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La società consumistica è governata dagli oggetti, nello specifico, invero, principalmente

dai simboli che essi rappresentano e ai quali l’individuo è, inconsapevolmente, asservito.

«Diventa necessario riacquistarli ogni mese, rinnovarli ogni anno»208. Tale asservimento è

conseguenza della trasformazione che ha subito, negli anni, il rapporto tra soggetti e

oggetti. Difatti, questi ultimi non hanno più, in generale oggigiorno, uno stretto legame con

l’affettività del singolo, ma rappresentano dei legami con la società in toto. Da ciò non può,

dunque, che derivare una differente prospettiva sia per quanto riguarda ciò che essi

rappresentano, sia per il senso che ad essi si dà:

«Sebbene gli oggetti non leghino alla famiglia o a nessun altro gruppo sociale tradizionale, il consumatore istituisce un rapporto di relatività con la società globale e con le sue istanze (sistema economico e finanziario, fluttuazioni della moda, ecc.) (…) A partire da questa prospettiva, cambia tutto: il senso che assumono, il progetto che incarnano, il loro avvenire oggettivo e il furto del compratore»209.

Tale tendenza all’abbondanza, sembrerebbe essere un carattere peculiare di ciascuna

società, almeno per quanto concerne il superamento del limite del fabbisogno di ognuno:

«Tutte le società hanno sempre sprecato, dilapidato, speso e consumato al di là dello stretto

necessario che è nel consumo di un’eccedenza, di un surplus, che l’individuo, come la

società, si sentono non semplicemente esistere ma anche vivere»210. Si è già avuto modo di

vedere come all’interno delle popolazioni di nativi americani e di quelle che abitano le isole

Trobriand nell’Oceano Pacifico tale eccedenza sfoci rispettivamente in rituali quali il

potlach e il kula; allo stesso modo, nelle società di tipo consumistico si tende ad eccedere

208 Baudrillard J., Il sistema degli oggetti, p. 203. 209 Ibidem, p. 203.

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nell’acquisto di beni e di oggetti e a distruggerli o a sostituirli più in fretta di quanto ci si

aspetterebbe. «Questo consumo può giungere fino alla consumazione, alla distruzione pura

e semplice che assume allora una specifica funzione sociale. Così nel potlach, è la

distruzione competitiva dei beni preziosi che suggella l’organizzazione sociale»211. Ma

come mai tale atteggiamento è presente? Come fa un comportamento del genere a rendere

coesa tale società? Sembrerebbe che ciò sia possibile perché, proprio come accadeva con il

potlach e il kula, è in questo tipo di rituali che quest’ultima trova il suo senso, le sue

fondamenta. «Vi è una tendenza profonda nel consumo a superarsi, a trasfigurarsi nella

distruzione. È là che esso assume il suo senso»212. Tale sovrabbondanza, tale tipo di

eccesso, pertanto, secondo Baudrillard, sulla scia del pensiero di Bataille sull’economia,

non può che esistere e far parte di tale società e non può che essere distrutto, consumato:

«La società dei consumi per essere ha bisogno dei suoi oggetti e più precisamente ha bisogno di distruggerli. (…) La maggior parte del tempo, nella quotidianità attuale, resta subordinato, in quanto consumatività diretta, all’ordine della produttività. (…) è evidente che la distruzione, sia sotto la forma violenta e simbolica (happening, potlach,

acting out distruttivo, individuale e collettivo) sia sotto la forma di distruttività

sistematica e istituzionale, è votata a divenire una delle funzioni preponderanti della società postindustriale»213.

Suddetto consumo non può non influenzare anche il tempo libero dell’individuo, secondo

Baudrillard, pertanto, l’impiego di questo “eccesso di tempo” deve essere messo, per

l’appunto, in analogia con la dépense batailliana e deve essere considerato una specie di

potlàc. «Il consumo del tempo vuoto è dunque una specie di potlach (…) Come in La part

211 Ibidem, p. 29.

212 Baudrillard j., La società dei consumi, op. cit., p. 34. 213 Ibidem, p. 34.

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maudite di Bataille, esso acquista valore nella distruzione stessa, nel sacrificio, e lo svago è

il luogo di questa operazione «simbolica»»214. Infatti, l’individuo che vive nella società moderna vive il tempo libero similmente a quanto afferma Caillois nelle sue opere, per

quanto concerne i periodi di festa. Difatti, le società semplici prese in considerazione da

quest’ultimo, come quelle studiate da Durkheim, hanno un loro proprio “ritmo”, scandito

tra i tempi di festa e i tempi ordinari, regolati dalla contrapposizione tra sacro e profano,

come si è già avuto modo di osservare e come ha messo in risalto Baudrillard in La società

dei consumi:

«Nelle società primitive non c’è tempo. Non ha senso chiedersi là se si ha o non si ha tempo. Il tempo non è altro che il ritmo delle attività collettive ripetute (rituale di lavoro, di festa). Non è dissociabile da queste attività per essere poi proiettato nell’avvenire, previsto e manipolato. Esso non è individuale, è il ritmo stesso dello scambio, che culmina nell’atto della festa. Non c’è nome per indicarlo, si confonde coi verbi dello scambio, col ciclo degli uomini e della natura»215.

Per quanto concerne il tempo, nella società moderna presa in considerazione da Baudrillard,

questo non può non essere messo in relazione con il denaro, con il profitto, con la scissione

che ne consegue tra tempo lavorativo e libero (similmente alla scissione tra tempo di festa e

tempo ordinario nelle società semplici). Da ciò si evince anche il perché il tempo libero sia

così importante, o meglio, perché sia così importante “perderlo”, “consumarlo”,

nell’opinione del filosofo francese:

«L’analogia del tempo col denaro è per contro fondamentale per analizzare il «nostro» tempo, e quel che può implicare la grande significativa frattura tra il tempo lavorativo

214 Ibidem, p. 187.

117 e il tempo libero, frattura decisiva, perché è appunto su di essa che si fondano le opzioni fondamentali della società dei consumi»216.

Anche Iacono in Teorie del feticismo tratta di come la relazione tra l’individuo e la cosa

influenzi ugualmente il tempo, categoria che si trova a metà tra i due estremi di questa

proporzione e che ne subisce le trasformazioni.

«La separazione tra tempo di lavoro e tempo libero, così come strutturalmente si produce nella forma della vita sociale borghese (…) precipita nella storia sussunta dal rapporto uomo-cosa. Il tempo, infatti, sta in mezzo a tale rapporto, come misura del passaggio dalla scarsità all’abbondanza, dalla sopravvivenza alla vita una misura che riproduce, nel succedersi storico, l’ansia presente nel bisogno dell’accorciamento del tempo di lavoro e dell’allargamento del tempo libero (…) Alla fine è ancora il primato del rapporto uomo-cosa a dare il senso ultimo all’analisi e a ricondurre i processi non intenzionali dentro lo schema del primato dell’agire individuale di fronte alla cosa»217.

216 Ibidem, p. 181.

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