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Appartenere alla casa, appartenere alla città

1.5. L’oikos a Magnesia

2.1.1. Appartenere alla casa, appartenere alla città

In Lg. XI, parlando della tutela dei fanciulli che hanno perso il padre, l’Ateniese presenta l’attribuzione della patronomike ai tutori come “una seconda nascita” degli orfani (926 d8: gevnesi" oi|on deutevra ti"; cfr. 926 e2-3). Si tratta di una scelta espressiva carica di significato: l’accostamento fra la nozione di genesis e quella della potestà paterna presuppone una distinzione fra la nascita dal padre e quella dalla madre. Questa distinzione, Platone la trovava nella sua cultura, implicita nell’esistenza di una procedura di riconoscimento del figlio da parte del padre. Mentre l’appartenenza del nuovo nato alla madre è data, inscritta nell’evento biologico del parto, l’appartenenza al padre deve essere costruita.

Nel lessico ateniese, l’artificialità del legame fra padre e figlio è trasparente: la denominazione del riconoscimento, poihvsi"/poiei'sqai173, lo caratterizza come un’attiva ‘fabbricazione’ del figlio da parte del padre. Una ‘fabbricazione’ che procedeva esclusivamente dalla volontà paterna: il capofamiglia, infatti, non era in alcun modo tenuto a riconoscere il bambino nato dalla moglie, ed era libero di allontanare il neonato dalla casa, destinandolo all’esposizione174

. La decisione di procedere al riconoscimento, invece, apriva al bambino la via dell’inserimento nella famiglia, e nella società175. Si trattava, ad Atene, di un processo graduale e, soprattutto, differenziato a seconda del sesso dei figli: comune a maschi e femmine era solo il primo segmento della poiesis, che comprendeva le cerimonie di introduzione nell’oikos e nel parentado.

Il primissimo atto era il rito delle Amfidromie, la cui celebrazione sanciva la scelta

173

Rudhardt 1962, p. 56; Bonnard 2003, p. 69.

174 Sull’esposizione, cfr. Harrison 1968, pp. 74-75 della tr. it. (Alessandria 2001); Patterson 1985. 175 Ad Atene, l’età si calcolava a partire non dal giorno della nascita, ma dal momento in cui il padre

riconosceva i figli (Dem. XXXIX, 29; cfr. Rudhardt 1962, p. 57; Sissa 1987, p. 174): la vita sociale di ogni individuo cominciava con la costituzione del rapporto di filiazione paterna.

55 del padre di accogliere il nuovo nato nell’oikos176

. Posto che ogni ricostruzione è largamente ipotetica, pare che la corsa cui il nome fa riferimento consistesse in una circumambulazione del focolare, effettuata recando il bambino in braccio177. Si trattava, come nel caso dei katakhysmata, di un rito di integrazione al centro religioso della casa178: alla pari della novella sposa e del nuovo schiavo, anche il nuovo nato faceva il suo ingresso ufficiale nella famiglia nel momento in cui veniva ammesso a partecipare degli hiera dell’oikos. Alle Amfidromie seguiva la cerimonia del decimo giorno (dekavth, il decimo giorno dopo la nascita del bambino)179, che prevedeva l’imposizione del nome da parte del padre, accompagnata da un sacrificio e da una festa, aperta a parenti e, eventualmente, amici180.

A questo punto, il percorso di riconoscimento delle femmine si arrestava, mentre quello dei maschi conosceva un terzo atto181: l’affiliazione alla fratria del padre. Questo passaggio, che aveva luogo a qualche anno dai riti domestici182, comportava l’ingresso

176 Il riferimento indiretto all’esposizione in Pl. Theaet.160 e6-161 a4 sembra implicare che le

Amfidromie fossero l’ultimo limite per esporre il bambino (Rudhardt 1962, p. 64 n. 102; Bonnard 2005, p. 72).

177

Questa è la ricostruzione che riscuote i maggiori consensi; la proposta alternativa è che la corsa avvenisse attorno al bambino stesso, deposto per terra (per una presentazione ragionata delle opinioni degli studiosi cfr. Hamilton 1984 e Bonnard 2003, pp. 70-76). Vernant 1963, p. 187 ss. della tr. it. (Torino 1970) distingue due momenti: la deposizione del bambino al suolo e la corsa attorno al focolare con il bambino in braccio (così anche Gherchanoc 1998, pp. 320-21; Bonnard 2003, pp. 70-71). Solo ipotesi e nessuna certezza anche sul giorno in cui avveniva la cerimonia (il quinto o il settimo o il decimo dopo la nascita?), e sull’identità degli officianti (il padre? la levatrice?). La seconda questione è particolarmente interessante; alcuni hanno scorto nelle Amfidromie una distribuzione di ruoli fra la componente maschile e quella femminile della famiglia (cfr. Gherchanoc cit., pp. 320-21) .

178 Vernant 1963, p. 187 della tr.it. (Torino 1970) ; Ogden 1996, p. 90; Bonnard 2003, p. 71.

179 Il decimo giorno figura anche fra le possibili date del rito della circumambulazione, e d’altro canto

Esichio e lo scolio ad Ar., Lys. 757 affermano che era durante il loro svolgimento che si imponeva il nome al bambino. Alcuni studiosi hanno pertanto ipotizzato che le Amfidromie e l’imposizione del nome avessero luogo nel medesimo giorno; ma la diversa natura delle due cerimonie rende inclini a credere piuttosto che esse si distribuiscano su due giorni distinti (Rudhardt 1962, p. 58, n. 85; Hamilton 1984, p. 250; Golden 1986, p. 255; Bonnard 2003, pp. 79-80).

180

Il valore legittimante della dekate è sottolineato dall’affermazione demostenica che “nessuno

celebrerebbe la cerimonia del decimo giorno per un figlio che non tenesse per proprio secondo giustizia”

(Dem. XXXIX, 22: ou[t’ a]n ejpoivhse dekavthn oujdei;" paidivou mh; nomivzwn auJtou' dikaivw" ei\nai). Sulla cerimonia del decimo giorno, si vedano in particolare Rudhardt 1962, p. 58; Sissa 1987, p. 173; Ogden 1996, pp. 89-90; Gherchanoc 1998, pp. 325-335; Bonnard 2003, pp. 76-80.

181 Ogden 1996, pp. 110-20; Gherchanot 1998, pp. 335-44; Bonnard 2003, pp. 80-89. Sulla procedura di

introduzione nella fratria, è da vedere anche l’analisi approfondita di Lambert 1993, pp. 143-89.

182

La presentazione del bambino alla fratria avveniva certamente durante la sua prima infanzia (Lambert 1993, pp. 162-63 segnala in particolare il passo delle Rane in cui il demagogo Archedemo viene canzonato perché all’età di sette anni non apparteneva ancora a una fratria); non c’erano, però, precisi requisiti d’età. Era ben determinato, invece, il momento dell’anno in cui avvenivano le presentazioni: il terzo giorno (chiamato Koureotis) della festa civica delle Apaturie (su cui cfr. Lambert 1993, pp. 152-56). È molto dibattuta la questione se vi fosse una seconda presentazione alla fratria, durante l’adolescenza del ragazzo. Anche se quasi tutte le fonti parlano di una sola cerimonia (a eccezione, forse, di And. I, 125-127 e POxy 31,2538; cfr. Lambert 1993, p. 166, n. 133), postulare due presentazioni è l’unica soluzione per rendere conto della notizia di due sacrifici associati con l’introduzione alla fratria, il meion e il koureion. Che si tratti di due sacrifici distinti, e non di nomi diversi di un unico sacrificio (come erano inclini a

56 del fanciullo in una sfera sociale esterna all’oikos, ma ad essa strettamente legata. L’ammissione, infatti, avveniva solo se i frateri accettavano il giuramento con cui il padre attestava di introdurre un figlio legittimo (gnhvsio"), avuto da una donna regolarmente sposata (gamethv, o ejgguhthv, “data con engye”)183. Poiché la legittimità della nascita era la condizione necessaria del godimento del diritto di successione, la convalida dei frateri e la conseguente iscrizione del nuovo membro nel loro registro184 suggellavano l’appartenenza del fanciullo alla famiglia paterna185

. Il riconoscimento poteva, con ciò, dirsi concluso.

La costruzione dell’identità sociale del figlio richiedeva al padre un ultimo atto, da compiersi durante il diciottesimo anno di vita del ragazzo: l’iscrizione al registro dei membri del demo186. La procedura inseriva il giovane nella dimensione politica, ratificando il suo possesso dei requisiti della cittadinanza, che, al tempo di Platone, consistevano nella nascita dalla legittima unione di due cittadini ateniesi187. La presentazione ai demoti, se pure non rientrava nella poiesis, ne costituiva il corollario188:

credere gli eruditi della tarda antichità), è provato dal decreto della fratria dei Demozionidi (IG II², 1237= Lambert 1993 T3, ll. 5-9), che riporta due liste diverse di vittime sacrificali, una per il meion e una per il

koureion. I nomi di questi due sacrifici suggeriscono l’associazione del primo con la presentazione

durante l’infanzia (mei'on significa “il minore”), e del secondo con la presentazione in età adolescenziale (kouvreion pare etimologicamente connesso a keivrein, verbo usato in riferimento al taglio dei capelli che sanciva il passaggio dalla pubertà all’età adulta).

183 Cfr. specialmente Isae. VIII, 19; Dem. LVII, 54; IG II² 1237 = Lambert 1993 T 3, ll. 109-11.

184 Accettare l’ipotesi delle due presentazioni pone il problema di capire se la registrazione avesse luogo

soltanto una volta (Bonnard 2003, p. 85) o in entrambe le occasioni (Ogden 1996, p. 112 e 117). Lambert 1993, p. 175, nota come i registri delle fratrie funzionassero come una sorta di verbale delle attività dell’associazione; da questo punto di vista la doppia registrazione risulta più comprensibile di quanto non sarebbe se i grammateia fossero stati meri elenchi dei membri.

185 Rudhardt 1962, p. 60. 186

Ogden 1996, pp. 120-23; Bonnard 2003, pp. 89-92.

187 Cfr., da ultimo, Ismard 2010, p. 123. Che la legittimità della nascita fosse un requisito necessario è

negato da molti studiosi (e.g., Gernet 1951a, p. CXIV; Harrison 1968, p. 71 della tr.it. (Alessandria 2001); MacDowell 1976, pp. 88-89; Biscardi 1982, p. 105; Sealey 1990, p. 32; Leduc 1995, pp. 51-68; Cantarella 1997, pp. 102-11; Martini 2005, p. 37), inclini a credere che anche i figli bastardi (nothoi) di due cittadini avrebbero goduto della cittadinanza. Questa linea di pensiero si appoggia principalmente sulla testimonianza dell’aristotelica Costituzione degli Ateniesi. Aristotele, in effetti, menziona in relazione all’accesso alla cittadinanza solo l’iscrizione al demo; e non nomina espressamente la legittimità della nascita fra i requisiti di cui i demoti debbono verificare il possesso. Ma la vaga formulazione aristotelica – il candidato deve essere nato “secondo le leggi” (kata; tou;" novmou") - di per sé non esclude necessariamente il riferimento, oltre che al requisito della nascita da due cittadini, a quello della legittimità (Rhodes 1981, p. 500; Ogden 1996, p. 152). Decisivo è il fatto che, Costituzione degli Ateniesi a parte, numerose fonti dimostrano come la cittadinanza implicasse l’appartenenza alla fratria (richiedendo dunque la legittimità della nascita). I decreti che a partire dalla fine del quinto secolo ratificano la concessione della cittadinanza assegnano il nuovo cittadino a un demo e a una fratria (Lambert 1993, p. 32; Ogden 1996, p. 153); in Dem. LVII, 46 Eussiteo difende il proprio diritto alla cittadinanza, producendo testimoni sia della sua introduzione alla fratria sia della sua iscrizione al registro del demo; talvolta le fonti istituiscono un legame fra la condizione di cittadino e l’appartenenza alla fratria, senza menzionare il demo (Dem. XXXIX, 30-31; Isae. VII, 27-28; [Dem.] LIX, 38; Ar., Ran. 420- 424, Ach. 145-146, Av. 764-765; cfr. Lambert 1993, pp. 32-34).

188

57 l’inclusione dell’individuo nella polis, infatti, dipendeva e discendeva dalla sua inclusione in un oikos. Non a caso l’appartenenza alla casa e l’appartenenza alla città si dicevano allo stesso modo: essere membro dell’una e dell’altra comunità era, invariabilmente, condividere ta hiera e ta hosia, le “cose sacre degli dèi e degli uomini”189

. Questa condivisione era resa possibile dal padre, fautore e garante dell’inserimento del figlio nella progressione delle cerchie comunitarie dall’oikos alla

polis190.

Le Leggi, presuppone il modello ateniese, sia per quanto riguarda il nesso fra oikos e

polis, sia per quanto riguarda il ruolo del padre nel collocare il figlio nella casa e nella

città. Anche a Magnesia, a partire dalla seconda generazione degli abitanti (ovvero i figli dei primi coloni), condizione della cittadinanza è l’appartenenza all’oikos di un

geomoros191, che dà al figlio maschio il diritto di ereditare e alla femmina quello di essere data in sposa a un concittadino; e, proprio come ad Atene, condizione dell’appartenenza all’oikos è la nascita dall’unione legittima fra due cittadini. Assieme al regime di endogamia civica instaurato dall’editto pericleo del 451 a.C.192

, Platone trasferisce nella sua città anche la nozione ateniese del matrimonio legittimo come convivenza instauratasi a seguito di engye (Lg. VI, 774 e4-8).

L’imperativo dell’immutabilità del numero degli oikoi/kleroi porta Platone a radicalizzare il nesso fra oikos e polis assunto da Atene. Lo mostra la normativa sul ripudio del figlio da parte del padre (apokeryxis), in Lg. XI: il figlio che il padre disconosca in seguito a insanabili contrasti si trova espulso in un solo colpo dall’oikos natio e dalla polis193. Poiché non è possibile aggiungere una nuova casa alle 5.040 che

189 Blok 2009, pp. 160-162. Cfr. e.g. Dem. XXIII, 65: fare di Caridemo un cittadino significa renderlo

partecipe di tutto ciò che gli Ateniesi hanno in comune, e in primo luogo di ta hiera e ta hosia, e delle leggi (metedwvkamen aujtw/' kai; iJerw'n kai; oJsivwn kai; nomivmwn kai; pavntwn o{swn per aujtoi'" mevtestin hJmi'n). Se nell’ambito domestico ta hosia sono i beni patrimoniali, nell’ambito della polis sono le cose appartenenti agli organi governativi o alla comunità politica.

190 Questa progressione non deve però essere immaginata come un gioco di scatole cinesi, in particolare

per quanto riguarda demo e fratria. Ad Atene, i demi non ‘contengono’ le fratrie, che sono strutture indipendenti (Lambert 1993, p. 18): gli iscritti a un demo non sono necessariamente membri di una stessa fratria (Lambert cit., pp. 40-41); non esistevano controlli incrociati routinari fra i registri della fratria e quelli del demo, come dimostra il caso di Beoto, iscritto sotto questo nome alla fratria, e come Mantiteo al demo (Dem. XXXIX, 18).

191 Gernet 1951a, pp. CXIV-CXVII; Morrow 1960, pp. 112-31; Piérart 1974, pp. 52-56 della seconda ed.

fr. (Parigi 2008); Bertrand 2000, pp. 37-55; Brisson - Pradeau 2007, pp. 122-23.

192 La normativa periclea sulla cittadinanza era stata ristabilita nel 403 a.C., sotto l’arcontato di Euclide,

dopo che era stata abolita durante gli ultimi anni della guerra del Peloponneso. Per un quadro dei principali filoni interpretativi e della bibliografia sull’editto di Pericle, rimando alla rassegna di Vérilhac - Vial 1998, p. 55, nn. 45 e 46, cui occorre aggiungere almeno Boegehold 1994; Ogden 1996, pp. 64-9; Patterson 2005, pp. 278-83; Blok 2009.

193 Che l’individuo ripudiato dal padre emigri, afferma l’Ateniese, “è necessario” (Lg. XI, 928 e8-929 a1:

58 compongono Magnesia, perdita del diritto di successione significa automaticamente perdita del diritto di cittadinanza. Platone stesso osserva che si tratta di un’aberrazione, rispetto al regime vigente in altre città194; ad Atene, in effetti, l’appartenenza originaria a un oikos, ‘fabbricata’ dal padre secondo le leggi e riconosciuta dalle istituzioni competenti, garantisce il diritto di cittadinanza a prescindere dagli sviluppi successivi del rapporto fra un individuo e la casa natia. A Magnesia, non basta che il figlio sia stato creato una volta membro dell’oikos del proprio padre; occorre che rimanga tale lungo l’arco della propria vita. Questo dato accresce, assieme all’importanza dell’oikos, quella del padre: questi, dall’alto della sua posizione prioritaria entro la casa, ha facoltà non solo di fare, ma anche di disfare il legame fra il figlio e la polis, mentre i padri ateniesi dovevano contentarsi di privare i figli della condivisione degli hiera e degli hosia domestici.

Sul ripudio del figlio torneremo più avanti195; adesso, occorre analizzare le formalità che, nelle Leggi, sanciscono l’inserimento del figlio nella comunità domestica e in quella politica. Il testo è, purtroppo, abbastanza oscuro, ma non abbastanza da impedire un interessante confronto con il modello della poiesis ateniese.