2.3. Maritare le figlie
2.3.1. b La dote
Come abbiamo anticipato, il diritto-dovere paterno di dare la figlia in matrimonio si accompagna, nelle Leggi, all’obbligo tassativo di non fornirle alcuna dote. La separazione di engye e proix sconvolge la fisionomia del matrimonio ateniese d’età classica. È vero che, a differenza dell’engye, la dote non era un requisito legale dell’unione legittima. Dotare una donna non era, a rigor di termini, obbligatorio387
; le orazioni non mancano di testimoniare casi di donne maritate senza dote (a[proikoi), come ad esempio la madre e del cliente di Lisia, nell’orazione Sui beni di Aristofane. Tuttavia, almeno negli strati medio-alti della società ateniese, la norma era che l’engye fosse accompagnata dalla costituzione di una dote; la presenza o l’assenza della proix valevano solitamente come indizio – e indizio assai forte - in base al quale decidere se un matrimonio aveva avuto luogo oppure no388. Maritare una donna senza fornirle una
384
Gernet 1938, p. 395 e 1983c, p. 200.
385 Il termine, che in età classica risulta d’uso esclusivamente poetico, è tipico della più antica legislazione
ateniese: compare infatti a indicare la moglie legittima, distinguendola dalla pallake, anche nella legge di Draconte sull’omicidio (Gernet 1938, pp. 393-96).
386 Gernet 1917c, pp. 280-82 (cfr. Vérilhac - Vial 1998, pp. 249-50). L’uso del fidanzamento ha lasciato
una traccia in area dorica: a Creta, secondo la testimonianza di Eforo (FGrHist 70 F 149, 20), i giovani di una classe d’età si sposavano tutti nello stesso momento, ma cominciavano a convivere con le spose solo dopo un certo periodo, durante il quale le mogli continuano ad abitare con i propri genitori (cfr. Lupi 2000, pp. 81-83).
387 L’unico caso in cui la legge, ad Atene, imponeva la costituzione di una dote era quello dell’epikleros
appartenente alla classe dei teti: nel caso in cui il parente prossimo non avesse voluto sposarla, era obbligato a dotarla (Harrison 1968, p. 48 della tr. it. (Alessandria 2001); Schaps 1979, p. 35; Todd 1993, p. 215 e 227). Nemmeno a Gortina il dono nuziale è obbligatorio. Il padre può scegliere di liquidare una parte o l’intero della quota ereditaria della figlia quando la marita, ma non è tenuto a farlo (CG IV, 48- 51).
388
108 dote era ritenuto disdicevole389, tanto che persino chi si trovava in difficoltà economiche intendeva evitare questa situazione390, pure a costo di accettare sacrifici e rischi. Del resto, una donna sprovvista di dote era oggettivamente esposta al rischio di restare ajnevkdotoı, cioè di non trovare marito391
. Alcuni usi linguistici dimostrano quanto fosse radicata nel pensiero sociale la percezione che una sposa dovesse essere fornita di proix: il verbo ejkdivdwmi, termine tecnico della dazione della donna, usato in modo assoluto indica la costituzione della dote392. Le orazioni civili usano spesso una sorta di brachilogia, che tradotta alla lettera suona come “dare (in sposa) una donna e x di
dote”, e che dunque esprime con forza il sentimento di uno stretto legame fra dazione
della donna e dazione della proix393.
Questo legame, Platone lo infrange radicalmente, in nome dell’interesse della polis: l’abolizione della dote, infatti, fa parte della strategia con cui le Leggi combattono le disuguaglianze sociali ed economiche, e la stasis che di queste diseguaglianze è inevitabile conseguenza. Nel proemio alle leggi nuziali, l’Ateniese denuncia con forza l’esistenza di una marcata tendenza omogamica: un’inclinazione naturale vuole che ciascuno cerchi il partner che gli è più simile, per carattere e per condizione economica, col risultato che l’intera città diviene “squilibrata per ricchezze e costumi” (Lg. VI,773 b6-c1: c1: fevretai dev pw" pa'" ajei; kata; fuvsin pro;" to;n oJmoiovtaton auJtw'/, o{qen ajnwvmalo" hJ povli" o{lh givgnetai crhvmasivn te kai; trovpwn h[qesin). Ora, proprio la dote è ciò che fa sì che, nel matrimonio, le persone ricerchino l’“uguaglianza
di nozze insaziabile di ricchezze” (773 d7-e2: th'" tw'n gavmwn ijsovthto" ajplhvstou
crhmavtwn); viceversa, l’abolizione della proix rende improbabile che, a Magnesia, i
389 Non a caso, nell’orazione di Lisia Sui beni di Aristofane, lo stesso uomo che aveva sposato una donna
oujde;n ejpiferomevnhn, preferisce maritare le due figlie fornendo loro la dote, “nonostante alcuni uomini
assai facoltosi volessero sposarle anche senza dote” (Lys. XIX, 15: ejqelovntwn tinw'n labei'n
ajproivkou" pavnu plousivwn).
390
Cf. Lys. XVI, 10: Mantiteo afferma con orgoglio: “pur avendo rivevuto in eredità un patrimonio
esiguo…ho maritato due mie sorelle dando a ciascuna una dote di trenta mine” (oujsiva" moi ouj pollh'"
kataleifqeivsh"… duvo me;n ajdelfa;" ejxevdwka ejpidou;" triavkonta mna'" eJkatevra).
391
Cfr. [Dem.] LIX, 8: Teomnesto afferma che, se Stefano fosse riuscito a far condannare Apollodoro, quest’ultimo, ridotto sul lastrico, avrebbe avuto, oltre tutto,anche il cruccio di una figlia zitella, perché nessuno avrebbe mai voluto prendersi la figlia a[proikon di un pubblico debitore.
392 Gernet 1917, p. 278. Si veda e.g. [Dem.] LIX, 69-70 : Stefano chiede a Epeneto di “contribuire alla
costituzione della dote per la figlia di Neera” (eij" e[kdosin…th/' th'" Neaivra" qugatri; sumbalevsqai),
dicendo, fra le altre cose, “che aveva perso la dote e non era in grado di procurargliene un’altra” ( o{ti ajpolwlekw;" ei[h th;n proi'ka, kai; oujk a]n duvnaito pavlin aujth;n ejkdou'nai).
393 Gernet 1983c, p. 203. In Dem. XLI, 3, il cliente dell’oratore afferma che il suocero, padre di due figlie,
th;n me;n presbutevran…divdwsin kai; tettaravkonta mna'" proi'ka; per un altro esempio, cfr. Men.,
Sam., 726-27. L’espressione non condensata prevede (ejk)didovnai con la donna per oggetto accompagnato da ejpididovnai con la dote per oggetto (e.g. [Dem.] XL, 59: ejkdovnto" de; aujth;n tou' patro;" Kleomevdonti tw/' Klevwno" uiJei', kai; proi'ka tavlanton ejpidovnto"…).
109 cittadini più poveri non riescano a prender moglie, o a maritare le proprie figlie394. Quanto conosciamo delle dinamiche matrimoniali nell’Atene d’età classica mostra che la diagnosi di Platone è sostanzialmente corretta: gli uomini abbienti sposavano di solito donne provviste di ricche doti395. A proposito di una dote modesta, un cliente di Iseo afferma che “una dote siffatta non avrebbe potuto essere data a un uomo con un
patrimonio considerevole” (Isae. XI, 40: …tosauvth de; proi;x oujk a]n eij" pollhvn
tina oujsivan doqeivh). Nel Dyskolos di Menandro, Gorgia esita di fronte alla possibilità di sposare la fanciulla di cui è innamorato, perché lei viene da una famiglia ricca, e lui, essendo assai meno benestante, ritiene sconveniente che uno che di suo possiede poco, riceva molto, assieme alla sposa (Dysk., 834: labei'n de; polla; mivkr’ e[cont’ oujk a[xion).
La tendenza omogamica dei matrimoni ateniesi si spiega in base al particolare regime di proprietà della proix. Per tutta la durata del matrimonio, non sussisteva alcuna separazione fra i beni del marito e quelli della moglie396. Ciò significa che la dote era completamente in mano al marito; mentre alla donna la legge non riconosceva il diritto
394 Lg. VI, 774 c4-5: …i[sa ajnti; i[swn ejsti;n to; mhvte lambavnonti mhvt’ ejkdidovnti dia; crhmavtwn
ajporivan ghravskein tou;" pevnhta". Assieme a Des Places e a Schöpsdau, traduco intendendo la negazione riferita non solo ai participi ma anche all’infinito ghravskein; nel tradurre i[sa ajnti; i[swn ejsti;n seguito da infinitiva soggettiva negativa come “è improbabile che…” (lett. “è del pari possibile
che non…”) seguo England, approvato da Des Places e Schöpsdau. Sono d’accordo con gli autori
menzionati nell’intendere i participi lambavnonti e ejkdidovnti concordati, dal punto di vista del significato, con l’accusativo tou;" pevnhta", soggetto di ghravskein nell’infinitiva soggettiva. Come spiega Schöpsdau ad loc., il fatto che i participi siano al dativo potrebbe ricondursi all’influsso esercitato dal nesso dia; crhmavtwn ajporivan (“Geldmangel „für“ den, der eine Frau nimmt”); oppure bisognerebbe aggiungere mentalmente (“hinzudenken”) nell’infinitiva i due accusativi lambavnonta e ejkdidovnta, supponendo “ein besonders harter Fall von Brachylogie”. Il testo è evidentemente problematico; se si vuole mantenerlo, la traduzione proposta mi sembra l’unica che dia un senso accettabile. L’alternativa è intervenire; per altre proposte, oltre a quelle ricordate nel commento di Schöpsdau, si vedano l’edizione Loeb, e la nota ad loc. di Brisson e Pradeau nella recente traduzione francese delle Leggi.
395 Si tratta di una tendenza, non di una sorta di regola fissa del comportamento sociale. C’erano – e
hanno lasciato traccia nelle fonti - anche matrimoni non omogamici; fra questi, secondo Wilgaux 2010, pp. 355-57, i più frequenti erano quelli in cui il partner ‘inferiore’ era l’uomo. Nel caso opposto, l’assenza o la scarsa rilevanza della proix erano spesso compensate dal prestigio della famiglia della sposa. In Lys. XIX, un uomo ricco, “pur essendogli possibile prendere in moglie qualsiasi altra donna
che gli avrebbe portato molte ricchezze” (14: paro;n meta; pollw'n crhmavtwn gh'mai a[llhn), preferì
una donna sprovvista di dote, in quanto figlia di uno che “non soltanto aveva reputazione di uomo
onesto” (ibid.: o}" ouj movnon ijdiva/ crhsto;" ejdovkei ei\nai), ma aveva anche ricoperto la carica di
stratego nella guerra del Peloponneso (15). Anche in Isocr., Aegin., troviamo un uomo che, “essendo il
primo dei cittadini per ricchezza” (7: plouvtw/ me;n…prw'to" w]n tw'n politw'n), sceglie la propria sposa
in una famiglia che sa “eminente per stirpe e per gli altri pregi” (ibid.: gevnei de; kai; toi'" a[lloi" ajxiwvmasin eijdw;" th;n…oijkivan proevcousan), piuttosto che per ricchezza; la contrapposizione creata dalle particelle men/de lascia intendere che la famiglia della sposa era nobile e molto stimata, ma meno ricca di quella dello sposo.
396 Si veda, in Dem. XXX, 10, la significativa espressione katamei'xai th;n proi'k’ eijı th;n oujsivan
110 di gestire patrimoni397, un uomo poteva disporre della proix della moglie a suo piacimento. Ed è certo che gli Ateniesi sfruttassero a pieno questa libertà; non a caso, le nostre fonti ci danno notizia di uomini che hanno completamente dilapidato le doti delle loro mogli398. Tuttavia, la libertà di disposizione dei mariti non era assoluta, ma trovava un limite nell’obbligo di restituire la proix in caso di divorzio: la donna, sia che fosse stata ripudiata, sia che avesse deciso di abbandonare il tetto coniugale, doveva tornare alla casa paterna accompagnata dagli stessi beni assieme ai quali l’aveva lasciata al momento delle nozze.
Questa reversibilità potenziale contribuisce a dare alla dote ateniese la sua fisionomia specifica di somma pecuniaria, fisionomia che le Leggi presuppongono allorché menzionano l’abolizione della dote nell’elenco dei provvedimenti volti a limitare il possesso e la circolazione della moneta nella città, accostandola alla proibizione di depositare denaro e erogare prestiti ad interesse (Lg. V, 742 c2-5)399. Le doti consistevano per lo più in numerario; quando erano composte di beni d’altro tipo, questi beni erano oggetto di una stima400, che pare pare essere stata l’unica formalità richiesta per la costituzione della dote401. Nelle orazioni civili capita di trovare spose accompagnate da beni (generalmente vesti, gioielli, suppellettili) che vengono distinti dalla proix402; e Platone stesso, mentre abolisce la proix, concede che le spose ricevano
397 Alle donne, come ai minori, era proibito contrattare più dell’equivalente di un medimno d’orzo ( Isae.
X, 10: oJ ga;r novmoı diarrhvdhn kwluvei paidi; mh; ejxei'nai sumbavllein mhde; gunaiki; pevra medivmnou kriqw'n).
398
In Lys. XIX, 32, il cognato di Aristofane afferma che lui e i suoi non solo non possiedono nulla dei beni di questi, ma, anzi, sono in credito della dote della sorella (ejnofeivlesqai de; th;n proi'ka th'" ajdelfh'"). In Isae. VIII, 8-9, il cliente dell’oratore ricorda che, dopo la morte del primo marito di sua madre, il padre di lei riaccolse la figlia a casa, e non recuperò la dote che le aveva fornito, a causa del cattivo stato in cui versavano gli affari del genero (komisavmeno" aujth;n kai; th;n proi'ka oujk ajpolabw;n o{shn e[dwke dia; th;n Nausimevnou" ajporivan tw'n pragmavtwn).
399 Il divieto di dare e ricevere doti è accostato alla proibizione di fare depositi di denaro e prestiti ad
interesse (742 c3-5).
400
In Dem. XLV, 28, Pasione, nella sua diatheke, fornisce in dote alla moglie Archippe, oltre a due talenti (tavlanton me;n to; ejk Peparhvqou, tavlanton de; to; aujtovqen), anche “uno stabile in affitto del valore
di cento mine” (sunoikivan eJkato;n mnw'n). In Isae. V, 26, Diceogene, dando in sposa una parente, “a titolo di dote le cede lo stabile in affitto che possedeva al Ceramico” (ajnti; de; th'" proiko;" th;n
<sun>oikivan aujtw/' th;n ejn Kerameikw/' parevdwke). Si noti che le doti non comprendono mai case di abitazione: queste, assieme alla terra, sono riservate dal padre ai suoi figli maschi (Leduc 1990, p. 292).
401 Harrison 1968, p. 52 della tr. it. (Alessandria 2001); ad Atene non esisteva l’obbligo di registrazione
dei beni dati a titolo di dote, obbligo attestato, invece, in altre parti del mondo greco, come Tenos (nel III sec. a.C.), e, Mykonos.
402 Un bell’esempio è Isae. II, 9, dove Menecle, combinando un secondo matrimonio alla giovane moglie,
fornisce la dote al marito (thvn te proi'ka ejpidivdwsin), mentre “dona a lei le vesti con le quali era
giunta da lui e i gioielli che possedeva” (kai; ta; iJmavtia, a} h\lqen e[cousa par’ ejkei'non, kai; ta;
111 dalle loro famiglie un corredo di abiti (Lg. VI, 774 d2-6)403. Tutto ciò implica che proix fosse una nozione ben definita, e definita, per l’appunto, in base al parametro della stima monetaria404.
Fra reversibilità e valutazione vige un nesso sostanziale: il senso della stima era proprio quello di quantificare la somma che doveva essere restituita in caso di scioglimento del matrimonio. Iseo afferma chiaramente che “se uno non effettua la
stima di una parte della dote, per legge non gli è possibile, qualora la donna si separi dal marito o questi ripudi la moglie, recuperare ciò che aveva dato senza comprenderlo nella stima della dote” (Isae. III, 35-36: …ejavn tiv" ti ajtivmhton dw/', e{neka tou'
novmou, eja;n ajpolivph/ hJ gunh; to;n a[ndra h] eja;n oJ ajnh;r ejkpevmyh/ th;n gunai'ka, oujk e[xesti pravxasqai tw/' dovnti o} mh; ejn proiki; timhvsa" e[dwken). È bene precisare che l’obbligo di restituzione valeva non solo in caso di divorzio, ma anche in caso di morte del marito; ogni volta che la donna, divorziata o vedova, tornava alla casa del padre, la sua dote doveva tornare assieme a lei405. Solo se ella moriva lasciando dei figli maschi, la proix restava nell’oikos del marito, destinata a essere ereditata dai figli406.
Ora, proprio l’obbligo della restituzione della dote è il fattore che incoraggia l’omogamia economica. Ripagare la proix avrebbe potuto essere difficile, qualora il patrimonio del marito non fosse stato commisurato con la dote della moglie. Maritare una donna provvista di una ricca proix a un uomo meno abbiente comportava dunque, per il padre, la possibilità, poco desiderabile, di perdere i beni della dote. Dal punto di
403
Egli, però, proibisce ai padri di spendere oltre una certa somma ejsqh'to" cavrin, somma graduata a seconda della classe censitaria (cinquanta dracme, una mina, una mina e mezzo, due mine). Questa limitazione riecheggia lo spirito della legge soloniana tramandata in Plut., Sol. 20, 6 che limitava l’entità dei corredi (ta;" fernav") delle spose a tre mantelli, e a suppellettili di scarso valore (Gernet 1938, pp. 396-98; Lape 2002-03, p. 133).
404 A questa nozione ben definita corrisponde un termine altamente specifico come proivx. La lingua
letteraria attica di età classica conosce anche un altro vocabolo, fernhv (il cui significato etimologico è “apporto”), che ricorre quasi esclusivamente in tragedia, e solo tre volte in prosa, ma a proposito di un evento mitico in Aesch. II, 31, e di matrimoni non greci in Hdt. I, 93 e Xen., Cyr. VIII 5, 19. Secondo Gernet 1938, pp. 396-98, proivx è parola più recente di fernhv, che designava i doni fatti alle spose nobili dai loro genitori in un’epoca precedente l’avvento della dote pecuniaria.
405
Vérilhac - Vial 1998, p. 176; Cox 1998, 119; Todd 1993, p. 216; Leduc 1990, p. 289; Sealey 1990, p. 26; Foxhall 1989, p. 38; Just 1989, pp. 73-74; Dimakis 1979; Schaps 1979, p. 11 e 75; Harrison 1968, pp. 57-58 della tr. it. (Alessandria 2001). La restituzione della dote era sentita come qualcosa di tanto necessario da richiedere sua tutela determinate procedure, come la dike proikos e la dike sitou. Entrambe le azioni erano intentate all’ex-marito inadempiente dal rappresentante della famiglia della donna; la prima azione serviva a costringerlo alla restituzione, la seconda a imporgli il pagamento di un interesse del 18% sul valore del capitale della dote fino a quando questo non fosse stato totalmente rifuso.
406 Se la vedova sceglieva di rimanere nell’oikos del marito, i figli, al raggiungimento della maggiore età,
divenivano kyrioi della sua persona e della sua proix. Tuttavia, non l’avrebbero ereditata fino a quando la madre fosse stata in vita (Gernet 1983c, pp. 207-08).
112 vista di un uomo non troppo benestante, invece, una dote consistente poteva sembrare, a prima vista, un affare. Tuttavia, le effettive possibilità di arricchimento che la proix offriva comportavano come contropartita ingenti rischi. Se gli investimenti di un marito non fossero andati a buon fine e la sua situazione economica fosse degenerata, un eventuale divorzio avrebbe evidentemente inferto il colpo di grazia: l’obbligo di restituire la dote, infatti, avrebbe aggravato la sua situazione, in maniera direttamente proporzionale all’entità della somma ricevuta. Per evitare questo pericolo, non c’era altra scelta se non usare un’estrema cautela nel servirsi della dote della moglie; ma allora, se il marito non era libero di impiegarla a suo piacimento, i vantaggi che la proix pareva promettere erano in realtà più contenuti. In questo modo, il meccanismo della restituzione della dote faceva sì che doti cospicue confluissero generalmente in patrimoni considerevoli, producendo quella concentrazione di ricchezze nelle mani di pochi che Platone ritiene sommamente nociva per la comunità.
Individuando nella dote un potente fattore di squilibrio economico e sociale, il filosofo coglie con acutezza un dato reale: nel circuito matrimoniale della polis, uniformato dalla definizione di una sola modalità matrimoniale uguale per tutti, la proix costituiva effettivamente un fattore di differenziazione. Se dunque, in base ai suoi presupposti filosofico-politici, Platone poteva ammettere l’istituto del matrimonio legittimo ateniese, nella misura in cui questo configurava “un regime comunitario ed egualitario”407
di scambio delle donne, questi stessi presupposti lo rendevano ostile alla
proix. Platone non è stato l’unico a comprendere la portata economica e sociale della
dote, e a ritenerla una questione di interesse politico; ma le sue misure in proposito sono di un radicalismo unico. Sappiamo da Aristotele che Falea di Calcedone aveva proposto di servirsi della dote per livellare i patrimoni dei cittadini: a tal fine, sarebbe bastato che i ricchi dessero la dote alle loro figlie senza riceverla a loro volta, e i poveri non la dessero, ma la ricevessero soltanto (Arist., Pol. II, 1266 b3-4: tw/' ta;" proi'ka" tou;" me;n plousivou" didovnai me;n lambavnein de; mhv, tou;" de; pevnhta" mh; didovnai me;n lambavnein dev)408
. Proprio come Platone, Falea considera la disparità economica fra i cittadini un problema che urge risolvere; come Platone, Falea sa che le doti mettono in movimento la ricchezza all’interno della città. Ma le conclusioni dell’uno e
407
Gernet 1954, p. 299 della tr. it. (Milano 1983).
408 Per la precisione, tramite le doti Falea intende livellare la proprietà terriera. Egli presuppone l’uso di
fornire in dote delle terre, uso che non era ateniese quanto piuttosto dorico (Bertelli 1982, p. 531; Vattuone 1980, pp. 150-54; cfr. infra, 3.2.1, p. 167). L’intero progetto politico di Falea, del resto, è percorso da una certa ispirazione laconica.
113 dell’altro sono agli antipodi: a Falea la dote appare, naturalmente a patto di alcuni aggiustamenti, uno strumento utile per appianare i dislivelli economici, mentre Platone sembra non vedervi altro che un fattore di squilibrio. Egli non si pone neanche il problema di correggere, o di ridimensionare l’istituto della proix; l’unica opzione è abolirlo, come se fosse inaccettabile per principio409.
La spiegazione dell’estremismo platonico non risiede nella volontà di preservare l’integrità del patrimonio familiare in vista della sua devoluzione all’erede unico. A favore dei figli in sovrannumero costretti a espatriare, infatti, un padre può legittimamente intaccare l’eredità del kleronomos designato: la legge lo autorizza a donare agli emigranti quanto vuole dell’eccedenza del lotto (Lg. XI, 923 d1-6). Perché figlia che esce dalla famiglia per andare sposa in un altro oikos di Magnesia non dovrebbe aver diritto allo stesso trattamento? Il fatto è che, mentre la liquidazione elargita ai suoi fratelli finisce assieme a loro in colonia, una sua eventuale dote passerebbe da una casa cittadina a un’altra, quando invece Platone concepisce gli oikoi come sistemi economici chiusi. La proix è, per definizione, ricchezza che circola entro la città; in quanto tale, è irrimediabilmente inconciliabile con un ideale politico che mira a estirpare dall’esistenza umana la dimensione economica.
Il regime matrimoniale ateniese era contraddistinto da un’elevata circolazione di donne e di ricchezze, circolazione che trovava il suo perno nel carattere di reversibilità potenziale proprio della proix. Indagando la dinamica dell’omogamia, abbiamo visto emergere una stretta correlazione fra dote e scioglimento del matrimonio, in particolare