1.5. L’oikos a Magnesia
2.2.4. La facoltà di provvedere agli orfan
Il potere del geomoros di decidere la propria successione possiede un ultimo aspetto, su cui è necessario soffermarsi. Ogni cittadino può nominare i tutori incaricati di prendersi cura dei suoi figli, qualora questi dovessero rimanere orfani320 prima di aver raggiunto la maggiore età (Lg. XI, 924 a6-b3)321. La scelta è totalmente libera; al
geomoros è richiesto solo di assicurarsi che gli ejpivtropoi322 designati siano “propensi e
d’accordo a esercitare la tutela”. Ancora una volta, Platone riflette la prassi ateniese: le
orazioni civili ci testimoniano più di un caso in cui i padri di figli minorenni lasciano nelle loro diathekai disposizioni sulla tutela323.
La tutela era una questione molto delicata. I tutori assumevano la potestà che era stata del capofamiglia, divenendo kyrioi del suo oikos: investititi della responsabilità delle persone e dei beni della casa, dovevano provvedere a tutte le necessità dei figli del defunto, e gestire il suo patrimonio nel modo migliore, per poi consegnarlo ai legittimi eredi al raggiungimento della maggiore età324. Il rischio era che i tutori approfittassero della loro kyrieia per ledere i diritti dei pupilli; il caso più celebre di malversazione è quello di cui furono vittima Demostene e a sua sorella, testimoniatoci dai discorsi che l’oratore compose, una volta divenuto maggiorenne, per attaccare i tutori in sede processuale (Dem. XXVII e XXVIII). Casi simili non dovevano essere troppo rari, data la notevole quantità di “discorsi sulla tutela” (lovgoi ejpitropikoiv) che figurano nel
corpus delle orazioni civili325. Del resto, Platone stesso riconosce espressamente che “la condizione di orfano” sotto tutela non differisce molto da quella di un figlio soggetto
alla potestà paterna, se non per il fatto che “non è solita eguagliarsi affatto per onori,
per disonori e per cure”326.
320 È opportuno notare che il termine greco ojrfanov" significa “orfano di padre”, senza implicare
necessariamente la perdita anche della madre (Cudjoe 2010, p. 6).
321 Lg. XI, 924 a6-b3: w/| d’ a]n ejpitrovpwn oiJ pai'de" devwntai, eja;n me;n diaqevmeno" teleuta/' kai;
gravya" ejpitrovpou" toi'" paisi;n eJkovnta" te kai; oJmologou'nta" ejpitropeuvsein ouJstinasou'n kai; oJpovsou" a]n ejqevlh/, kata; tau'ta ta; grafevnta hJ tw'n ejpitrovpwn ai{resi" gignevsqw kuriva:
322 Sul lessico ateniese della tutela, si veda Cudjoe 2010, pp. 203-04.
323 Dem. XVIII, 14-16 (la diatheke del padre di Demostene, che nomina tutori due suoi nipoti - uno figlio
di suo fratello, l’altro figlio di sua sorella -, e un amico); Dem. XXXVI, 8 (la diatheke di Pasione, che assegna la tutela del figlio al suo liberto Formione). In Lys. XXXII, 5 Diodoto affida i suoi figli al fratello Diogitone inter vivos, ma esprime questa sua volontà anche in una diatheke, che consegna allo stesso fratello.
324 Per un quadro dettagliato delle responsabilità e dei doveri dei tutori, rimando a Harrison 1968, pp. 103-
20 della tr. it. (Alessandria 2001); Cudjoe 2010, pp. 202-13 (cura delle persone degli orfani) e 219-46 (amministrazione del patrimonio degli orfani).
325 Si veda l’elenco fornito da Harrison 1968, n. 1 p. 101-02 della tr. it. (Alessandria 2001).
326 Lg. XI, 927 e5-7: … ouj polu; diafevron hJ par’ hJmi'n ojrfaniva kevkthtai th'" patronomikh'",
93 La preoccupazione per le sorti degli orfani ispira al filosofo un lungo e intenso proemio (Lg. XI, 926 e9-927 c7), che insiste sulla sacralità dei fanciulli rimasti senza padre327 per persuadere i tutori ad amarli e proteggerli non meno dei propri figli (cfr. 928 a3-b1). E si traduce nella riproposizione delle leggi ateniesi che conferiscono all’orfano il diritto di intentare una causa sulla tutela (divkh ejpitropiva")328
, ai parenti dell’orfano e a tutti i cittadini quello di denunciare il tutore che sembri trascurare o maltrattare l’orfano329
. Per di più, Platone incarica i quindici nomophylakes più anziani di vegliare costantemente sugli orfani e sui loro tutori (926 e5-9)330: un compito che riecheggia quello dell’arconte eponimo ateniese, chiamato a prendersi cura degli orfani, per evitare che siano vittime di oltraggi 331.
Qualora un padre muoia senza aver lasciato disposizioni sulla tutela, le Leggi prevedono che siano tutori “i parenti più vicini da parte di padre e di madre con piena
autorità, due da parte di padre, due da parte di madre, e uno tra gli amici del morto”
(XI, 924 b4-6: ejpitrovpou" ei\nai tou;" ejgguvtata gevnei pro;" patro;" kai; mhtro;" kurivou", duvo me;n pro;" patrov", duvo de; pro;" mhtrov", e{na d’ ejk tw'n tou' teleuthvsanto" fivlwn). Anche ad Atene, la cura degli orfani e del loro oikos era
327 Gli orfani sono “il più grande e sacro deposito” (927 c3-4: parakataqhvkhn…megivsthn hJgouvmenoi
kai; iJerwtavthn). Il sostantivo parakataqhvkh, che designa comunemente il bene che si affida in custodia a qualcuno, è utilizzato in riferimento al pupillo anche in Dem. XXVIII, 15, dove Demostene padre affida i figli ai tutori parakataqhvkhn ejponomavzwn (cfr. Hdt. II, 156: Latona riceve da Iside Apollo come parakataqhvkhn, e provvede ad allevarlo). Tanto sono preziosi gli orfani, che il loro benessere sta a cuore non solo ai loro padri defunti (927 a1-3 e b 2-4) ma anche agli dèi superi (927 b1-2) e a tutti gli anziani della città, che “ascoltano e guardano acutamente” (ojxu; me;n ajkouvousin blevpousivn te ojxu) al trattamento riservato ai fanciulli rimasti senza padre (927 b5-c3)
328 Lg. XI, 928 c2-5. Platone ricalca le leggi ateniesi con tanta precisione, da specificare che l’orfano ha la
possibilità di intentare il processo entro cinque anni a partire dalla fine della tutela (928 c3-4: mevcri pevnte ejtw'n ejxhkouvsh" th'" ejpitroph'"), termine temporale testimoniatoci da Dem. XXXVIII, 17 (Harrison 1968, pp. 125-127 della tr. it. (Alessandria 2001); Cudjoe 2010, pp. 270-71).
329 Lg. XI, 928 b6-c2. Il fatto che Platone prescriva per il tutore una pena pecuniaria, equivalente al
quadruplo del danno di cui egli è stato riconosciuto colpevole, suggerisce che tale danno riguardi i beni dell’orfano, piuttosto che la sua persona. Il fatto che metà della multa vada a chi ha denunciato il tutore ha un parallelo in quanto accadeva, ad Atene, in caso di favsi" ojrfanikou' oi[kou, procedura che riguardava eventuali illeciti commessi dal tutore nella locazione dei beni del pupillo (ben distinta dalla procedura prevista per reati d’altro tipo contro l’orfano; cfr. Harrison 1968, pp. 120-24 della tr. it. (Alessandria 2001). Platone, però, non prevede esplicitamente la possibilità che i beni dell’orfano siano dati in affitto, mentre ad Atene la misthosis oikou era abbastanza frequente (Harrison cit., pp. 110-13; Cudjoe 2010, pp. 219-46): talvolta, erano i testatori stessi a prescrivere ai tutori di dare in locazione il patrimonio (come in Dem. XXVII, 40-41 e XXVIII, 15), mentre altre volte la decisione era presa dai tutori, se impossibilitati a gestire in prima persona i beni dell’orfano (cfr. Lys. XXII, 5).
330 Anche i custodi delle leggi devono considerare gli orfani come figli propri, e cercare di essere per loro
sostituti dei padri naturali, non inferiori a quelli (926 e6: ajnti; gennhtovrwn patevra" ouj ceivrou"). A 928 c6-d4 apprendiamo che, se uno dei nomophylakes arreca danno all’orfano a lui affidato “per
trascuratezza” (ajmeleiva/) o “per ingiustizia” (ajdikiva), viene severamente punito: nel primo caso dovrà
pagare un risarcimento al fanciullo, nel secondo sarà addirittura rimosso dalla sua carica.
331 [Dem.] XLIII, 75: oJ a[rcwn ejpimeleivsqw tw'n ojrfanw'n…. Touvtwn ejpimeleivsqw kai; mh; ejavtw
94 concepita come un dovere dei familiari: nelle orazioni civili, gli epitropoi sono quasi sempre dei parenti332. La diatheke del padre di Demostene mostra che, quando era il padre a nominare i tutori, la sua scelta poteva cadere anche su un suo amico, non legato da vincoli di parentela. In caso di tutela ab intestato, però, la responsabilità ricadeva in modo pressoché automatico sui familiari. Nelle Leggi, i custodi delle leggi “istituiscono” (924 b7: kaqistavntwn) i tutori in base a un ordine fisso, che segue la prossimità al defunto. Quanto al tutore esterno, l’amico del padre, la messa in carica da parte dei nomophylakes presuppone forse che uno dei philoi si sia fatto avanti spontaneamente, o sia stato indicato dai parenti stessi.
Per quanto riguarda Atene, non sappiamo con precisione in che modo la tutela venisse assegnata. Secondo Harrison, gli aspiranti tutori avrebbero dovuto inoltrare istanza all’arconte, come per la rivendicazione di un’eredità, e questi avrebbe poi provveduto ad affidare la tutela ai parenti più prossimi333. Tuttavia, si tratta di una mera ipotesi; i testi non forniscono informazioni sufficienti per capire quale fosse la procedura, e che ruolo avesse in essa l’arconte. Il parallelo con l’adozione postuma induce piuttosto a credere che l’assegnazione della tutela fosse invece il frutto di accordi intrafamiliari; l’arconte si sarebbe limitato a vegliare a che gli orfani ricevessero un tutore, e a prendere atto delle decisioni dei parenti334. È probabile che, di fatto, la scelta cadesse quasi automaticamente sui parenti più prossimi; le regole rigide di assegnazione fissate da Platone potrebbero dunque limitarsi a istituzionalizzare una tendenza consuetudinaria, cristallizzandola in legge.
Nel caso in cui muoia uno dei tutori, le Leggi affidano il compito di nominarne un altro ai parenti per parte di padre e di madre fino ai figli dei cugini residenti nel territorio di Magnesia335. Nessun accenno è fatto a un eventuale ruolo dei
nomohpylakes, e nemmeno viene prescritto l’ordine fisso di assegnazione basato sulla
prossimità. Gli ankhisteis sembrano dunque agire, oltre che collegialmente, anche con una certa indipendenza. Questo passo costituisce forse un indizio a favore dell’ipotesi
332 Cudjoe 2010, pp. 172-181. 333
Harrison 1968, pp. 104-05 della tr. it. (Alessandria 2001).
334
Cudjoe 2010, p. 169.
335 Lg. VI, 766 c5-7: kai; eja;n ojrfanw'n ejpivtropo" teleuthvsh/ ti", oiJ proshvkonte" kai;
ejpidhmou'nte" pro;" patro;" kai; mhtro;" mevcri ajneyiw'n paivdwn a[llon kaqistavntwn. Il verbo
kathistemi è il medesimo usato per designare l’azione dei nomophylakes in occasione dell’istituzione dei
primi tutori. In Lg. VI, Platone precisa che l’eventuale sostituzione dell’epitropos defunto deve avvenire tassativamente “entro dieci giorni” (766 d1: ejnto;" devka hJmerw'n); l’inadempienza sarà punita con una multa di una dracma al giorno, fino a quando non daranno ai fanciulli un nuovo tutore (766 d1-2: zhmiouvsqwn e{kasto" dracmh/' th'" hJmevra", mevcriper a]n toi'" paisi;n katasthvswsi to;n ejpivtropon).
95 secondo cui ad Atene, in assenza di prescrizioni da parte del padre degli orfani, i parenti avrebbero deciso con una certa autonomia a chi conferire la tutela. Le Leggi riservano alla situazione di emergenza costituita dalla morte di uno dei primi tutori quella che probabilmente era la prassi consueta quando il padre non aveva lasciato indicazioni sulla tutela dei figli.
La pari importanza riconosciuta da Platone alla parentela paterna e a quella materna nella normativa sulla tutela appare conforme al quadro che ricaviamo dalle orazioni civili, dove figurano come tutori collaterali appartenenti da entrambi i rami336. Tuttavia, generalmente la tutela appare esercitata o da parenti paterni o da parenti materni; Platone, invece, prevede che essi siano co-tutori. Un’analoga disposizione è attribuita da Diodoro Siculo (XII, 15) a Caronda, legislatore di Catania: questi avrebbe assegnato l’amministrazione dei beni dell’orfano agli ankhisteis paterni, e l’allevamento dell’orfano stesso a quelli materni. Secondo la spiegazione di Diodoro, questa divisione dei compiti rappresentava un’efficiente garanzia dei diritti del pupillo337
. Non era da escludere che i parenti per parte di padre, essendo i primi nella lista degli aventi diritto alla successione in assenza di discendenza diretta, avessero a cuore il patrimonio più che l’orfano. Avendo il fanciullo in custodia, pertanto, avrebbero potuto tramare contro di lui per far valere i propri diritti; d’altro canto, quelle stesse aspettative ereditarie li avrebbero condotti a gestire nel modo più efficiente i suoi beni. Dai parenti materni, i cui interessi patrimoniali erano decisamente meno forti, era invece possibile attendersi una maggior cura per la persona dell’orfano; erano loro, pertanto, i candidati a fornire al fanciullo la migliore trophe. Si può ipotizzare che simili considerazioni motivino, almeno in parte, la politica platonica della co-tutela, sebbene le Leggi non distinguano le mansioni degli ankhisteis da parte di padre da quelle degli ankhisteis da parte di madre. La presenza, fra i tutori, dell’amico del padre, (presumibilmente) legato al defunto da un sentimento disinteressato, costituisce un’ulteriore garanzia contro gli eventuali interessi dei parenti338.
336
Mi limito qui a fare qualche esempio: in Isae. IX e XI e Lys. XXXII, il tutore è il fratello germano del padre degli orfani (in Lys. XXXII, questi è anche nonno degli orfani, in quanto padre della loro madre); in Isae. I, il tutore è il fratello della madre degli orfani.
337 Sulle leggi di Caronda sulla tutela, si veda Cudjoe 2010, p. 172. L’esercizio congiunto della tutela da
parte dei parenti paterni e materni si ritrova nella normativa gortinia sull’epiclerato, nel caso particolare in cui manchino parenti titolati a sposare l’orfana (CG XII, 9-17): finché la fanciulla non raggiunge l’età adatta al matrimonio (il cui limite minimo è fissato a dodici anni in CG XII, 17-19), viene allevata presso la madre, mentre un parente da parte di padre e uno da parte di madre si occupano dell’amministrazione dei suoi beni (Maffi 1997b, pp. 104-05; Karabélias 2004, pp. 23-25).
338
96 Abbiamo visto che l’assegnazione della tutela (anche) a una persona priva di vincoli di parentela è un tratto tipico delle disposizioni testamentarie. È notevole che Platone lo riproponga nella normativa sulla tutela ab intestato, assumendo, per così dire, il punto di vista dei padri ateniesi: è nell’interesse dell’orfano, e dell’oikos di cui è destinato a diventare titolare, che la tutela non sia una questione esclusivamente familiare. Del resto, quando è il padre a decidere a chi affidare i suoi figli, l’epitropia potrebbe addirittura non coinvolgere assolutamente i parenti. Platone, infatti, assegna al
geomoros il diritto di decidere in totale autonomia il numero e l’identità dei tutori;
poiché gli è lecito nominarne “quali e quanti voglia” (XI, 924 b1: ouJstinasou'n kai; oJpovsou" a]n ejqevlh/), egli, in teoria, potrebbe scegliere solo persone esterne alla cerchia dell’ankhisteia e addirittura a quella della syngeneia.
Ritroviamo dunque, in materia di tutela, la stessa dinamica che abbiamo riscontrato a proposito della successione: se il titolare del kleros non lascia disposizioni, gli
ankhisteis hanno di necessità dei diritti (e dei doveri) rispetto ai beni e alle persone del
suo oikos. Ma se il geomoros provvede per proprio conto alla tutela dei suoi figli, la sua volontà è sovrana: Platone lo autorizza a non tener conto delle prerogative dei parenti, e non dà modo ai parenti di contestare le sue decisioni. Qualunque sia la scelta che il capofamiglia consegna alla sua diatheke, essa è “valida secondo queste disposizioni
scritte” (XI, 924 b2-3: kata; tau'ta ta; grafevnta hJ tw'n ejpitrovpwn ai{resi"
gignevsqw kuriva).