2.4. Il rapporto fra il padre e il suo successore
2.4.4. Il padre-sovrano
La ricostruzione dei rapporti fra il padre e il figlio adulto restituisce un quadro che sembra composto di frammenti sconnessi. La parità di diritto fra il padre e il figlio maggiorenne si perde in una disparità di fatto. L’immagine della famiglia nucleare, enfatizzata dalla prescrizione rivolta al figlio di andare a synoikein con la sposa in una casa diversa da quella dei genitori525, sfuma in quella di un gruppo più ampio, comprendente più generazioni. Un gruppo dall’organizzazione patriarcale e gerontocratica, dove, in presenza di più individui maschi adulti, il comando spetta al più anziano.
Gli elementi contrastanti rimandano a contesti sociali diversi. Il profilo giuridico del giovane maggiorenne di Magnesia corrisponde sostanzialmente a quello del maggiorenne ateniese. Ma dall’orizzonte ateniese allontana l’impossibilità di tradurre
522 Lg. XI, 932 a7-b2: un figlio deve essere denunciato alle autorità per noncuranza “quando non indulga
in tutto e non soddisfi i desideri (scil. dei genitori) in modo superiore a quelli dei figli, di tutti i suoi discendenti e di se stesso” (ejavn…mh; tw'n uJevwn kai; pavntwn tw'n ejkgovnwn auJtou' kai; eJautou'
meizovnw" eij" a{panta ejpitrevpwn kai; ajpoplhrw'n h/\ ta;" boulhvsei").
523 Il figlio deve “ritenere che ogni cosa che ha acquistato e possiede appartiene a coloro che lo hanno
generato e nutrito perché la metta con tutto il suo impegno al loro servizio a partire dalla ricchezza e poi dai beni del corpo e da quelli dell’anima” (Lg. IV, 717 b8-c3: nomivzein…, a} kevkthtai kai; e[cei,
pavnta ei\nai tw'n gennhsavntwn kai; qreyamevnwn pro;" to; parevcein aujta; eij" uJphresivan ejkeivnoi" kata; duvnamin pa'san, ajrcovmenon ajpo; th'" oujsiva", deuvtera ta; tou' swvmato", trivta ta; th'" yuch'").
524 Lg. XI, 919 d6-e2: mhdei;"… mhvte diakonivan mhd’ h{ntina kekthmevno" ijdiwvtai" toi'" mh; ejx
i[sou eJautw/', plh;n patri; kai; mhtri; kai; toi'" e[ti touvtwn eij" to; a[nw gevnesin kai; pa'si toi'" auJtou' presbutevroi", o{soi ejleuvqeroi ejleuqevrw".
525
147 l’autonomia di diritto in una reale indipendenza economica, impossibilità determinata dalla proibizione di attività economiche diverse dall’agricoltura congiunta all’indivisibilità del kleros. Il divieto dell’artigianato e del commercio (e del possesso di metalli preziosi) rimanda piuttosto a Sparta; e da Sparta protrebbe provenire anche l’istituzionalizzazione del prolungamento di uno stato di minorità sociale fino ai trent’anni. Sennonché, con l’ordinamento laconico la persistente soggezione del discendente all’ascendente non si concilia troppo bene. Questo dato ha un’altra provenienza, ed è Platone stesso a suggerirla: l’immagine di una famiglia ampia, formata da più generazioni sottomesse all’autorità dell’avo più anziano, richiama il regime primitivo della dynasteia, che il filosofo descrive in Lg. III, avvalendosi della testimonianza di Omero526. La corrispondenza con il ritratto della famiglia “preistorica” comprende anche il particolare del numero delle generazioni che coabitano. Alludendo ai progonoi viventi del cittadino, infatti, Platone menziona specificamente gli ascendenti di secondo grado: e proprio tre generazioni sono in gioco nelle dynasteiai (Lg. III, 681 b2 ss.), dove i gennetores imprimono le loro inclinazioni “sui figli e sui
figli dei figli” (b5-6: eij" tou;" pai'da"…kai; paivdwn pai'da").
Nelle incoerenze nel disegno dei rapporti fra i padri e i figli di Magnesia, si può leggere, dunque, il confliggere di assetti sociali appartenenti non solo a luoghi diversi, ma anche a diversi tempi. Conflitto segnato da un’irresistibile tendenza al recupero del passato, come se Platone percorresse a ritroso il corso della storia umana schizzato in
Lg. III. L’itinerario delineato, almeno in parte, non è mera fantasia. Abbiamo visto a suo
tempo come la descrizione del passaggio dalla società su base familiare alla società politica cogliesse elementi di verità storica. Lo stesso si può ipotizzare a proposito delle dinamiche dell’autorità maschile all’interno della famiglia. Nella ricostruzione di Marcello Lupi, il sistema licurgheo, con l’applicazione del criterio generazionale alla successione del figlio al padre e l’introduzione di forme di controllo delle nascite, avrebbe sostituito un regime di formazioni familiari estese, in cui solo la morte poteva scalzare l’avo più anziano dalla sua posizione di supremazia527
. Il cambiamento, collocato dallo studioso all’incirca alla metà del VI secolo, avrebbe inteso arginare il rischio di uno squilibrio fra le risorse e la popolazione e la conseguente destabilizzazione sociale. A partire dall’inizio della fase di esplosione demografica nel
526 Lg. III, 680 d4-5: Omero è esplicitamente detto “rivelatore” dell’esistenza, in antico, di siffatte
politeiai.
527
148 VIII secolo, Sparta aveva sperimentato l’insorgere di tensioni fra le vecchie e le nuove generazioni. Tali tensioni, cui l’espansione territoriale aveva offerto una valvola di sfogo, una volta esaurite le possibilità di conquista rischiavano di dilaniare nuovamente le famiglie e la società tutta; da qui la necessità di definire un ordine delle generazioni che impedisse il conflitto fra padri e figli528. Non a caso, nella vicenda mitica che più di ogni altra esprime la necessità di un giusto calcolo dell’età generativa, quella di Edipo, è proprio il parricidio la conseguenza della procreazione precoce529.
Come ha mostrato di recente Carla Maria Lucci, lo scenario del delitto familiare, più o meno larvato, ricorre puntualmente, in corrispondenza del tema della crisi dinastica, nell’epica, in diverse metanarrazioni che raccontano storie di tempi anteriori rispetto al presente dei protagonisti dell’Iliade e dell’Odissea530
. Nelle metanarrazioni, la studiosa riscontra un quadro di civiltà caratterizzato da “formazioni di parentela allargata, organizzate secondo criteri genealogici”531
, sensibilmente diverso da quello attestato dalla narrazione principale; un quadro che, attraverso il confronto delle testimonianze letterarie e di quelle storiche e archeologiche, ella ritiene databile addirittura alle prime Età Oscure della Grecia532. Il modello della dynasteia - famiglie estese, sottomesse al potere autocratico dell’avo più anziano -, che Platone attribuisce al passato remoto, può essere effettivamente appartenuto al passato della Grecia. L’attrazione esercitata sul filosofo da questo modello si accompagna alla memoria delle tensioni da cui esso era
528
Si noti che, quando Aristotele si cimenta a sua volta nella definizione dell’età più adatta alla
paidopoiia, considera, assieme a questioni fisico-biologiche, anche problematiche socio-economiche,
segnatamente la successione dei figli ai padri (Pol. VII, 1334 b38-39: th;n tw'n tevknwn diadochvn). La differenza d’età fra padre e figlio non dev’essere troppo esigua (1335 a1-4), perché altrimenti si corre il rischio che i figli trattino i padri come coetanei, e poi perché “nell’amministrazione dell’oikos la
vicinanza d’età produce contrasti” (peri; th;n oijkonomivan ejgklhmatiko;n to; pavreggu"). Per
Aristotele, comunque, uno scarto generazionale minimo di trent’anni fra padre e figlio non è sufficiente: per l’uomo l’età minima per il matrimonio è spostata a trentasette anni, di modo che i figli raggiungano il fiore dell’età quando i vecchi si spengono, sui settant’anni (1335 a29-35).
529 Lupi 2000, pp. 189-91. Sulle tensioni dinastiche fra padre e figlio come nucleo centrale del mito di
Edipo, cfr. Bremmer 1987a, specialmente le pp. 49-53. Su Edipo come figlio nato troppo presto (della cui illegittimità è simbolo il difetto di locomozione implicito nel nome Edipo, “piede-gonfio” e di quello della stirpe dei Labdacidi, che allude alla zoppia), si vedano Vernant 1981; Pellizzer 1983.
530 Ricordiamo, nel filone iliadico delle reminiscenze giovanili degli anziani, gli attriti fra i figli Nestore,
Priamo e Fenice e i rispettivi padri Neleo, Laomedonte, e Amintore (Lucci 2011, pp. 52-54). Il caso di Fenice e Amintore è il più eclatante: c’è un riferimento esplicito al parricidio, sebbene il crimine non sia commesso, ma soltanto pensato (è cioè oggetto di una censura, su cui cfr. Lucci cit., pp. 54-55). Nel filone odissiaco della storia familiare di Odisseo, troviamo invece traccia di tensioni dinastiche fra Laerte e Autolico (Lucci cit., pp. 132-33 e 138). La successione violenta del figlio al padre è poi una caratteristica importante del “tempo degli dèi” (Lucci cit, pp. 99-118), più precisamente del tempo che precede il definitivo instaurarsi di un nuovo ordine cosmico per opera di Zeus.
531 Cito da Lucci 2011, p. 55. A proposito della conflittualità interna a questo tipo di comunità, causa
della sua implosione e dell’avvento di nuove forme di organizzazione sociale, si vedano specialmente le pp. 138-40.
532
149 percorso; così si spiega, forse, l’ossessione delle Leggi per il delitto familiare. Il diritto penale di Magnesia, nel nono libro533, manifesta, assieme alla propensione a punire i reati contro i parenti più severamente di quelli contro concittadini qualunque534, una marcata tendenza ad assegnare ai crimini commessi dai figli a danno dei genitori le pene in assoluto più dure535. La somma sacralità del (pro)genitore e l’abominio della violenza del figlio a danno di chi l’ha generato, è vero, delle costanti della morale dei Greci. Ma la straordinaria enfasi di Platone su questi punti536 tradisce come una sotterranea ansietà537, che non pare infondato mettere in relazione con l’accentuazione del potere dell’avo: un’accentuazione che inevitabilmente rischiava di essere avvertita dalle giovani generazioni come oppressiva, scatenando, al limite, le reazioni violente di cui la leggenda serbava memoria.
A un orizzonte arcaico rimanda anche la peculiare fisionomia del predominio dei
goneis, quale emerge nel proemio alla legge contro la noncuranza filiale, non a caso
intessuto di reminiscenze poetiche e leggendarie. Il brano (Lg. XI, 930 e3-932 a4) si apre affermando la qualità religiosa del rapporto fra genitori e figli. Già in Lg. IV,
533 Per affrontare le questioni generali e specifiche sollevate dal codice penale di Magnesia, sono
imprescindibili gli studi (di diversa impostazione) di Gernet 1917b e Saunders 1991a.
534 Sui reati contro i parenti, si vedano Cosenza 1987, Saunders 1991b, p. 126 ss.. Per ogni omicidio
premeditato e commesso di propria mano (Lg. IX, 871 a2 ss.), la pena è la morte; ma, se fra criminale e
vittima non intercorrono rapporti di parentela, l’omicida può sfuggire alla morte scegliendo l’esilio perpetuo (871 d6-7); in caso di omicidio di un parente, questa possibilità non è concessa. Inoltre, se la vittima è un concittadino qualunque l’omicida ha diritto alla sepoltura, anche se non in patria (871 d4-5; cfr. 872 a5-6, dove la sepoltura in patria è concessa all’omicida che non ha agito di propria mano); se la vittima è un parente dell’omicida, invece, il cadavere del criminale viene prima gettato in un trivio fuori città dove subisce una lapidazione simbolica, e poi viene lasciato insepolto ai confini del paese (873 b3- c1). In caso di omicidio commesso in stato d’ira, se la vittima è un fratello o un figlio, non vale l’attenuante dell’assenza di premeditazione contemplata quando non ci sono legami di parentela fra omicida e ucciso (867 c8-d3), dunque l’esilio è sempre di tre anni e non può esser mai ridotto a due (868 c5-869 a2). Il figlio che ha ucciso per ira uno dei genitori però è condannato a morte (869 a2-b1), a meno che la vittima in punto di morte non lo perdoni. Il ferimento con intenzione omicida di un concittadino è punito con l’esilio perpetuo e con il risarcimento del danno apportato (876 e6-b5), quello di un genitore da parte di un figlio e quello fra fratelli con la morte (876 b6-c1).
535 Riguardo all’omicidio commesso in stato d’ira, si veda la nota precedente. In caso di ingiuria reale,
i genitori e i progenitori sono interessati da una protezione rafforzata: il discendente che batta l’ascendente è condannato all’esilio perpetuo (Lg. IX, 881 d3-5), mentre in genere le percosse perseguibili (cioè quelle inferte da una persona più giovane a una più anziana) sono punite solo con un periodo di detenzione (880 b6-c2).
536
Un’enfasi che si manifesta non solo nell’inasprimento delle pene, ma pure (e soprattutto) nei discorsi di condanna che incorniciano la formulazione delle pene per i diversi tipi di della violenza filiale (omicidio per ira: 869 b1-c5; omicidio volontario: 872 d7-873 a4; percosse: 880 e6-881 b2). I proemi alle leggi contro questi reati sono sensibilmente più lunghi e più ‘intensi’ di quelli ad altre leggi. Il filosofo attinge a piene mani al repertorio dei miti escatologici, per prospettare ai figli violenti contro i genitori i trattamenti più terribili. E sottolinea costantemente come la violenza dei discendenti sugli ascendenti suscitino negli dèi olimpî e ctonî un sommo sdegno; questa violenza è rubricabile sotto la specie dell’asebeia, dell’empietà (869 b2-3; cfr. anche 881 d1).
537 Cfr. Maffi 1983, p. 17: la “regolamentazione minuziosa dei rapporti familiari” delle Leggi, “nella
150 Platone aveva collocato le diverse manifestazioni di ossequio filiale nel novero degli atti di culto: gli “onori resi ai genitori in vita” (Lg. IV, 717 b5-6: gonevwn…timai; zwvntwn) rientrano nel “trattare con gli dèi” (716 d6-7: prosomilei'n…toi'" qeoi'"), accanto alle preghiere e ai sacrifici per dèi ed eroi (717 a6-b4). Che i genitori dovessero essere onorati come dèi era un’idea corrente538
; ma in Lg. XI essa riceve uno sviluppo del tutto peculiare. Platone comincia con l’individuare due categorie di dèi, quelli che “onoriamo
vedendoli chiaramente”, ovvero gli astri celesti , e quelli invisibili, il cui culto passa
attraverso la venerazione di statue (ajgavlmata)539. E prosegue assimilando alle statue cultuali i progenitori anziani, che “giacciono nella casa come tesori consunti dalla
vecchiaia” (Lg. XI, 931 a5: ejn oijkiva/ kei'ntai keimhvlioi ajpeirhkovte" ghvra/)540. Sennonché, a differenza dei simulacri degli dèi, i progonoi sono agalmata animati, e pertanto capaci di pregare assieme a chi li onora541. Ciò conferisce loro un surplus di efficacia rituale542: perché le preghiere degli ascendenti trovano presso gli dèi udienza certa, e certa soddisfazione (Lg. XI, 931 c1-2: …safe;" ejphkovou" ei\nai goneu'si pro;" tevkna qeouv"). Le imprecazioni scagliate da Edipo, Amintore e Teseo (Lg. XI,
538 Cfr., e.g. Aesch. I, 28: Solone ha fatto bene a impedire al colpevole di kakosis goneon di parlare in
assemblea, poiché la città non può aspettarsi nulla di buono da un uomo che “si è comportato
deplorevolmente nei confronti di persone che si devono onorare come dèi” (…ou}" ejx i[sou dei' tima'n
toi'" qeoi'", eij" touvtou" ejsti; fau'lo"…); Men., fr. 600 K.-A.: novmo" goneu'sin ijsoqevou" tima;" nevmein.
539 Lg. XI, 930 e7-931 a4: tou;" me;n ga;r tw'n qew'n oJrw'nte" safw'" timw'men, tw'n d’ eijkovna"
ajgavlmata iJdrusavmenoi, ou}" hJmi'n ajgavllousi kaivper ajyuvcou" o[nta", ejkeivnou" hJgouvmeqa tou;" ejmyuvcou" qeou;" pollh;n dia; tau't’ eu[noian kai; cavrin e[cein.
540
I commentatori hanno segnalato in kei'ntai keimhvlioi un’eco omerica, richiamando Il. VI 47 (polla; d’ ejn ajfneiou' patro;" keimhvlia kei'tai). Nell’epica, il possesso di tesori è un ingrediente fondamentale della nozione di potere (Di Donato 2001, pp. 97-98; Marrucci 2007, pp. 56-57, che nota il “rapporto privilegiato” fra la sovranità definibile come anassein e le ricchezze contenute nell’oikos). L’impressione che Platone giochi su un immaginario regale è corroborata da un’osservazione relativa all’impiego del termine agalma. Il passo di Lg. XI potrebbe conservare, entro l’accezione di “statua” (in uso a partire da Erodoto), qualcosa del significato mitico di agalma: oggetto prezioso e dotato di una potenza magica, in rapporto con il campo del sacro, talismano il cui possesso qualifica per la regalità (Gernet 1948, pp. 75-112 della tr. it. (Milano 1983); Gernet 2004, passim). È dai genitori che il figlio riceve la sovranità sull’oikos: la loro rappresentazione come amuleti magici (e amuleti straordinari, in quanto animati) si innesta su questo dato, e lo esalta. Il figlio deve custodire i goneis anziani e ormai debilitati con il riguardo reverenziale dovuti al talismano di regalità, consapevole che il suo effettivo potere sull’oikos dipende da loro: quel potere, egli lo avrà solo se rispetterà il loro potere, compiacendoli in tutto finché vivono.
541 Lg. XI, 931 d9-e3: il simulacro degli avi è una cosa meravigliosa, al di sopra delle statue inanimate
(qaumasto;n…to; progovnwn i{druma…ejstin, diaferovntw" tw'n ajyuvcwn), perché le prime, quando vengono venerate, pregano assieme a chi le venera (e fanno il contrario quando vengono disonorate), mentre le seconde non ne sono capaci (ta; me;n ga;r qerapeuovmena uJf hJmw'n, o{sa e[myuca, suneuvcetai eJkavstote, kai; ajtimazovmena tajnantiva, ta; d’ oujdevtera).
542 Lg. XI, 931 a4-8: chi ha in casa l’ “immagine presso il focolare” (ejfevstion i{druma) dei genitori e /o
dei progenitori deve pensare “che non avrà mai una statua più potente” (mhdei;" dianohqhvtw pote; a[galma auJtw'/…ma'llon kuvrion e[sesqai), purché la tratti come è conveniente e giusto. Il punto è ribadito poco dopo, a 931 e3-6: chi osserva una retta condotta nei confronti dei genitori e dei progenitori, “potrebbe possedere la più efficace di tutte le statue per avere un destino caro alla divinità” (pavntwn pro;" qeofilh' moi'ran kuriwvtata ajgalmavtwn a]n kekth'/to).
151 931 b5-c1) contro i rispettivi figli543 esemplificano la straordinaria potenza delle arai del genitore (931 c2-3: ajrai'o" ga;r goneu;" ejkgovnoi" wJ" oujdei;" e{tero" a[lloi", dikaiovtata); una potenza che i discendenti, per il proprio bene, devono cercare di volgere in positivo544, compiacendo i propri avi (Lg. XI, 931 c3-d3; 931 e8-932 a4).
L’immagine, priva di paralleli, del genitore-agalma animato serba traccia di una credenza cui la Grecia classica appare generalmente estranea, che attribuisce alla statua cultuale delle virtù mistiche545. E orienta da subito il discorso: il fondamento ultimo dell’egemonia dei (pro)genitori è il possesso di un potere magico-sacrale, che si esplica attraverso una comunicazione privilegiata con le divinità. Questo potere, a differenza della potestà giuridica, non ha scadenza; ad esso il figlio non si sottrae nemmeno quando l’ascendente muore, perché dall’Ade egli continua a esercitare la sua influenza, nel bene e nel male546. Dall’analisi del rapporto fra padri e figli in Rsp. VIII/IX e Lg. III era già emersa l’irriducibilità della nozione di arkhe paterna alla patria potestà. Ma lì l’autorità del padre e il suo diritto alla soggezione filiale erano apparsi legati alle sue capacità paideutiche, alle sue virtù etiche, insomma alla sua dignità umana. Questa
543 Nella maledizione del genitore, atto magico volto ad assicurare il rispetto della moralità familiare,
Gernet 1951b, pp. 194-96 ravvisa l’antecedente pregiuridico della graphe goneon kakoseos (cfr. anche Parker 1983, p. 197). Corrispondentemente, l’atimia che in età storica spetta al figlio colpevole di aver maltrattato i genitori deriva dall’espulsione cui era condannato il criminale familiare: atimos, in antico, è colui che può essere ucciso impunemente, e può esserlo proprio perché privato della protezione della famiglia. È significativo che fossero ritenute efficaci soltanto le maledizioni scagliate da persone eminenti, ovvero, in primis, i genitori e i magistrati (Parker cit., p. 192): si noti la corrispondenza fra gli
arkhontes dell’oikos e gli arkhontes della polis.
544 L’ ‘ambivalenza direzionale’ delle preghiere dei genitori si riflette nel lessico. Il sostantivo ajrav e il
verbo ajra'sqai designano di preferenza le maledizioni, ma possono anche essere usati in riferimento a preghiere ispirate da sentimenti benevoli. Viceversa, eujchv e derivati, impiegati il più delle volte nell’accezione di preghiera non ostile, indicano talvolta le maledizioni (Rudhardt 1958, p. 196). Infatti Platone in Lg. XI, 931 c3-d1 utilizza eujchv sia a proposito delle preghiere del padre disonorato dai figli, sia di quelle del padre riverito, e dunque soddisfatto dei figli.
545 Gernet 1948, p. 79 n. 10 della tr. it. (Milano 1983). L’idea dell’animazione della statua si ritrova nella
celebre storia delle statue di Dedalo, che era necessario legare perché non fuggissero via. L’accostamento fra questa tradizione e il passo delle Leggi fu fatto da Gernet stesso, che nel 1949 citò Platone nel dibattito che seguì una relazione sulle “Statues enchaînées” esposta da Jean-Pierre Vernant. Questa informazione proviene dalle carte inedite di Vernant; la devo all’attenta lettura di tali materiali condotta dal Prof. Riccardo Di Donato, di essi affidatario per volontà dello stesso studioso francese. All’epoca della relazione sulle “Statues enchaînées”,Vernant stava indagando i problemi della figurazione, nel quadro della sua ricerca dottorale sull’astrazione nei fatti religiosi greci. La sua ricerca non si concretizzò mai in una tesi; ma l’interesse per i problemi della figurazione ha accompagnato costantemente Vernant nel corso della sua carriera, sfociando in diversi contributi significativi (Vernant 1965b, pp. 343-58 della tr. it. (Torino 1970); Vernant 1990).
546 Cfr. Lg. XI, 927 a1-3, dove l’Ateniese afferma che “le anime dei morti, dopo la morte, hanno una
certa qual forza, con la quale si prendono cura delle faccende umane” (aiJ tw'n teleuthsavntwn yucai;
duvnamin e[cousivn tina teleuthvsasai, h/| tw'n kat’ ajnqrwvpou" pragmavtwn ejpimelou'ntai), rimandando a quell’“antico racconto delle vecchie leggende” (IX, 865 d5-6: palaio;n…tina tw'n ajrcaivwn muvqwn legovmenon) secondo cui il morto di morte violenta, pieno di ira e terrore, serba memoria di quanto ha subito, e sconvolge la mente e le azioni del suo assassino (865 d6-e6).
152 prospettiva, forte soprattutto nella Repubblica, affiora qua e là nelle Leggi547. Ma impallidisce a fronte di quella, radicalmente diversa, che permea il proemio della legge contro la noncuranza nei confronti dei (pro)genitori, e che insiste sul carattere in qualche modo sovrumano dei goneis e dei progonoi.
L’idea della speciale venerabilità del genitore – venerabilità capace di pregiudicare un rapporto paritario con il figlio adulto - è drammatizzata nella scena iniziale dell’Eutifrone platonico. Che Eutifrone persegua il padre per l’omicidio di uno schiavo di famiglia, è per la morale comune un’empietà548
. Sul piano giuridico, il figlio maggiorenne, individuo autonomo, è titolato a intentare causa al padre; ma non lo è sul