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L’obbligo dell’erede unico

1.5. L’oikos a Magnesia

2.2.1. L’obbligo dell’erede unico

Una volta generati dei figli, al diritto del padre di ammetterli nella propria casa fa seguito il diritto/dovere di decidere quale dei figli è destinato a rimanervi, come suo successore, e di stabilire la destinazione di quanti devono esserne allontanati. Richiamiamo brevemente le coordinate fondamentali del regime successorio di Magnesia, definite una prima volta in Lg. V (740 b6-c6) e ribadite in Lg. XI, nella sezione dedicata alla diatheke, l’atto d’ultima volontà (923 c4-924 a6). L’imperativo dell’indivisibilità del kleros comporta che il geomoros si procuri un unico successore maschio: se ha più di un figlio, deve sceglierne uno, quello che voglia, come erede; se non ha un figlio maschio, lo deve adottare. Tutti i figli maschi in sovrannumero devono essere dati in adozione a concittadini sprovvisti di successori, perché acquisiscano diritti ereditari presso un altro oikos. Le figlie femmine, che non possono succedere al padre nella titolarità del kleros240, devono essere maritate. Se i figli esclusi dalla successione paterna non possono essere accolti da altre case cittadine, devono abbandonare Magnesia, e recarsi in una colonia (Lg. V, 740 e1-8; cfr. XI, 923 d2-3).

L’obbligo dell’erede unico rappresenta una significativa deviazione rispetto al regime successorio delle poleis greche, che prevede per lo più l’equa ripartizione dell’eredità paterna fra i figli maschi241

. Questa prassi è attestata con sicurezza già a partire dall’età arcaica, come indica, per la Beozia, la testimonianza di Esiodo242

. Ed è presupposta anche dal passo omerico della ‘menzogna cretese’ di Odisseo, dove i figli di Castore Ilacide, dopo la morte del padre, si dividono i suoi beni tramite sorteggio (Od. XIV 208-10)243. In età classica, la spartizione ereditaria è la norma ad Atene e a

240 È bene precisare che l’impossibilità di divenire titolari di un oikos non significa che le figlie femmine

siano totalmente sprovviste di diritti sull’eredità paterna, a Magnesia come ad Atene: questi diritti sono estremamente rilevanti nel caso della figlia senza fratelli, come vedremo nella sezione 3.

241 Lane-Fox 1985, pp. 211-12. È rimasta piuttosto isolata, in quanto ritenuta non sufficientemente

fondata, la proposta di Asheri 1963 di identificare nella regola dell’unico erede una caratteristica costante dei regimi moderati (sia aristocratici sia democratici) d’età arcaica (pp. 5-6 e 20-21; cfr. Maffi 1997a, pp. 348-49)

242 Il contenzioso con il fratello Perse, di cui abbiamo notizia in Op. 37-39, verte proprio sulla spartizione

dell’eredità paterna. Nello stesso poema, Esiodo consiglia l’opzione del figlio unico (mounogenh;" …pavi") come quella che potrà accrescere la ricchezza dell’oikos, destinata al frazionamento nel caso in cui i figli siano più d’uno (Op. 376-77).

243 Pepe 2007, pp. 43-44 segnala un caso mitico di spartizione nella divisione del mondo fra i Cronidi, in

Il. XIV 188-93; il fatto che Poseidone rivendichi di essere oJmovtimo" rispetto a Zeus (v. 186) è

70 Gortina244, dunque tanto in area attica quanto in area dorica. Una straordinaria eccezione all’uso predominante potrebbe essere costituita da Sparta: secondo la testimonianza di Plutarco (Lyc. 8, 3-4; cfr. Agis 5, 2), Licurgo divise la terra civica in 9.000245 lotti eguali, e impose di non frazionarli, di modo che ogni Spartiata avrebbe avuto un unico successore. Come questi venisse scelto, peraltro, non è molto chiaro: nella Vita di

Agide, Plutarco parla di trasmissione del kleros di padre in figlio, senza specificare se il

figlio titolato alla successione fosse per forza il primogenito, oppure se venisse scelto dal padre, come avviene nelle Leggi246.

Ad ogni modo, la legislazione licurghea costituirebbe il precedente e il modello del regime di proprietà e successione messo a punto da Platone. L’ipotesi è molto seducente; ma la cautela è d’obbligo, poiché l’attendibilità del resoconto plutarcheo non può essere data per scontata. Nessun autore d’età classica testimonia per Sparta l’assetto descritto dal biografo di Cheronea247; al contrario, Aristotele individua fra le caratteristiche negative della politeia spartana l’esistenza di una forte sperequazione nella distribuzione della proprietà terriera (Pol. II, 1270a 15-16). Un filone

244 Per Atene, si veda la chiara formulazione di Isae. VI, 25: tou' novmou keleuvonto" a{panta" tou;"

gnhsivou" ijsomoivrou" ei\nai tw'n patrw/vwn (su cui cfr. Harrison 1968, p. 137 della tr. it. (Alessandria 2001); Todd 1993, p. 219; Maffi 2005, p. 256). Per Gortina, si veda CG col. IV, 39-4. Va detto che, nel Codice, la spartizione non pare riguardare tutti i beni di famiglia, di cui alcuni rimangono, presumibilmente, in comproprietà; per un’analisi del testo e dei problemi interpretativi che esso pone rimando a Maffi 1997b, pp. 65-70 (sulla classificazione delle ricchezze a Gortina, cfr. anche Leduc 1990, pp. 272-74).

245

Questa è la cifra ritenuta più plausibile da Plutarco, che però ne fornisce anche altre (Lyc. 8).

246 La questione, a dire il vero, è ancora più complicata. Un passo della Vita di Licurgo è parso a molti

studiosi suggerire un regime successorio diverso da quello appena delineato, caratterizzato dall’esautorazione della famiglia (esautorazione più o meno radicale a seconda delle interpretazioni, per la cui rassegna rimando a Hodkinson 1986, pp. 379-80 e 2000, pp. 66-8). Il passo in questione (Lyc. 16) è quello in cui Plutarco afferma che la decisione di allevare i neonati, a Sparta, non spettava ai loro padri ma agli anziani delle tribù, e aggiunge che costoro, quando sceglievano di accogliere il bimbo, “gli

assegnavano uno dei novemila lotti di terra” (klh'ron aujtw/' tw'n ejnakiscilivwn prosneivmante"). In

base a queste parole, molti studiosi hanno sostenuto che a Sparta i kleroi non venissero trasmessi di padre in figlio, ma fossero continuamente redistribuiti dalle autorità. Altri hanno ipotizzato che non tutti i lotti fossero controllati dallo stato, ma solo una riserva di essi, da destinarsi ai figli degli Spartiati esclusi dalla successione. Tutte queste interpretazioni, come è evidente, ricavano molto dal molto poco; l’evidenza testuale è scarna e certo non inequivoca, tant’è che ammette un’esegesi del tutto diversa dalle precedenti, come quella di Maffi 2001. Lo studioso sostiene che la presentazione del bambino alla tribù servisse a “legittimare l’aspettativa del neonato a subentrare al titolare del fondo, cioè al padre, alla morte di quest’ultimo” (p. 59); anzi che indicare l’assenza della titolarità individuale dei beni, dunque, l’azione della tribù implicherebbe l’esatto contrario. Un’opinione simile era già stata sostenuta da MacDowell 1986, p. 94 e Lupi 2000, pp. 143-44 (il quale però, a differenza di Maffi, ritiene che gli Spartiati potessero ereditare il kleros prima della morte del padre).

247 Hodkinson 1986, p. 381 e 2000, p. 69 (cfr. pp. 19-26). Va detto che in Lg. III, 684 d4-5 Platone

attribuisce ai Dori l’istituzione di “una certa uguaglianza di beni” (ijsovthta…tina th'" oujsiva"), per quanto riguarda la proprietà terriera, ma in riferimento all’epoca remota della conquista del Peloponneso e della fondazione delle tre monarchie confederate di Sparta, Argo e Messene, rette dai figli di Eracle (685 d4). Licurgo e la sua creazione della gerousia (691 e1-692 a3) vengono in un tempo successivo (cfr. 691 e1-2: meta; tou'to).

71 interpretativo spiega la discordanza sostenendo che Aristotele si riferisce alla Sparta del IV secolo, che avrebbe ripudiato l’ordinamento licurgheo in seguito alla rhetra dell’eforo Epitadeo248

. Costui, a noi noto sempre attraverso Plutarco, avrebbe introdotto, in un momento imprecisato nei primi decenni del IV secolo249, la facoltà di disporre del

kleros a proprio piacimento250, facoltà che avrebbe aperto la strada alla concentrazione della terra nelle mani di pochi. Un’altra corrente di studi nega la possibilità di individuare specificazioni temporali nella descrizione aristotelica della costituzione spartana251; e solleva forti dubbi sulla storicità delle notizie plutarchee relative all’organizzazione di Licurgo e alla rhetra di Epitadeo. Questa seconda tendenza interpretativa è stata alla ribalta negli ultimi anni, grazie agli importanti lavori di Stephen Hodkinson252. Attraverso una serrata confutazione della veridicità dell’organizzazione egualitaria di Licurgo e della sua decadenza ad opera della rhetra di Epitadeo253, lo studioso arriva a sostenere che Sparta abbia praticato fin dall’età arcaica la spartizione ereditaria, come le altre poleis greche, con modalità molto simili a quelle in uso a Gortina. La questione è evidentemente complessa, e il dibattito in merito è probabilmente destinato a restare aperto254; è dunque opportuno sospendere

248 Per un elenco dei fautori di questa opinione, cfr. Hodkinson 2000, p. 109 n. 44, cui occorre aggiungere

Avramovic 2005.

249 Le datazioni proposte dagli studiosi oscillano fra la metà del primo decennio del IV secolo e il 371

a.C.; la proposta di datare la rhetra a prima della fine della guerra del Peloponneso (MacDowell 1986) è apparsa implausibile (Hodkinson 2000, p. 108 n. 35).

250

Plut., Agis 5, 3-4: Epitadeo legiferò che fosse possibile a ciascun cittadino “donare in vita e lasciare

con con atto d’ultima volontà la propria casa e il proprio fondo a chiunque volesse” (ejxei'nai to;n oi\kon

auJtou' kai; to;n klh'ron w/| ti" ejqevloi kai; zw'nta dou'nai kai; katalipei'n diatiqevmenon). Sarebbe Epitadeo l’anonimo legislatore che Aristotele, in Pol. II, 1270 a 19-21, censura per aver proibito di comprare e vendere la terra, ammettendo però la facoltà di farne l’oggetto di donazioni e lasciti (didovnai…kai; kataleivpein ejxousivan).

251 Aristotele starebbe esponendo quelle che ritiene caratteristiche congenite della politeia lacedemone;

l’anonimo fautore della facoltà di cessione della terra non sarebbe dunque Epitadeo, ma il legislatore spartano per antonomasia, cioé Licurgo (Hodkinson 1986, pp. 389-91 e 2000, pp. 91-93; Todd 2005, pp. 191-92). Ammettendo che fosse questo il modo di vedere di Aristotele, esso presenta qualche difficoltà: la comparazione con le altre poleis greche, specialmente Atene e Gortina, induce a ritenere poco probabile che una legislazione d’età arcaica abbia conferito agli individui una assoluta libertà di donare in vita e lasciare post mortem (didonai e katalipein) la propria terra (Maffi 2001, p. 64).

252 Hodkinson 1986, 1989 e 2000, pp. 65-112.

253 Entrambe sarebbero invenzioni d’età ellenistica, sorte nel tardo terzo secolo nell’entourage del re

spartano Agide IV per propagandare la sua proposta di redistribuzione delle terre (Hodkinson 1986, p. 383 e 2000, pp. 69-70 e 93-94).

254 È necessario ricordare anche la posizione di quanti sostengono che a Sparta ci fossero due diversi tipi

di terra (si veda la rassegna di Hodkinson 2000, p. 68). Da un lato i possedimenti più antichi di Sparta, ripartiti in lotti uguali, non cedibili e non frazionabili: sarebbe questo la “porzione antica” (arkhaia

moira) inalienabile menzionata da due fonti ellenistiche, identificata da taluni studiosi con la politike khora divisa in parti uguali di Pol. VI 45, 3. Dall’altro lato, la terra acquisita nell’era post-licurghea, non

sottoposta all’ordinamento deciso dal legislatore. L’esistenza di queste due tipologie renderebbe possibile giustificare le sperequazioni nella proprietà terriera denunciata da Aristotele, senza dover negare la storicità dell’ordinamento attribuito a Licurgo da Plutarco. Tuttavia, la suddetta interpretazione

72 prudentemente il giudizio a proposito dell’eventuale ispirazione spartana del sistema platonico dei kleroi255.

Il kleros non frazionabile di Magnesia non trova dunque precedenti certi nei regimi di proprietà ordinari delle poleis storiche; l’indivisibilità della successione è, semmai, una caratteristica della regalità (caratteristica che, nella storia e nelle leggende, finisce non di rado per causare dispute fra i figli del sovrano256). Tuttavia, anche rispetto al modello regale, la prassi successoria platonica ha un tratto peculiare: mentre l’erede al trono è, generalmente, il primogenito257, nelle Leggi l’erede è scelto dal padre, a sua completa discrezione. Platone, infatti, prescrive che il padre, in assoluta libertà, nomini suo successore il figlio “che a lui sia soprattutto caro” (Lg. V, 740 b8: o}n a]n aujtw/' mavlista h/\ fivlon), quello “che stimi degno essere suo erede” (XI, 923 c5-6: klhronovmon o}n a]n ajxiwvsh/ givgnesqai). Assistiamo dunque a un’intenzionale accentuazione della potestà paterna; la normativa relativa alla successione si apre su queste note, e, come stiamo per vedere, nel seguito non le abbandona.