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I contrasti fra padre e figlio

2.4. Il rapporto fra il padre e il suo successore

2.4.2. I contrasti fra padre e figlio

A Magnesia, a dire il vero, le questioni economiche non dovrebbero interessare più di tanto i cittadini. Il fine dichiarato della loro esistenza, dopo tutto, è il perseguimento della virtù459. La strategia principe per inseguire questo scopo consiste nel coinvolgerli, fin dall’infanzia, in una fitta sequenza di occupazioni che la polis codifica e monitora quanto più può460: la formazione primaria nei giardini d’infanzia e nelle scuole pubbliche, la preparazione militare, le performance nei cori civici, la partecipazione alle feste religiose e agli agoni ginnici e musicali… . Il presupposto necessario di questo stile di vita è una decisa svalutazione dei beni materiali461: a Magnesia, la ricchezza deve essere pressoché ininfluente, sia sul piano ideologico che su quello pratico. La ricerca del profitto è impossibile, dal momento che ai geomoroi è proibita qualsiasi attività economica ad eccezione dell’agricoltura di sussistenza. Al limite, lo stesso impegno nel procurarsi il sostentamento appare indegno dei cittadini. Il compito di coltivare la terra è affidato agli schiavi462, perché i geomoroi abbiano tutto l’agio di

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Si veda e.g. Lg. I, 630 d9-e3: è “avendo di mira l’insieme della virtù” (blevpwn…pro;" pa'san ajrethvn) che il bravo legislatore organizza la vita della città (punto ribadito in V, 742 d7-e1: il nomothetes giusto vuole che la città sia wJ" ajrivsthn…kai; wJ" eujdaimonestavthn, “in sommo grado eccellente e

felice”.

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Si veda, in particolare, Lg. VII, 807 c6 ss.. La vita “che è detta occuparsi completamente nel modo più

corretto della cura della virtù del corpo e dell’anima” (807 c7-d1: oJ peri; th;n tou' swvmato" pavntw"

kai; yuch'" eij" ajreth'" ejpimevleian bivo" eijrhmevno" ojrqovtata) è caratterizzata dalla mancanza di tempo libero (ajscoliva). Devono esserci disposizioni dettagliate sull’impiego del tempo da parte degli uomini liberi (807 d6-7: tavxin dei' givgnesqai pa'sin toi'" ejleuqevroi" th'" diatribh'" peri; to;n crovnon a{panta); disposizioni che si sforzino di coprire ogni momento “per così dire a partire dall’alba

fino all’alba successiva senza interruzioni” (807 d7-e1: scedo;n ajrxavmenon ejx e{w mevcri th'" eJtevra"

ajei; sunecw'" e{w).

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Come emerge chiaramente in Lg. V, 742 d4-7, dove Platone dichiara che, mentre “è necessario essere

al contempo felici e virtuosi” (eujdaivmona" a{ma kai; ajgaqou;" ajnavgkh givgnesqai), “è impossibile essere al contempo molto ricchi e onesti” (plousivou" d’ au\ sfovdra kai; ajgaqou;" ajduvnaton). In Lg.

VII, 831 c4-d1, il filosofo osserva che l’amore per la ricchezza non lascia alcun momento libero per occuparsi di altre cose che non siano i possessi privati (e[rwto" plouvtou pavnta crovnon a[scolon poiou'nto" tw'n a[llwn ejpimelei'sqai plh;n tw'n ijdivwn kthmavtwn); l’uomo bramoso di ploutos ha a cuore soltanto il suo profitto quotidiano, presta attenzione solo ai saperi teorici e pratici che possono aumentare la sua capacità di guadagnare, e a nessun’altra occupazione. Viceversa, la città delle Leggi, dove le attività economiche sono estremamente ridotte, “ha moltissimo tempo libero” (VII, 832 d1-2: scolhvn…a[gei pou megivsthn) per dedicarsi alla mousike, alla gymnastike, al culto degli dèi etc.

462 Lg. VII, 806 d9-e2: gewrgivai de; ejkdedomevnai douvloi". Platone si preoccupa di ribadire che gli

schiavi forniranno ai padroni solo le primizie sufficienti per vivere decorosamente (ibid.: ajparch;n tw'n ejk th'" gh'" ajpotelou'sin iJkanh;n ajnqrwvpoi" zw'si kosmivw"). Nel demandare completamente il

129 dedicarsi al mestiere di polites, “che ha bisogno di molto esercizio e di molti studi” (Lg. VIII, 846 d4-5: tevcnhn…pollh'" ajskhvsew" a{ma kai; maqhmavtwn pollw'n deomevnhn). Inoltre, l’istituzione dei sissizi (Lg. VI, 780 a8-b2; VII, 806 e2-807 a3), che Platone intende estendere anche alle donne (VI, 780 b4-d3) e ai bambini (VII, 806 e3- 4), implica che i cittadini non siano liberi nella fruizione del ricavato dei kleroi. La soppressione del godimento privato di cibi e bevande sancisce l’eliminazione di qualsiasi forma di individualismo economico.

In un simile assetto, le tensioni patrimoniali fra padri e figli non avrebbero più ragion d’essere: i componenti della famiglia, infatti, sarebbero tutti parimenti subordinati al bene comune dell’oikos, a sua volta subordinato al bene comune della polis. Quello appena disegnato, tuttavia, è un modello teorico, la cui effettiva realizzazione appare tutt’altro che pacifica. Emblematico è l’imbarazzo di Platone a proposito dei sissizi: all’insistita proclamazione della volontà di introdurre le mense comuni nella colonia

cretese non fa seguito alcuna delucidazione sulle modalità del loro

approvvigionamento463. Rimane dunque inspiegato come i sissizi possano inserirsi nella struttura socio-economica della città. Per giunta, le direttive sull’impiego dei prodotti del kleros impartite in Lg. VIII, 847 e2 ss. sembrano presupporre che gli oikoi dei

geomoroi gestiscano singolarmente la propria sussistenza464. A dispetto dell’enfasi

posta sull’ideale collettivista, a Magnesia una dimensione economica irriducibilmente privata, per quanto contenuta, esiste.

lavoro agricolo ai dipendenti dei cittadini, le Leggi sembrano richiamare Sparta. È giusto notare, però, che gli schiavi platonici non assomigliano affatto agli iloti lacedemoni (la schiavitù spartana, peraltro, è criticata da Platone in Lg. VI, 776 c6-d2): i douloi dei geomoroi di Magnesia, come quelli dei cittadini ateniesi, appartengono ai privati (Brunt 1993, pp. 270-71; Samaras 2011, p. 178).

463 In Lg. VIII, 842 b4-8 Platone si chiede se i pasti comuni debbano essere organizzati come a Creta o

come a Sparta, oppure se occorra cercare una “terza forma” (trivton ei\do"), migliore di queste due; la domanda, però, rimane senza risposta (e, a differenza di David 1978, riteniamo questo silenzio non insignificante). La distinzione fra i sissizi spartani e quelli cretesi è chiaramente illustrata da Arist., Pol. III, 1272 a12 ss.: a Sparta le mense comuni erano finanziate dai cittadini, ciascuno dei quali era tenuto a pagare una quota fissa, mentre a Creta erano approvvigionate koinotevrw", ovvero grazie a terre e bestiame pubblici. Il fatto che in Lg. XII, 955 e3-4 siano menzionate “somme versate per i sissizi” (tw'n eij" ta; sussivtia teloumevnwn) suggerisce che Platone fosse incline a privilegiare il sistema spartano; ad ogni modo, ciò che conta è che il filosofo non si pronunci in modo davvero definitivo. Sul problema delle mense comuni nelle Leggi, si veda da ultimo Samaras 2011, pp. 176-78.

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Dopo aver spiegato che ognuna delle dodici parti in cui vengono suddivise le risorse alimentari deve a sua volta essere divisa in tre parti –una per i liberi, una per i loro schiavi, una per i meteci e gli stranieri di passaggio-, Platone assegna a ciascun cittadino la facoltà di gestire a suo piacimento le sue quote per liberi e schiavi (Lg. VIII, 847 c1-3: labw;n e{kasto" tw'n politw'n ta; duvo mevrh kuvrio" e[stw th'" nomh'" douvloi" te kai; ejleuqevroi", oJpovs’ a]n kai; oJpoi'a bouvlhtai dianevmein).

130 Se l’oikonomia, dopo tutto, non è un aspetto insignificante nella vita dei cittadini465

, è inevitabile che possa diventare un terreno di battaglia fra padre e figlio. Di fatto, Platone contempla la possibilità di “contrasti dei padri con i loro figli e dei figli con chi

li ha generati” (Lg. XI, 928 d5-6: diaforai; patevrwn te pro;" auJtw'n pai'da"

givgnontai kai; paivdwn pro;" gennhta;"), che sfocino nel tentativo, da parte degli uni e degli altri, di privarsi dei rispettivi diritti sul kleros (928 d8-e3). Un padre potrebbe pensare di abolire le prerogative ereditarie del figlio, rinnegandolo; un figlio, dal canto suo, potrebbe tentare le vie legali al fine di interdire il genitore dalla gestione del kleros per incapacità mentale (928 d8-e3)466. Entrambe le misure cui il testo fa riferimento, l’apokeryxis e l’azione per paranoia, erano contemplate dalle leggi ateniesi. Pur riprovando accoratamente il ricorso ad esse467, Platone ritiene giusto riproporle a Magnesia; solo, sottolinea la necessità che la loro applicazione sia circondata di molte cautele. Dichiara espressamente che al padre non deve esser possibile rinnegare un figlio “alla leggera” e “subito” (929 a8-b1: fauvlw"…eujqu;"). Dall’altro lato, dispone che un figlio non possa intentare intentare l’azione di interdizione in modo immediato, ma debba essere autorizzato a farlo dai nomophylakes più anziani, incaricati di esaminare attentamente la questione; se essi ritengono che che vi sia materia per procedere, l’accusatore li avrà come suoi “testimoni” e “avvocati”468

.

465 In Lg. VI, 758 b4-6, Platone dichiara che la partecipazione alla boule non deve impedire ai cittadini di

occuparsi dei propri interessi privati e dell’amministrazione delle proprie abitazioni (ejpi; to;n plei'ston tou' crovnou … ejpi; toi'" auJtw'n ijdivoisi mevnonta" eujqhmonei'sqai ta; kata; ta;" auJtw'n oijkhvsei"). In Lg. VII, 808 a7-b3 le “faccende domestiche” dei padroni e delle padrone di casa vengono messe in parallelo con le “faccende politiche” di pertinenza degli arkhontes (dei' pavnta" pravttein tw'n te politikw'n mevrh polla; kai; tw'n oijkonomikw'n, a[rconta" me;n kata; povlin, despoivna" de; kai; despovta" ejn ijdivai" oijkivai"). La paideia dei giovani di Magnesia li prepara anche all’oikonomia, non solo alla guerra e alla politica (Lg. VI, 747 b1-2; VII, 809c4-6; 819 c2-5).

466 Cfr. Lg. XI, 929 e6-8: il padre condannato viene privato del diritto di disporre anche solo di una

piccolissima parte dei suoi beni (a[kuro" e[stw tw'n auJtou' kai; to; smikrovtaton diativqesqai), e si trova a dimorare nel suo oikos con lo status giuridico di un minore per il resto della sua vita (kaqavper pai'" de; oijkeivtw to;n ejpivloipon bivon).

467 Lg. XI, 928 e3-6: ad azioni così estreme, “sciagure figlie di un odio tanto grande” (sumforai;

thlikauvth" e[cqra" e[kgonoi), si arriva solo quando sia il padre sia il figlio sono molto malvagi.

468 Lg. XI, 929 e1-6: novmo" aujtw/' keivsqw prw'ton me;n pro;" tou;" presbutavtou" tw'n nomofulavkwn

ejlqovnta dihghvsasqai th;n tou' patro;" sumforavn, oiJ de; katidovnte" iJkanw'" sumbouleuovntwn ejavnte devh/ gravfesqai kai; eja;n mh; th;n grafhvn, eja;n de; sumbouleuvswsin, gignevsqwsan tw/' grafomevnw/ mavrture" a{ma kai; suvndikoi.

Seguo Gernet 1951a, p. CLXIV e Piérart 1974, p. 172 n. 101 della seconda ed. fr. (Parigi 2008) nel ritenere che i nomophylakes siano sempre chiamati a sumbouleuvein, e non solo quando un figlio “sia in

dubbio ed esiti a intentargli (scil. al padre) causa di interdizione per demenza” (929 d6-e1: oJ de; uJo;"

ajporh/' kai; ojknh/' th;n th'" paranoiva" gravfesqai divkhn). Secondo Piérart, il mancato consenso dei custodi delle leggi non impedisce al figlio di procedere; solo, questi non avrà il sostegno dei magistrati. Per parte mia, credo che si possa tranquillamente dare per scontato che il parere negativo dei

131 A causa dello stato delle nostre conoscenze sull’apokeryxis e sull’azione per

paranoia, non è facile comprendere se e come le Leggi modifichino l’uso ateniese. Per

quanto riguarda l’istanza di interdizione del genitore, invero, è ragionevolmente certo che nella città attica non fosse necessario alcun nulla osta da parte delle autorità469. Ai suoi custodi delle leggi, dunque, Platone assegna delle prerogative estranee al magistrato ateniese competente in materia, l’arconte eponimo (Arist., Ath. 56, 6.). Il ruolo preliminare dei nomophylakes è finalizzato a impedire che l’azione per paranoia sia usata impropriamente, da figli desiderosi di assumere il controllo del kleros paterno. Se, quando l’azione pare motivata, i custodi delle leggi diventano addirittura alleati del figlio, è perché in questo caso non sono in gioco tanto gli interessi contrapposti di due individui, quanto l’incolumità dell’oikos, che rischia di essere rovinato dal padre (cfr. 929 d6: oijkofqorh/'). L’integrità di un patrimonio è questione che non riguarda solo la singola famiglia, ma la città intera, che negli oikoi trova i suoi elementi costitutivi, e la garanzia del proprio equilibrio sociale ed economico; i nomophylakes incarnano ed esprimono il coinvolgimento della polis.

A differenza dell’interdizione del padre, l’espulsione del figlio dal focolare natío è una questione esclusivamente familiare. Il bando diventa effettivo con un proclama pubblico ad opera degli araldi (Lg. XI, 928 d-e2: to;n uJo;n uJpo; khvruko" ejnantivon aJpavntwn ajpeipei'n uJo;n kata; novmon mhkevt’ ei\nai); ma l’ufficializzazione può arrivare solo dopo che la volontà paterna di disconoscere il figlio è stata ratificata da una sorta di tribunale di parenti. Il padre riunisce tutti i propri syngeneis fino al grado dei cugini assieme ai parenti materni del figlio (presumibilmente, fino allo stesso grado), sia maschi che femmine. Davanti a loro espone i capi d’accusa contro il figlio, lasciando a questi la possibilità di pronunciare la propria difesa. Al termine del confronto, si procede a una votazione, da cui sono ovviamente esclusi i due contendenti470; a vincere è colui che abbia ottenuto più della metà dei voti471.

469 Il principale riferimento bibliografico sull’azione per paranoia ad Atene rimane Harrison 1968, p. 84

della tr. it. (Alessandria 2011); si vedano, da ultimo, i brevi accenni di Cantarella 2011a, p. 337 e 2011b, p. 6. Vale la pena ricordare, assieme ai due autori appena menzionati, che a tutela dei diritti ereditari della prole le leggi di Atene contemplavano anche un’azione contro l’ozio (ajrgiva).

470 Assieme al padre e al figlio, in realtà, è esclusa dalla votazione anche la madre. Forse Platone la ritiene

troppo coinvolta emotivamente per poter valutare con giudizio la situazione.

471 Lg. XI, 929 b1-c3: prw'ton de; sullexavtw tou;" auJtou' suggenei'" mevcri ajneyiw'n kai; tou;" tou'

uJevo" wJsauvtw" tou;" pro;" mhtrov", kathgoreivtw de; ejn touvtoi", didavskwn wJ" a[xio" a{pasin ejk tou' gevnou" ejkkekhru'cqai, dovtw de; kai; tw/' uJei' lovgou" tou;" i[sou" wJ" oujk a[xiov" ejsti touvtwn oujde;n pavscein: kai; eja;n me;n peivqh/ oJ path;r kai; sumyhvfou" lavbh/ pavntwn tw'n suggenw'n uJpe;r h{misu, plh;n patro;" diayhfizomevnou kai; mhtro;" kai; tou' (c) feuvgonto", tw'n te a[llwn oJpovsoiper a]n w\sin gunaikw'n ei[te ajndrw'n tevleioi, tauvth/ me;n kai; kata; tau'ta ejxevstw tw/' patri; to;n uJo;n ajpokhruvttein, a[llw" de; mhdamw'".

132 A livello procedurale, la proclamazione pubblica è l’unica caratteristica che l’apokeryxis platonica condivide per certo con quella storica472

. Delle formalità di questa seconda, invero, non conosciamo pressoché nulla473. Non c’è modo di sapere se, nell’Atene contemporanea a Platone, il ripudio fosse un atto unilaterale, o se invece richiedesse la convalida di un qualche organo giudicante, né se questo eventuale organo riconoscesse al figlio la possibilità di far valere le proprie ragioni in prima persona474; dobbiamo dunque, in un primo momento, ragionare solo sul testo delle Leggi.

La logica della normativa platonica pare, in sé, abbastanza comprensibile. Comprensibile è, innanzitutto, che la semplice volontà del padre non sia condizione sufficiente dell’espulsione del figlio dall’oikos. A Magnesia, a causa del divieto di aggiungere una nuova casa alle 5.040 istituite al momento della fondazione, la perdita del diritto di successione impone l’abbandono della polis da parte del ripudiato475

, cosa che non accadeva nelle città storiche (Lg. XI, 928 e6-929 a3). È inaccettabile, dunque, che un provvedimento dalle conseguenze così gravi dipenda dall’arbitrio di un singolo; viceversa, è doveroso verificare che il risentimento che spinge il padre ad allontanare da sé il figlio sia fondato476. Occorre allora chiedersi perché questo compito sia affidato ai

472 Un’altra menzione degli araldi si trova nel riferimento ad un ipotetico ripudio paterno da parte di

Admeto in Eur., Alc. 736-37 (eij d’ ajpeipei'n crh'n me khruvkwn u{po / th;n sh;n patrwvian eJstivan, ajpei'pon a[n, “se, in conseguenza dovessi rinunciare al focolare paterno, vi rinuncerei”; per questa traduzione, si veda Cobetto-Ghiggia 2001). Il nome degli araldi è contenuto, ovviamente, nel sostantivo ajpokhvruxi" (attestato, a dire il vero, solo nel greco d’età imperiale) e nel verbo ajpokhruvttein, che non designa solo l’annuncio del disconoscimento da parte dei kerykes (e, in senso lato, il ripudiare del padre stesso) , ma anche altre pubbliche proclamazioni, specialmente di vendita e messa all’incanto (Albertoni 1923, p. 40 n. 3). In Lg. XI, il disconoscimento compiuto dal padre / subito dal figlio è designato anche dal verbo ajpei'pon (928 d8: ajpeipei'n; 929 a4: ajporrhqh'nai), che ricorre in questa accezione anche in Hdt. I, 59 e Arist., EN VIII, 1163 b18-19. Lo stesso verbo è usato dal Codice di Gortina a proposito della revoca dell’adozione (CG XI, 11-12: ajpoÛeipavqqo kat’ajgora;n).

473 Tutte le nostre fonti (peraltro non molto ricche, e nella maggior parte di epoca postclassica, come

mostra la rassegna di Albertoni 1923, pp. 28-33) parlano del provvedimento senza descrivere le modalità della sua attuazione.

474 Harrison 1968, pp. 80-81 della tr. it. (Alessandria 2001). L’esistenza di una forma di controllo

preventivo sulla fondatezza della volontà paterna di ripudiare il figlio pare plausibile ad Albertoni 1923, p. 45, Piccirilli 1982, pp. 353-54, Cobetto-Ghiggia 1997, pp. 59-60; quest’ultimo ipoteticamente individua nella fratria e nel genos gli organi deputati al giudizio delle istanze di apokeryxis, e ritiene che al figlio fosse dato modo di difendersi.

475 Per il ripudiato, l’unico modo per evitare l’esilio consiste nel trovare qualcuno disposto ad adottarlo:

un’opzione che Platone incoraggia, dichiarando apertamente la sua fiducia nella possibilità che il (cattivo) carattere del giovane possa mutare (Lg. XI, 929 c3-6: to;n d’ ajpokhrucqevnta ejavn ti" tw'n politw'n uJo;n bouvlhtai qevsqai, mhdei;" novmo" ajpeirgevtw poiei'sqai - ta; ga;r tw'n nevwn h[qh polla;" metabola;" ejn tw/' bivw/ metabavllein eJkavstote pevfuken - ).

476 Lg. XI, 929 a6-7: Platone individua nello thymos del padre la molla del desiderio di ripudio,

specificando che questo stato d’animo può essere giustificato come no (…qumo;"…, ei[t’ ou\n ejn divkh/ ei[te kai; mhv, o}n e[tekev te kai; ejxeqrevyato, tou'ton ejpiqumei'n ajpallavxai th'" auJtou' suggeneiva"). Il risentimento paterno sarà fondato solo se motivato dall’indegnità di comportamento del figlio. La cattiva condotta filiale è individuata da più di una fonte postclassica come presupposto dell’apokeryxis (Piccirilli 1982, p. 347; Cobetto-Ghiggia 2001, p. 54), e pare in gioco anche nel ripudio di Temistocle (Plut., Them. 2, 7), l’unico caso di applicazione dell’apokeryxis a noi noto (la cui storicità è

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syngeneis dei contendenti piuttosto che alle autorità della polis. Il fatto è,

probabilmente, che la città si interessa, più che agli individui, agli oikoi e ai kleroi. Ora, l’apokeryxis non intacca l’oikos in quanto unità patrimoniale-relazionale costitutiva della polis: a differenza dell’oikophtorein di un padre sconsiderato, infatti, non lede l’integrità del kleros; e nemmeno minaccia la continuità della casa, dal momento che il

geomoros, una volta espulso il figlio biologico, può procurarsi un successore tramite

adozione477. Sennonché, l’oikos è anche (e prima di tutto) una comunità di sangue e culto, concreta e singolare; ed è a questo livello che l’espulsione del figlio assume tutto il suo peso. A differenza dell’exheredatio del diritto romano, in Grecia l’abolizione delle prerogative ereditarie del figlio è inscindibile dal disconoscimento478: procede obbligatoriamente dalla rescissione del legame di parentela con il padre. Ma questo legame travalica la coppia padre-figlio, perché, attraverso il padre, il figlio è congiunto ai syngeneis del genitore stesso; un’eventuale apokeryxis riguarderebbe anche loro (cfr.

Lg. XI, 929 a7-8: ajpallavxai th'" auJtou' (scil. tou' patrov") suggeneiva"), ed è per

questo che Platone chiama loro a giudicare.

È molto probabile che il dibattimento interno alla famiglia, così come descritto in Lg. XI, sia un’invenzione platonica. È un’invenzione, del resto, anche l’analogo istituto previsto dal filosofo in sede di diritto penale, dove al consesso dei syngeneis maschi e femmine fino al grado degli anepsion paides spetta giudicare il ferimento fra due

homogonoi (Lg. IX, 878 d6-e2). Ma queste invenzioni non sono del tutto prive di

rapporti con la realtà. Il sentimento, in esse implicito, di una solidarietà familiare non limitata alla famiglia nucleare è un dato storico, per quanto ormai isolato in età classica. Ad Atene, ancora nel quarto secolo, il perseguimento dell’omicida è impresa collettiva – ed esclusiva - degli ankhisteis della vittima; più o meno gli stessi parenti Platone chiama a giudicare le istanze di apokeryxis479. Il diritto-dovere dei syngeneis in materia di

però dubbia; cfr. Piccirilli cit.). Dionigi di Alicarnasso, invece, afferma in modo più generico che gli antichi legislatori greci (Solone, Pittaco, Caronda) introdussero il ripudio come punizione per i figli

disobbedienti (D.H. II 26, 3: timwriva" kata; tw'n paivdwn…eja;n ajpeiqw'si toi'" patravsin).

477 Anche se, in pratica, l’espulsione del figlio biologico comporta un ineliminabile rischio di estinzione

dell’oikos. Non può essere certo al cento per cento, infatti, che il geomoros trovi qualcuno da adottare per sostituire il figlio ripudiato.

478 La differenza fra exheredatio e apokeryxis è sottolineata da Piccirilli 1982, p. 345 (cfr. già Albertoni

1923, pp. 48-51).

479A essere precisi, il limite dell’ankhisteia ateniese è fissato al grado dei figli degli anepsioi di Ego.

Platone, che in altri luoghi delle Leggi ripropone fedelmente questo dato (ad esempio, quando parla del tribunale familiare chiamato a giudicare i ferimenti fra homogonoi), in materia di apokeryxis non procede oltre gli anepsioi, per ragioni che restano imperscrutabili.

134 repressione dell’omicidio serba, in seno alla polis, le vestigia di un ordine sociale prepolitico, fondato sulla famiglia, testimoniato dai poemi omerici.

È significativo che, nello stesso Omero, un famoso episodio di contrasto fra padre e figlio (Il. IX 447 ss.) veda l’intervento di familiari non appartenenti alla famiglia nucleare. Fenice, dopo essere stato maledetto dal padre Amintore per avergli sedotto la concubina (vv. 448-57)480, desidera fuggire481, e invece si trova costretto a palazzo da una moltitudine di e[tai e di ajneyioiv482. Né al padre né al figlio è lecito recidere di testa propria il legame che li unisce: Amintore ha maledetto il figlio, ma non l’ha