione, per esempio, l’essenza divina. In Le

forme elementari della vita religiosa Durkheim afferma che il sacrificio, secondo quanto

egli stesso aveva appurato con lo studio delle tradizioni e della vita degli aborigeni

australiani e sulla scia del pensiero di William Robertson Smith140, è la base strutturale

138 Questa era l’idea di Edward Burnett Tylor.

139 Sostantivo con il quale alcuni seguaci delle teorie evoluzioniste indicavano il periodo nel quale la cultura era anteriore all’idea di anima e conseguentemente di religione.

140 Antropologo scozzese (1846-1894) mise strettamente in relazione il sacrificio ed il totemismo, affermando che durante il rituale sacrificale veniva rafforzata la relazione tra la comunità ed il suo totem, al quale, in altre circostanze era vietato persino avvicinarsi.

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della ricreazione/rigenerazione continua della coesione sociale. Infatti, grazie al rituale del

sacrificio la percezione del sacro si genera all’interno di ogni individuo e grazie alla

ripetizione di questo rituale si alimenta. Tanto è vero che all’interno dei rituali e dei culti è

possibile trovare le fondamenta del sacrificio stesso:

«L’interesse del sistema dei riti che abbiamo descritto consiste nel fatto che vi si trovano, nella forma più elementare attualmente conosciuta, tutti i principi essenziali di una grande istituzione religiosa destinata a diventare uno dei fondamenti del culto positivo nelle religioni superiori: l’istituzione del sacrificio»141.

Anche secondo Marcel Mauss e Henri Hubert la finalità del sacrificio sarebbe quella di

mutare il clan, la comunità o il singolo che lo attua grazie al ruolo da tramite che ha la

vittima. Nel già citato Saggio sul sacrificio, Mauss e Hubert analizzarono tale fenomeno

partendo dallo studio delle testimonianze sui sacrifici che è possibile ritrovare nei testi

biblici e vedici. Il loro punto di partenza fu contrario alla mentalità evoluzionista del tempo

su questo argomento. Difatti, per quest’ultima si poteva ricostruire una vera e propria storia

del rito in questione, dalle prime forme fino alle sue più alte evoluzioni. I due studiosi,

però, affermarono che ciò era impossibile poiché l’offerta, il dono ad una divinità

sovraumana presupponeva la consapevolezza, da parte di coloro i quali praticavano il

sacrificio, della differenza che intercorre tra sacro e profano e quindi decisero di provare a

trovare uno schema che fosse uguale per ogni tipo di sacrificio.

«Esiste una continuità fra le forme di sacrificio. Sono contemporaneamente troppo diverse e troppo simili perché sia possibile dividerle in categorie ben precise. Esse hanno tutte un medesimo nocciolo; è questo che crea la loro unità e esse sono gli

82 involucri di un medesimo meccanismo che ora ci proponiamo di smontare e descrivere»142.

Tale rito è, precisamente, composto dalla sua capacità di connettere la sfera sacra con

quella profana, attraverso la mediazione della vittima e, nell’ottica dei due autori, ha una

funzione, prevalentemente, sociale. «Le cose sacre, in riferimento alle quali funziona il

sacrificio, son cose sociali e questo basta per spiegare il sacrificio»143. In alcune religioni, per esempio la vedica, si crede che sia stata l’istituzione del sacrificio a portare alla

creazione del mondo; di conseguenza, in questo determinato caso, la divinità è impersonata

dallo strumento, quindi, dall’oggetto, che è servito, secondo le loro credenze, alla

formazione del cosmo, un esempio ne è il fuoco. A tale riguardo, come si è già avuto modo

di appurare, anche le cose, soprattutto le mura (si pensi al pomerio romano), le chiese, i

santuari, le tombe, ossia tutto ciò che è inviolabile perché così ha deciso una legge

religiosa, morale o statale, che ha potuto prendere piede perché conforme all’ideologia

peculiare alla società presa in considerazione, facendo sì che tale atteggiamento fosse

ritenuto giusto, hanno un ruolo particolare e rilevante, insieme anche al tempo, sia nel sacro

in generale, sia nello specifico nei sacrifici. Come Durkheim e Caillois, anche Mauss e

Hubert danno risalto alle interdizioni che riguardano le categorie spazio/tempo. «Il

sacrificio non può essere tenuto né in un luogo qualsiasi né in qualsiasi tempo»144. Secondo Mauss e Hubert le cose sacre hanno un’importanza maggiore rispetto al sacerdote, per

esempio, poiché in esse è presente in maniera maggiore rispetto al primo la messa in

relazione con il dio. «In esso si opera in una forma più evidente che nel sacerdote, quella

comunicazione, quella fusione degli dei con il sacrificante, che sarà ancora più completa

142 Mauss M., Hubert H., Saggio sul sacrificio, op. cit., p. 26. 143 Ibidem, p. 90.

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nella vittima»145. La loro importanza non risiede solo nella particolare funzione di

strumento, che gli oggetti svolgono durante il rito; difatti, per quanto riguarda un tipo di

sacrificio particolare, ossia il sacrificio agrario, la distruzione degli oggetti materiali

permette la conservazione e l’esistenza delle cose, analogamente a quanto fanno per gli

individui i sacrifici personali. In realtà, esistono diversi tipi di sacrificio: essi si

differenziano in quelli nei quali una vittima viene immolata a nessuna divinità (come

potrebbe essere la sigla di un patto), per esempio, che non ha un carattere sacro e può

assumerlo solo se inserito all’interno di un culto divino146. Un altro tipo di sacrificio è quello che implica il sacrificare qualcosa o qualcuno di caro ad una divinità: Dio chiese ad

Abramo di sacrificare il primogenito dei suoi figli. In ogni caso, qualunque di questi rituali

ha un suo scopo precipuo: ne esistono di purificatori, di riconoscenza ecc., ma tutti sono

connessi dalla struttura nella quale si dividono, dato che in ognuno possiamo distinguere la

fase di preparazione dell’offerta, il sacrificio in sé e la purificazione degli officianti che ne

segue, per permettergli di ritornare alla sfera profana. I sacrifici di esseri umani ebbero

grande diffusione già in India, in Grecia, tra i Germani ed i Celti e tra le popolazioni

precolombiane. Tale rito ha diversi significati, uno di questi è l’affrancamento della

comunità, di cui viene sacrificata una parte, un componente per salvare tutti gli altri.

Quest’ultima idea è caratteristica del sacrificio umano in particolare e non solo per quanto

riguarda la comunità in generale, ma anche per la famiglia, per esempio, si sacrifica il

proprio figlio per permettere la protezione e il riscatto del resto del nucleo familiare. Ma in

che modo viene scelta la vittima da sacrificare? A quali parametri deve sottostare, sempre

145 Ibidem, p. 34.

146 Un esempio si può trovare in un’abitudine dei Greci: prendere due uomini disprezzabili, infusi di ogni impurità avvenuta nell’arco dell’anno, che dopo aver girato per l’intera città, venivano da essa cacciati ed uccisi.

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che ce ne siano? In alcune società le vittime vengono scelte tra i criminali: in questo caso il

sacrificio può essere paragonato ad una sorta di pena capitale, attraverso la quale la

comunità si epura degli elementi malvagi147. «Il peccatore, come il criminale, è un essere sacro; se si sacrifica, il sacrificio ha per scopo, o quantomeno uno degli scopi, di liberarlo

dalle sue colpe: è l’espiazione»148. D’altra parte, all’opposto, esistono sacrifici di individui che siano o raccolgano in sé le qualità migliori e che quindi, non vanno semplicemente

sacrificati, ma anche mangiati, perché la vittima e il dio vengano assorbiti. «Avviene

persino che la comunione provochi quasi un’alienazione della personalità. Mangiando la

cosa sacra nella quale si crede risieda il dio, il sacrificante lo assimila»149. Secondo Georges Bataille, invece, la forma originaria di sacrificio è quella del potlàc, ossia una sfida che

viene “lanciata” ad un altro individuo (o anche ad un gruppo di individui), come si è già

avuto modo di appurare, che può anche appartenere alla cerchia delle divinità, ma che in

ogni caso non lascia libero il destinatario di sottrarsi a tale gioco. Nel pensiero di Bataille, il

sacrificio e quella particolare specie che ne è il potlàc sono esempi di come la società ha

bisogno di sottrarsi alla logica economica dell’utile per darsi a quella della dilapidazione.

Per quanto riguarda sia il poltàc che il sacrificio i partecipanti, avendo ricevuto in dono un

eccesso di beni si trovano costretti a dover ricambiare tutta questa prodigalità. Tale eccesso,

tale surplus, tale dépense è per il filosofo l’elemento base dell’economia (anche quella

naturale), intesa nel senso più ampio del termine, differentemente da quanto affermato dagli

economisti del suo tempo. A questi ultimi egli rimproverava l’aver applicato la logica

dell’individuo alla società, “dimenticando” che, allo stesso modo di un organismo il quale,

147 All’interno dell’ambito sacro nella società Romana, ad esempio, chi si appropriava illegittimamente di frumento veniva sacrificato alla dea Demetra, dunque ad ella veniva consacrato.

148 Mauss M., Hubert H., Saggio sul sacrificio, op. cit., p. 53. 149 Ibidem, p. 60.

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dopo aver usato le proprie energie per ciò che gli serve per la propria sussistenza, disperde

l’energia che non gli è utile, la società, analizzata da un punto di vista universale (è, infatti,

ad essa che bisogna guardare e non al singolo individuo) si troverà costretta a dissipare

l’energia che non le è più utile. Pertanto è la dépense il nucleo della stabilità del mondo ed

è grazie al sacro che l’intimo rapporto che, naturalmente, esiste tra soggetto ed oggetto

viene ristabilito. Infatti, il sacro e nello specifico il sacrificio è ciò che permette di sottrarre

l’oggetto alla categoria dell’utile, del profano:

«Il sacrificio restituisce al mondo sacro ciò che l’uso servile ha degradato, reso profano. L’uso servile ha reso cosa (oggetto) una realtà che, nel profondo, è della stessa natura del soggetto, che si trova con il soggetto in un rapporto d’intima partecipazione. Non è necessario che il sacrificio distrugga, propriamente, l’animale o la pianta che l’uomo dovette rendere cosa per il proprio uso. Basta che li distrugga in quanto cose, in quanto sono divenuti cose. (...) Ciò che il rito ha la virtù di ritrovare, è la partecipazione intima del sacrificante e della vittima, cui un uso servile aveva posto fine»150.

Da ciò si può dedurre perché, nell’opinione di Bataille, il vero potlàc è quello che non può

essere ricambiato e il massimo sacrificio riguarda il sacrificare se stessi:

«La vittima è un surplus preso nella massa della ricchezza utile. Ed essa può esserne tratta solo per venir consumata senza profitto, di conseguenza distrutta per sempre. Dal momento in cui viene scelta, è la parte maledetta, destinata al consumo violento. Ma la maledizione la strappa all’ordine delle cose; essa rende riconoscibile la sua figura, che irradia da allora l’intimità, l’angoscia, la profondità degli esseri viventi»151.

150 Bataille G., La parte maledetta, op. cit., p. 104. 151 Ibidem, p. 107.

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Tale atteggiamento non è solo il fondamento dell’economia, ma dell’esistenza stessa,

poiché grazie al dono disinteressato, alla dépense, ci si può alienare, liberare, diventare

signori e ristabilire giustizia ed ordine. Infatti, è proprio questo il fine ultimo della dépense,

avere coscienza del fatto che non è possibile sottrarsi al dispendio:

«La religione è questo lungo sforzo e questa angosciata ricerca: si tratta sempre di strappare all’ordine reale, alla povertà delle cose, di restituire all’ordine divino; l’animale o la pianta di cui l’uomo si serve (come se avessero valore soltanto per lui e non per se stessi) sono restituiti alla verità del mondo intimo; egli ne riceve una comunicazione sacra che a sua volta lo restituisce alla libertà interiore. Il senso di questa profonda libertà è dato nella distruzione, la cui essenza è quella di consumare senza profitto ciò che poteva restare nella concatenazione delle opere utili. Il sacrificio distrugge ciò che consacra. (...) l’offerta consacrata non può essere restituita all’ordine reale»152.

Anche Roger Caillois tratta il tema del sacrificio in alcune delle pagine del suo L’uomo e il

sacro. Partendo dal presupposto che il sacro è lo strumento attraverso il quale l’ordine e

l’equilibrio dell’universo possono e debbono essere mantenuti, afferma che, di

conseguenza, il rituale del sacrificio non può sottrarsi a questo compito e la sua struttura

non può che basarsi su uno scambio per il quale un’offerta, soprattutto se prodiga, non può

che essere restituita in qualche modo. Sia che si stia trattando di società semplici o di

società complesse, il motivo per il quale tutte le comunità sembrano permeate da questo rito

si può trovare, secondo l’autore, nella sensazione che l’individuo, o meglio, che l’uomo in

generale ha della presenza di forze impersonali dalle quali dipenda sia la sua sorte, che

quella del mondo:

87 «L’insieme della società, città o tribù, si trova nella stessa situazione: se fa la guerra, invoca la vittoria e teme la disfatta; se gode della prosperità, si augura di conservarla per sempre e, al contrario, si preoccupa di evitare la rovina di cui crede di avvertire il presagio. Sono altrettante grazie che l’individuo o lo Stato devono ottenere dagli dei, dalle potenze personali o impersonali da cui si presume che il mondo dipenda»153.

Sembrerebbe che, l’unico modo per ottenere il favore di queste forze sia rappresentato da

una rinuncia, da un dono, da tutto ciò che si può sacrificare e, di conseguenza, consacrare

alla sfera del sacro, rinunciandovi:

«Per costringerle ad accordargliele, il postulante non sa allora immaginare niente di meglio che precederle facendo loro un dono, un sacrificio, ossia consacrando, introducendo a sue spese nell’ambito del sacro qualcosa che gli appartiene e che lui abbandona, o di cui disponeva liberamente e su cui rinuncia a esercitare qualsiasi diritto»154.

A proposito di “forze impersonali”, Durkheim, nelle pagine del suo Le forme elementari

della vita religiosa, sottolinea, però, come tali forze, non siano soltanto un’autorità dalla

quale si dipende, ma anche una fonte di energia grazie alla quale la società riesce a

mantenersi e ad affrontare ogni tipo di situazione. Tenendo, però, sempre bene in mente che

questa forza sociale è parte integrante di ogni singolo individuo, anche se, a prima vista può

sembrare esterna alla comunità, in realtà, essa è formata dalla coscienza di ognuno, la quale

giova di questa relazione tra l’io e il mondo, che le permette di crescere e, di conseguenza,

di rendere grande la società alla quale l’individuo appartiene:

153 Caillois R., L’uomo e il sacro, op. cit., p. 21. 154 Ibidem, pp. 21-22.

88 «Ma un dio non è soltanto un’autorità da cui dipendiamo; è anche una forza a cui si appoggia la nostra forza. L’uomo che ha obbedito al suo dio e che, per questa ragione, crede di averlo con sé, affronta il mondo con fiducia e con il sentimento di un’energia accresciuta. Così pure, l’azione sociale non si limita a reclamare da parte nostra sacrifici, privazioni e sforzi. Infatti, la forza collettiva non ci è interamente esteriore; essa non muove totalmente da fuori; ma poiché la società non può esistere che nelle coscienze individuali e attraverso di esse, bisogna pure che penetri e si organizzi in noi; essa diventa così parte integrante del nostro essere e, perciò, lo innalza e lo ingrandisce»155.

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