1.5. L’oikos a Magnesia
2.2.2. a Il caso del geomoros provvisto di figli maschi consanguine
Se il geomoros ha un unico figlio maschio, la successione è subito risolta; se invece ne ha più d’uno, deve procedere il prima possibile alla scelta del proprio erede e all’allontanamento dei figli esclusi dalla successione. Anche se non lo dice esplicitamente, Platone si aspetta che il padre si impegni a cederli in adozione prima ancora che raggiungano la maggiore età. Non si tratta di un dato banale, visto che ad Atene, come anche in altre poleis, l’adozione di minori non era affatto il caso più
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In Lg. XI, la diatheke è costantemente presentata come un atto che si redige in punto di morte: Platone parla delle “volontà testamentarie di coloro che stanno per morire” (Lg. XI, 922 b2-3: ai{…tw'n teleuta'n mellovntwn ejpiqumivai th'" diaqevsew"), e presenta il testatore come “un uomo che sta per
morire” (922 c7-8: mevllwn a[nqrwpo" teleuthvsein). Una delle diathekai ateniesi di cui abbiamo notizia,
quella di Apollodoro in Isae. VII, fu redatta non in punto di morte, bensì ‘in previsione’ di morte; il testatore, infatti, stava per partire per una campagna militare. Non morì, e, al suo ritorno, revocò l’atto. Ad Atene, era infatti possibile revocare il testamento (anche se la procedura non ci è molto chiara; cfr. Rubinstein 1993, pp. 56-57); a questa possibilità, Platone non fa il minimo accenno.
259 È bene notare subito che Platone, nel mentre regola con cura il contenuto della diatheke, non prescrive
nulla quanto alla forma dell’atto. L’unico dato che ricaviamo dal testo è che il filosofo concepisce la
diatheke come un atto scritto (Lg. XI, 923 c4: o{" a]n diaqhvkhn gravfh/; 923 c5-6: grafevtw… grafevsqw; 923 e6: gravya"; 924 a3: eja;n…diaqhvkhn gravfh/; 923 a8: gravya"; 923 b2: kata; tau'ta ta; grafevnta); di un atto scritto si trattava, di solito, anche ad Atene (sebbene Dem. XLI, 16 suggerisca la possibilità di una diatheke orale). È ragionevole ipotizzare che, in materia di forma dell’atto di ultima volontà, Platone semplicemente presupponga l’uso ateniese (al cui proposito, si veda in particolare Karabélias 1992, pp. 97-102). La redazione della diatheke era, come l’engye, un atto totalmente privato; e il documento poteva essere conservato dove il testatore volesse, senza necessità di depositarlo presso un pubblico ufficiale (isolato è il caso di Cleonimo, che, in Isae. I, 15, consegna la sua diatheke agli astynomoi, magistrati che, oltre tutto, non avevano alcuna competenza specifica in materia di diritto di famiglia). Per garantirsi contro la falsificazione delle sue ultime volontà, il testatore in genere convocava dei testimoni alla redazione dell’atto (testimoni la cui presenza, lo ribadiamo, non era affatto obbligatoria), e aveva cura di apporre al documento il suo sigillo.
260 Per un quadro complessivo dell’ordinamento ateniese e dei principali problemi interpretativi che esso
pone, si vedano Harrison 1968, pp. 86-100 e 156-170 della tr. it. (Alessandria 2001); MacDowell 1978, pp. 99-108; Biscardi 1982, pp. 115-29; Todd 1993, pp. 222-27. Nel prosieguo della trattazione, mi permetto di fare riferimento in nota solo a contributi specifici sui vari aspetti del diritto successorio.
74 frequente. L’adozione, infatti, non era concepita come nelle società occidentali a noi contemporanee, come affido permanente di un minorenne, volto a dargli la famiglia di cui per un motivo o per un altro è rimasto privo261.
Nella Grecia antica, ad adottare non era in nessun caso una coppia: l’adottato cambiava padre, ma manteneva intatto il legame con la propria madre262. Solo l’appartenenza al padre, costruita con il riconoscimento, poteva essere rescissa e ri- costruita: ad Atene, non a caso, l’adozione era a sua volta designata dai termini
poiesis/poieisthai (e dai loro composti in eijs-). L’uomo che adottava non era spinto dal
desiderio di crescere un figlio, quanto da quello di procurarsi qualcuno che gli assicurasse sostentamento durante la vecchiaia (ghrotrofiva) e/o le onoranze post
mortem, nonché la continuazione del culto domestico263. Per questo la scelta del genitore adottivo cadeva di preferenza su qualcuno capace di subentrare loro da subito nel ruolo di titolare di un oikos, ovvero una persona di sesso maschile e d’età adulta264; di conseguenza, il più delle volte l’adottando era dotato di capacità giuridica, e si accordava direttamente con l’aspirante genitore adottivo.
Nelle Leggi, invece, è sempre il padre dell’adottando a decidere per suo figlio, sia che lo ceda in vita a un altro oikos (Lg. V, 740 c4-6), sia che la cessione sia prescritta tramite diatheke (XI, 923 c6-7): segno che l’adozione è pensata essenzialmente come adozione di minori. Di fatto, nell’ottica del legislatore, che considera e organizza la vita familiare dal punto di vista della stabilità del numero degli oikoi/kleroi, la permanenza di più figli maschi adulti nella casa paterna è difficilmente concepibile: solo uno di loro, il candidato erede, può/deve sposarsi e generare prole, insediando sul lotto del padre una nuova famiglia che continua, sostituendola, la precedente (Lg. VI, 775 e5-776 a3). Pertanto, ai figli in sovrannumero giunti all’età adulta senza aver trovato un padre adottivo, non resta che emigrare in una colonia (Lg. V, 740 e1-8), pena la rinuncia a qualsiasi possibilità di fondare un proprio oikos265. Il padre, se lo desidera, nella sua
261 Todd 1993 , p. 222.
262 Isae. VII, 25: mhtro;" d’oujdeiv" ejstin ejkpoivhto". Cfr. Humphreys 1993, p. 52; Leduc 1998, pp.
197-99.
263 Rubinstein 1993, pp. 64-76.
264 Rubinstein 1993, p. 22; un caso isolato di adozione di minore è quello di Moschione nella Samia di
Menandro, adottato quando era ancora fanciullo (vv. 695-99). Quanto alla poiesis di una donna, è bene precisare che non era frequente, ma era possibile (Schaps 1979, p. 21; Rubinstein cit., pp. 89-90); nelle orazioni sono reperibili tre adozioni testamentarie di persone di sesso femminile (Isae. VII, 9; XI, 8; X1, 41-42).
265 Platone sembra dare per scontato che costoro emigrino il prima possibile, ma non ordina che lo
facciano in un momento preciso, ad esempio, non appena diventano maggiorenni. In Lg. XI, 929 c3-d3, apprendiamo che il figlio ripudiato dal padre può rimanere a Magnesia, sperando che qualcuno lo voglia
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diatheke può dividere fra loro tutti i beni “ad eccezione del lotto tramandato dal padre e dell’apparato relativo al lotto” (d4-5: plh;n tou' patrw/vou klhvrou kai; th'" peri; to;n
klh'ron kataskeuh'" pavsh"); e può dividerli “nella proporzione che voglia” (Lg. XI, 923 d5-6: pro;" mevro" oJ path;r o{ph/ a]n ejqevlh/)266.
La cessione di un figlio in adozione deve avvenire “prima di tutto secondo il favore” del padre (Lg. V, 740 c6: kata; cavrin mavlista): la situazione ideale è quella in cui un padre ha modo di collocare i figli in eccesso presso concittadini verso i quali nutre sentimenti benevoli. Se il geomoros non ha amici oppure se i suoi amici non sono in condizione di adottare, l’incarico di trovare un oikos ai figli in sovrannumero (sempre che ciò sia possibile) è demandato alla magistratura dei nomophylakes, i guardiani delle leggi267. Le autorità civiche, dunque, intervengono solo in caso di necessità; in prima istanza, la cessione in adozione si gioca soltanto sul libero accordo fra il padre di sangue e il padre adottivo. L’elemento dell’accordo è presente, paradossalmente, anche quando il figlio viene assegnato tramite diatheke, ovvero tramite un atto unilaterale: nelle sue disposizioni, il geomoros di Magnesia deve indicare il figlio “che dia in adozione a un
altro che lo accetti” (Lg. XI, 923 c5-7: o}n a]n me;n eJtevrw/ poiei'sqai didw/' decomevnw/).
La situazione di un padre che dà in adozione il figlio via diatheke non ha paralleli, nelle poleis storiche; ma l’intesa fra i contraenti era indubbiamente il principio delle adozioni inter vivos ad Atene268 e a Gortina e, probabilmente, anche a Sparta. In nessuna di queste poleis, però, l’adozione finiva con l’intesa privata fra i diretti
adottare, per dieci anni dopo il ripudio. Potremmo, al limite, estendere questa indicazione temporale ai figli esclusi dalla successione, ipotizzando che possano rimanere sul lotto paterno per dieci anni dopo il raggiungimento della maggiore età. Nel caso in cui trovino un aspirante padre adottivo, occorre chiedersi se possano accordarsi direttamente con lui. Una risposta affermativa è suggerita dal fatto che Platone riconosce al figlio maggiorenne la capacità giuridica (ad esempio, mentre la figlia è data in sposa dal padre, il figlio può scegliere in prima persona la propria moglie). Tuttavia, la normativa sulla successione presenta il passaggio di un figlio da un oikos all’altro sempre e solo come operato dal padre; se preso alla lettera, dunque, il testo implica che il padre dia in adozione i figli di qualunque età. O si ipotizza un’estensione della potestà paterna nei confronti dei figli maggiorenni, circoscritta al particolare ambito dell’adozione; oppure si deve ammettere che, in Lg. V e Lg. XI, Platone non si sia soffermato a considerare il caso dell’adozione di figli maggiorenni. Del resto, la politica demografica di Platone non appare perfettamente elaborata, come già lamentava Aristotele, puntando il dito proprio sul problema dei figli in sovrannumero (Pol. II, 1265b 1-6). Sulla critica aristotelica al regime della proprietà di Magnesia, si veda Gastaldi 2002, pp. 229-34, in particolare 232-33 sul problema dell’armonizzazione fra risorse materiali e entità numerica della popolazione.
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Delle ‘liquidazioni’ ai figli estromessi dall’eredità, Platone parla solo nella sezione relativa alla
diatheke; ma sembra ragionevole supporre che esse possano aver luogo anche quando il geomoros regola
in vita la propria successione.
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Lg. V, 740 c6-d5: i nomophylakes devono studiare il modo migliore di sfruttare l’eccesso o il difetto di figli “qualora ad alcuni manchino simpatie, o vi siano per ciascuno figli, femmine o maschi, in
sovrannumero, o qualora siano al contrario troppo pochi” (c6-8: eja;n dev tisin ejlleivpwsin cavrite", h]
pleivou" ejpivgonoi givgnwntai qhvlei" h[ tine" a[rrene" eJkavstwn, h] kai; toujnantivon o{tan ejlavttou" w\sin).
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76 interessati; al contrario, richiedeva in aggiunta alcune formalità, il cui adempimento spettava all’adottante. Ad Atene, la procedura dell’(eis)poiesis era identica alla poiesis del figlio biologico, e consisteva nell’introduzione nella fratria paterna; seguiva, naturalmente, l’iscrizione al demo269. A Gortina, l’adottante notificava l’adozione ai
cittadini riuniti in assemblea nell’agora, per poi offrire un sacrificio alla propria eteria270; a Sparta, secondo l’isolata testimonianza di Erodoto, questi doveva dichiarare la sua volontà di adottare “di fronte ai re” (Hdt. VI, 57: basilevwn ejnantivon).
Le Leggi, dal canto loro, non prescrivono esplicitamente nessun cerimoniale particolare; se non vogliamo ritenere questo silenzio meramente fortuito, dobbiamo provare a chiederci quale significato possa avere. Ad Atene, l’inserimento nella fratria e nel demo non era una formalità esteriore: i frateri e i demoti avrebbero potuto bloccare la procedura, qualora avessero ritenuto inaccettabile l’adozione. A Sparta i re dovevano “giudicare” le adozioni (Hdt. VI, 57: dikavzein); in che cosa consistesse di preciso la loro giurisdizione rimane oscuro, ma il dato importante è il loro ruolo attivo, che lascia presumere un qualche potere di veto. A Gortina, invece, a quanto sembra, l’assemblea del popolo e l’eteria del padre adottivo accoglievano la notifica dell’adozione senza pronunciarsi in merito271. La polis cretese costituisce un caso a parte rispetto ad Atene e a Sparta, le cui procedure hanno un’importante implicazione: l’accordo dei diretti interessati in sé non basta a concludere l’adozione, che non diventa effettiva senza una ratifica da parte di organi esterni.
Su questo sfondo, l’obliterazione platonica di qualsiasi formalità, isolando come tratto saliente dell’adozione l’accordo dei contraenti, pare valorizzare la volontà individuale, quella di chi cede il figlio e quella di chi lo prende. Queste considerazioni rimangono pertinenti, anche qualora si ipotizzi che il filosofo abbia inteso dare per scontata l’esistenza di una procedura supplementare, implicita nell’assunzione del lessico ateniese dell’adozione (anche per Platone essa è poiesis272
). Si potrebbe supporre che, per analogia con Atene, i figli adottivi debbano, come quelli carnali, essere iscritti al registro della fratria. Ma, come abbiamo visto, a Magnesia l’iscrizione funziona diversamente rispetto ad Atene; mancano i sacrifici, mancano i giuramenti, e soprattutto manca il diritto di veto dei frateri. Nulla potrebbe dunque opporsi all’accordo fra il
269 Rubistein 1993, pp. 36-8; Cobetto-Ghiggia 1999, pp. 84-110. 270
CG col. X, 34-39; cfr. Maffi 1997b, p. 75 e Cobetto-Ghiggia 1999, pp. 46-8. Il nome gortinio dell’adozione, ovvero a[npansi", sostantivo in rapporto con un verbo corrispondente all’attico ajnafaivnw, “mostrare”, discende probabilmente dalla procedura di dichiarazione all’assemblea del popolo.
271 Maffi 1997 b, p. 75; Cobetto-Ghiggia 1999, p. 47. 272
77 padre dell’adottando e l’aspirante padre adottivo, ostacolando l’attuarsi dell’adozione e il realizzarsi delle loro volontà.