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Quale ordine per le generazioni?

2.4. Il rapporto fra il padre e il suo successore

2.4.3. Quale ordine per le generazioni?

In definitiva, dal punto di vista giuridico, il padre, come non è kyrios della persona del figlio adulto, non è neanche padrone assoluto del kleros avito. Che al maschio maggiorenne sia dato modo di perseguire l’interdizione del genitore e di scalzarlo dalla gestione del lotto è la più alta dimostrazione dell’autonomia giuridica del figlio. Il riconoscimento del diritto del figlio di intentare l’azione per paranoia sancisce il fatto che padre e figlio sono due pari. E implica che, sul piano normativo astratto, a partire

485

136 dal momento in cui il figlio è maggiorenne la sovranità paterna sul kleros non è illimitata. Il dato è certamente significativo; tuttavia, occorre anche valutare che cosa questo significhi sul piano pratico. In concreto, infatti, l’interdizione del padre su istanza del figlio è, e deve essere, un evento eccezionale486; ma allora, in circostanze ordinarie, in che cosa si traducono i diritti astratti del figlio? Quali prerogative gli sono riconosciute sul kleros avito, prima della morte del genitore?

Ad Atene, nei casi di indivisione patrimoniale fra padre e figlio, un costume consolidato voleva che il padre, giunto alle soglie della vecchiaia, si ritirasse, lasciando campo libero al figlio nella conduzione dell’oikos in cambio del mantenimento. Il diritto del padre (e della madre) a ricevere dai figli vitto e alloggio era garantito dalla polis, che puniva con l’atimia487

il figlio colpevole di non aver provveduto alle necessità dei

genitori anziani e/o di averli maltrattati488. Platone prescrive ai Magneti, nei confronti dei genitori, gli stessi obblighi vigenti ad Atene. L’elenco di Lg. IV nomina, prima della sottomissione incondizionata, il sostentamento, che il figlio deve ai goneis non più autosufficienti come compensazione delle cure ricevute in giovinezza (717 b6-c6)489.

486 Non è inutile ribadire che l’azione per paranoia è ammessa da Platone in quanto strumento di tutela

del patrimonio, piuttosto che di autoaffermazione del giovane; l’obbligo della consultazione preliminare con i nomophylakes mira proprio a impedire che essa venga intesa nel secondo senso.

487

Il colpevole era escluso dall’agora, dai templi, dalle cerimonie religiose, ed era privato del diritto di rivolgersi all’assemblea e di difendersi in prima persona in tribunale. Nel IV secolo l’eventuale infrazione di questi divieti portava all’arresto, e a un processo (Dem. XXIV, 103 e 105).

488

Harrison 1968, p. 82 della tr. it. (Alessandria 2001); MacDowell 1978, p. 92; Dover 1974, pp. 273-74; Maffi 1983, pp. 26-27; Ferreira Leão 2005, pp. 25-26; Cantarella 2011b, pp. 6-7. Aesch. I, 28 testimonia che per maltrattamento dei genitori (kakosis goneon) si intendeva il mancato mantenimento così come la violenza fisica a loro danno: la facoltà di parlare in pubblico è negata a “colui che batte il padre o la

madre, non fornisce loro sostentamento, non garantisce loro un tetto” (to;n patevra tuvptwn h] th;n

mhtevra, h] mh; trevfwn, h] mh; parevcwn oi[khsin). Il nomos contro il maltrattamento dei genitori era attribuito dagli Ateniesi a Solone, che, presumibilmente, trasformò in obbligo imposto dalla legge un antico ‘comandamento’ della moralità familiare (Maffi 1983, p. 14). Il mantenimento dei genitori da parte dei figli è attestato già nell’epica: del guerriero morto precocemente è detto che non poté rendere ai suoi genitori threptra, ovvero il compenso per l’allevamento ricevuto (Hom., Il. IV 476-77 = Il. XVII 301-02: oujde; tokeu'si qrevptra fivloi" ajpevdwke).

489 Lg. IV, 717 b8-c6: il giovane è esortato a mettere “con tutte le sue forze al servizio” (eij"

uJphresivan…kata; duvnamin pa'san) dei genitori tutte le sue risorse, “a partire dalla ricchezza” (ajrcovmenon ajpo; th'" oujsiva") per passare alla forza fisica e alle doti intellettuali, “saldando i debiti

contratti” (ajpotivnonta daneivsmata…daneisqeivsa"), “restituendo” (ajpodidovnta) ciò che un tempo ha

ricevuto ai genitori “che, da vecchi, si trovano in uno stato di estremo bisogno” (ejn tw'/ ghvra/ sfovdra kecrhmevnoi"). Del mantenimento dei goneis come restituzione delle cure ricevute parla già Omero (cfr. l’espressione tokeu'si qrevptra fivloi" ajpevdwke discussa nella nota precedente). Anche la “legge

antica, scritta nelle tavole delle cicogne” (novmo" palaio;" ejn tai'" tw'n pelargw'n kuvrbesin) che in

Ar. Av. 1353-57 adombra il nomos soloniano, prescrive ai cicognini cresciuti di “nutrire in ricambio il

loro padre” (to;n patevra pavlin trevfein).

Platone enfatizza il fatto che i debiti dei figli nei confronti dei genitori sono “i primi e i più grandi, i più

antichi di tutti” (Lg. IV, 717 b7: ta; prw'tav te kai; mevgista ojfeilhvmata, crew'n pavntwn

presbuvtata). La stessa sottolineatura si trova anche Xen., Mem. II 2, 2-3: è impossibile trovare persone “che ricevano benefici più grandi di quelli che i figli ricevono dai genitori” (…meivzw eujhrgethmevnou" h] pai'da" uJpo; gonevwn...).

137 Dopo gli “onori resi ai genitori in vita” (717 b5-6: gonevwn…timai; zwvntwn), vengono quelli dovuti ai genitori defunti: una degna sepoltura, e la celebrazione dell’anniversario della morte (717 e2-3). La mancata corresponsione delle onoranze postume a sua volta rientrava nella fattispecie ateniese della kakosis goneon (Dem. XXIV, 107; Xen., Mem. II 2, 13-14). Anche a Magnesia la cattiva condotta nei confronti dei genitori è reato. Il figlio degenere può essere denunciato dalla vittima stessa o da qualunque altra persona informata dei fatti (Lg. XI, 932 b2-5; 932 d1-8); in modo simile, ad Atene, l’azione per

kakosis goneon poteva essere intentata non solo dal soggetto interessato, ma da

chiunque volesse farlo490. Sennonché, a Magnesia, le punizioni non si limitano all’atimia, ma sono più articolate, e diversificate a seconda dell’età del colpevole. Ai giovani (ovvero gli uomini fino ai trent’anni, e le donne fino ai quaranta) spettano un periodo di detenzione in carcere e una dose di frustate da parte dei nomophylakes e delle sovrintendenti alle nozze (932 b5-c2). Assai più duro è il trattamento riservato ai cittadini e alle cittadine che, in età matura, “non desistano dalla trascuratezza nei

confronti dei genitori” e li “maltrattino” (932 c2-4: eja;n …ajmeleiw'n peri; goneva" mh;

ajfistw'ntai, kakw'si dev tinav" tine"). La corte incaricata di fissare la pena, composta dai centouno cittadini più anziani (932 c4-6), non deve considerare “proibito

niente di quanto un uomo è in grado di subire o di pagare” (932 c7-8: ajpovrrhton

mhde;n poiouvmenoi o{swn dunato;" a[nqrwpo" pavscein h] tivnein). Importando a Magnesia la nozione ateniese del crimine di kakosis goneon491, Platone sembra abbracciare anche l’idea di un passaggio di consegne fra padre e figlio nella conduzione del kleros. Possiamo chiederci se il filosofo avesse in mente, per questo passaggio, una

490 Harrison 1968, p. 81 della tr. it. (Alessandria 2001). Il fatto che il perseguimento giudiziario del

maltrattamento degli ascendenti potesse essere iniziato da oJ boulovmeno" era un’ulteriore tutela per le vittime; esse, infatti, a a causa della loro anzianità avrebbero potuto avere problemi a sostenere in prima persona l’accusa. Ad ogni modo, l’esistenza della graphe goneon kakoseos sottolinea l’interessamento della polis al buon ordine dei rapporti familiari: il rispetto dei membri anziani di un oikos è questione che non riguarda solo il singolo oikos, ma anche gli altri cittadini. Virtualmente, tutti i politai sono chiamati a garantire tutti gli anziani dai maltrattamenti domestici, a prescindere dalle appartenenze familiari. L’azione per kakosis goneon è incoraggiata dall’inapplicabilità delle sanzioni previste per l’attore in caso di ritiro dell’accusa o di mancato ottenimento della quota sufficiente di voti, e dall’assenza di limitazioni di tempo nel discorso dell’accusa.

491 Il verbo kakovw rimanda naturalmente alle azioni criminali comprese nella fattispecie della kakosis

goneon ateniese. La violenza fisica sui genitori, invero, è contemplata come un reato specifico in Lg. IX,

881b3 ss., nel quadro della legislazione sull’ingiuria reale (aikia), dove viene punita con l’esilio perpetuo (881 d4: ajeifugivan), esilio la cui violazione innesca una condanna a morte (cfr. 881 d7: katelqw;n…qanavtw/ zhmiouvsqw). Maffi 1983, pp. 22-23 spiega che per aikia Platone intende l’atto del percuotere compiuto in pubblico (cfr. 881 b5: è fatto ordine al “passante”, oJ prostugcavnwn, di difendere il genitore offeso), mentre con il verbo kakovw allude alla violenza fisica perpetrata all’interno della casa (e infatti in Lg. XI, 932 d1-3, a sporgere denuncia della vittima incapace di farlo autonomamente è chiamato non il “passante”, ma oJ puqovmeno", ovvero “chi venga a sapere” dei fatti).

138 collocazione temporale precisa. A porsi questa domanda invita la grande attenzione che le Leggi dedicano alla definizione delle diverse età della vita, e delle diverse attività consone a ciascuna di esse.

L’età, a Magnesia, è uno dei fondamenti dell’ordine politico, nella misura in cui struttura la distribuzione di diritti e doveri all’interno del corpo cittadino, regolando l’accesso alle funzioni istituzionali. Sappiamo che i vent’anni segnano l’ingresso nell’esercito e il conferimento del diritto di partecipare all’ekklesia e di votare nell’elezione delle magistrature elettive. Il raggiungimento dei trent’anni, invece, consente ai cittadini di iniziare a ricoprire alcune delle arkhai (Lg. VI, 785 b5-6: eij" de; ajrca;"…ajndri;… triavkonta e[th)492

; per le cariche più elevate (nomophylakes, pubblici revisori, sovrintendente generale alla paideia) occorre aspettare i cinquant’anni, se non addirittura i sessanta (sacerdoti, esegeti)493. Dall’età dipende, come abbiamo visto,

492 Le magistrature per le quali non è indicato un limite d’età, e per le quali, dunque, occorre presupporre

il limite dei trent’anni indicato in Lg. VI, 785 b5-6, sono quelle degli astinomi, degli agoranomi, dei comandanti di guarnigione (phrourarkhoi), degli ipparchi, dei filarchi, degli strateghi, dei guardiani dei templi (neokoroi), dei supervisori dei ginnasi e delle scuole, degli atloteti, di coloro che presiedono alle competizioni di canto monodico. Per gli arkhontes del canto corale l’età minima è quarant’anni; quest’età è necessaria anche per essere autorizzati a compiere un viaggio all’estero. Rimando a Brisson 2000b per quadro schematico delle “magistratures non judiciaires” di Magnesia (con indicazione dei requisiti anagrafici o d’altro genere, delle modalità d’istituzione, delle competenze). Per quanto riguarda la funzione giudiziaria, poiché da un lato i dikastai sono esplicitamente assimilati ai magistrati (Lg. VI, 767 a5-b1), e dall’altro Platone non specifica l’età minima, dovrebbe valere anche per i giudici la soglia dei trent’anni. Anche in questo caso, tuttavia, l’anzianità ha il suo peso, in pieno accordo con Rsp. III, 409 a8- b9, dove è detto che può essere un buon giudice solo un uomo anziano, che abbia dietro a sé anni di osservazione ‘scientifica’ dell’ingiustizia nelle psykhai e nelle azioni altrui. Quando il tribunale di terza istanza (i cui membri sono reclutati fra i magistrati) si riunisce per giudicare della pena capitale (Lg. IX, 855 c6 ss.), i giudici siedono “in ordine di anzianità” (d6: kata; prevsbin) e l’istruttoria è affidata al più anziano (e2: a[rcesqai me;n to;n geraivtaton ajnakrivnonta). I tribunali particolari che giudicano i figli feritori dei goneis e quelli che si sono macchiati del reato di noncuranza nei confronti dei genitori dopo aver oltrepassato i quarant’anni sono formati rispettivamente da giudici ultrasessantenni (e padri di figli biologici; Lg. IX, 878 e5-9) e dai centouno cittadini più anziani (Lg. XI, 932 c2-6). Sul sistema giudiziario di Magnesia, si vedano, oltre a Gernet 1951a, pp. CXXXII-CLI, le analisi dettagliate di Morrow 1960, pp. 241-96; Piérart 1974, pp. 386-463 della seconda ed. fr. (Parigi 2008).

493 Roussel 1942, pp. 65-70. Anche nella Repubblica (VII, 539 e3 ss.) l’età minima per esercitare le più

alte funzioni governative è cinquant’anni, mentre nei quindici anni precedenti si possono praticare solo il “comando militare e quante altre cariche sono proprie dei giovani” (539 e5: a[rcein tav te peri; to;n povlemon kai; o{sai nevwn ajrcaiv). Sulla stessa linea Aristotele, che in Pol. VII, 1329 a2-17 assegna ai giovani la difesa della città, e ai più anziani la funzione deliberativa e giudiziaria, giacché i primi per natura sono dotati di forza e i secondi di saggezza (a13-16: pevfuken hJ me;n duvnami" ejn newtevroi", hJ de; frovnhsi" ejn presbutevroi" ei\nai). Questa ripartizione delle caratteristiche psico-fisiche e delle funzioni fra giovani e anziani, presente già in Hom., Il. IV, 317-25 (Byl 1974, p. 118 n. 32), era usuale nelle poleis greche d’età classica: i non ancora trentenni, generalmente, oltre a partecipare all’assamblea potevano ricoprire solo cariche militari (Roussel cit., pp. 11-27 e pp. 31-32). Queste seconde, sia nella

Repubblica sia nella Leggi, diventano accessibili solo a trenta-trentacinque anni. Quanto alla predilezione

platonica per i cinquant’anni come limite minimo per le funzioni governative più elevate, è interessante notare che proprio ai non ancora cinquantenni una legge assai antica di Calcide d’Eubea preclude tutte le magistrature (Roussel cit., p. 23).

139 anche il godimento dei diritti civili; in base ad essa, inoltre, sono graduate le pene494. L’importanza del criterio anagrafico, accomunando la città immaginaria delle Leggi e le

poleis storiche, si conferma come una marca delle società politiche greche, che nell’età

trovano un principio di organizzazione trasversale, capace di trascendere appartenenze familiari e/o d’altra sorta495. L’individuazione dei precisi limiti d’età per l’accesso alle

funzioni pubbliche è un tratto diffuso nelle città; ma a Magnesia il principio dell’età trova anche applicazioni più particolari, che rimandano a precisi contesti storici.

Nei primi libri delle Leggi, la creazione dei tre cori civici dei paides, dei neoi e dei

presbyteroi (Lg. II, 664 c4-d4 e 665 b3-6) istituzionalizza una suddivisione del corpo

cittadino in tre fasce anagrafiche, che vanno, rispettivamente, dall’infanzia ai diciotto anni, dai diciannove ai trenta, e dai trentuno ai sessanta. Quanto ai politai che hanno superato i sessant’anni, costoro sono esclusi dall’obbligo di esibirsi, e incaricati della sorveglianza delle riunioni simposiali dei presbytai (Lg. II, 671 d5-e3). I cori delle tre

helikiai, così delimitate, sono un prestito da Sparta496, ovvero dalla città storica dove il principio dell’età aveva un’importanza maggiore che in altre poleis, traducendosi in un sistema formale di classi d’età497

. Del complesso modello spartano, Platone trattiene i tratti più generali: la distinzione delle tre età, e le sue implicazioni generazionali. Questo secondo aspetto è quello più rilevante ai fini del nostro discorso. Come ha mostrato Marcello Lupi, a Sparta la tripartizione in paides, giovani, e ultra-trentenni si combinava con una bipartizione in figli e padri: la prima e la seconda età formavano insieme la classe dei figli, opposta a quella dei padri, ovvero la terza età. Una manifestazione di questa opposizione era il fatto che ogni cittadino di Sparta avesse

494 Supra, p. 137: i trattamenti riservati ai figli colpevoli di trascurare i loro genitori sono diversi a

seconda che abbiano superato i trent’anni oppure no.

495

Sassi 2004, pp. 11-13; Falkner 1990, p. 7.

496 Cfr. Morrow 1960, p. 317 e Lupi 2000, pp. 42-43: la descrizione dei tre cori offerta da Plut. Lyc. 21, 1-

2, pare affidabile, nonostante altre testimonianze parlino di due soli cori (Lupi cit. p. 42 n. 47). L’unica differenza fra i tre cori spartani e quelli di Magnesia consisterebbe nel fatto il passaggio dal primo al secondo coro nella città lacone avveniva a vent’anni. A Sparta a sessant’anni un uomo usciva dall’esercito, e acquisiva invece il diritto di entrare nella gerousia (Plut. Lyc. 26, 1; Byl 1974, p. 118; Powell 1994, p. 275; Lupi 2000, pp. 101-03).

497

Per una descrizione del sistema spartano, rimando a Lupi 2000, pp. 27-46. Anche a Creta si colgono tracce di un’organizzazione per classi d’età, ritenuta invece generalmente estranea all’Atene d’età classica (Musti 1990, p. 25 ss.; Lupi 2000, p. 12). Dell’irrilevanza delle classi d’età sarebbe sintomo l’assenza di un’onomastica istituzionale delle età paragonabile a quella spartana (Musti cit., pp. 24-25; cfr. anche Cantarella 1990). L’idea di un ‘vuoto terminologico’ ateniese è stata recentemente confutata da Davidson 2006, che reperisce nella polis attica questa sequenza di nomi delle età: paides (sotto i diciotto anni);

meirakia (coloro che sono stati assegnati alla classe d’età dei diciotto anni e affrontano l’efebia); andres

(sopra i vent’anni), divisi in neoi (fino ai trent’anni) e presbytai (sopra i trent’anni). Assai diffuso è anche il termine neaniskoi, che Davidson ritiene sinonimo di meirakia (per una diversa interpretazione, si veda Cantarella 1990).

140 potere tanto sui propri figli quanto su quelli altrui498. Un pensiero analogo comanda la struttura sociale immaginata da Platone nella Repubblica: i rapporti fra le classi d’età omogenee, create tramite i gamoi collettivi predisposti dai governanti in base al calcolo eugenetico (Rsp. V, 459 d7-460 a6), assumono la fisionomia delle relazioni familiari, per cui l’intera società si trova divisa in genitori, figli, nipoti, fratelli499

. Del medesimo pensiero le Leggi conservano una significativa traccia: in sede di diritto penale, la legislazione sull’aikia, l’ingiuria reale (Lg. IX, 879 b6 ss.) esorta il cittadino ad astenersi dal levare le mani contro “l’intera generazione atta a generarlo e a crearlo” (879 d1-2: pavsh" th'" dunath'" hJlikiva" aujto;n fitu'sai kai; tekei'n ajpevcoito ajei;), riverendo chiunque ad essa appartiene “come un padre e una madre” (879 c8: wJ" patevra h] mhtevra)500

.

Se nella kallipolis il sistema generazionale si accompagna all’eliminazione degli

oikoi privati, a Magnesia esso coesiste con l’appartenenza a unità domestiche discrete.

La stessa cosa, del resto, accadeva a Sparta. E a Sparta il criterio generazionale non presiedeva solo alla ripartizione delle funzioni militari e politiche, ma pure all’organizzazione dell’oikonomia, dove l’ingresso nell’età adulta, comportava, in automatico, la successione al genitore501. Il passaggio dalla classe dei figli a quella dei padri, operato dal matrimonio – ovvero dall’inizio della procreazione legittima -, coincideva con l’assunzione della guida dell’oikos502; e avveniva a trent’anni. Fa

498 Xen. Lac. 6, 1: oJ Lukou'rgo"…ejpoivhse paivdwn e{kaston oJmoivw" tw'n eJautou' kai; tw'n

ajllotrivwn a[rcein; l’arkhein si concretizzava nella prerogativa, per ciascun padre, di punire fisicamente tutti i ragazzi, non solo i propri figli (ibid., 2). L’azione di sorveglianza e correzione corporale esercitata sui giovani dai presbyteroi, nello spirito di una “paternità collettiva”, è descritta anche da Plut., Lyc. 17, 1. Su questi passi, si veda Lupi 2000, p. 64.

499 Rsp. V, 461 d2-e1: ajf’ h|" a]n hJmevra" ti" aujtw'n numfivo" gevnhtai, met’ ejkeivnhn dekavtw/ mhni;

kai; eJbdovmw/ dh; a} a]n gevnhtai e[kgona, tau'ta pavnta proserei' ta; me;n a[rrena uJei'", ta; de; qhvlea qugatevra", kai; ejkei'na ejkei'non patevra, kai; ou{tw dh; ta; touvtwn e[kgona paivdwn pai'da", kai; ejkei'n’ au\ ejkeivnou" pavppou" te kai; thqav", ta; d’ ejn ejkeivnw/ tw/' crovnw/ gegonovta, ejn w/| aiJ mhtevre" kai; oiJ patevre" aujtw'n ejgevnnwn, ajdelfav" te kai; ajdelfouv" …

500 La legislazione prevede che siano perseguibili le percosse inferte dai giovani agli anziani (Lg. IX, 879

c2-d2 e 880 b6-c3), mentre sono lecite quelle inferte dagli anziani ai giovani e fra coetanei (879 e6-880 a6). C’è però un caso, significativo, in cui il giovane può battere uno più anziano di lui, ovvero quando questi non ha figli (880 a1). È bene notare che, a dispetto della sovrapposizione fra classe d’età e rapporto di generazione, la relazione di parentela costituisce un’aggravante: le percosse inferte a un genitore biologico sono punite più severamente di quelle inferte a un genitore classificatorio (cfr. 881 d3-5).

501 Lupi 2000, pp. 139-65. Viceversa, i “non ancora trentenni” erano rigidamente esclusi dalle attività

economiche (Lupi cit., pp. 49-59): era uno dei risvolti della loro condizione di “cittadinanza imperfetta” (per un’analisi completa dello status dei giovani, cfr. Lupi cit., pp. 47-64).

502 Una sintesi schematica di questa ricostruzione in Lupi 2000, pp. 113-14. Per Lupi le pratiche spartane

del ratto della sposa e degli incontri segreti durante i primi anni del connubio non sono costumi

protomatrimoniali (come volevano gli antichi, e come ha creduto nella loro scia la maggior parte degli

studiosi moderni), ma criptomatrimoniali. Prima dei trent’anni gli spartani non potevano synoikein con le spose; ma con le fanciulle loro promesse (ancora residenti con i loro genitori) avevano dei rapporti sessuali istituzionalizzati, caratterizzati da un’obbligatoria infecondità (pp. 65-114). Eventuali figli nati

141 riflettere il fatto che Platone, a sua volta, collochi statutoriamente a trent’anni il limite d’età minimo per prender moglie (e il limite massimo a trentacinque anni; cfr. Lg. IV, 721 b1-2 e b6-7; VI, 785 b4-5)503. È vero che una tradizione antica, non esclusivamente spartana, poneva attorno alla trentina il momento migliore per sposarsi e procreare504. La differenza, però, è che a Sparta era obbligatorio prender moglie non appena varcata la soglia dei trenta, sotto pena di sanzioni. Lo stesso vale a Magnesia. Sia in Lg. IV, 721 b1 ss. che in VI, 774 a3 ss., dopo aver delimitato l’età matrimoniale Platone minaccia agli scapoli incalliti una pena pecuniaria (IV, 721 b2-3 e d2-3; VI, 774 a5-b5) e un’atimia, di cui si specifica che comprende la privazione degli onori dovuti dai giovani

ai più anziani; pare che questa fosse una delle punizione dell’agamia nella stessa

Sparta505.

anzitempo erano destinati a non essere riconosciuti dalla Gerousia come eredi legittimi del padre (pp. 115-37).

503

Superfluo sottolineare che questi limiti d’età valgono per gli uomini soltanto; per le donne l’età del matrimonio è, ovviamente, più precoce (dai sedici ai vent’anni in Lg. VI 785 b2-3, dai diciotto ai venti in

Lg. VIII 833 d3-4). Le indicazioni fornite dalle Leggi sui termini dell’età procreativa grosso modo

concordano con quelle del quinto libro della Repubblica (460 d9-461 a2); varia, invece, la durata di questa età, che è di dieci anni nelle Leggi e di quindici (per gli uomini) e venti (per le donne) nella

Repubblica. Ad ogni modo, ciò che ci interessa soprattutto è che per gli uomini l’età minima per il

matrimonio sia, in entrambi i dialoghi, posta a trent’anni (per le donne, in Rsp., è invece vent’anni, non sedici-diciotto come in Lg.). La motivazione che Platone nella Repubblica fornisce per queste indicazioni temporali è di tipo eugenetico: perché i figli siano di buona qualità, è necessario che nascano “da persone

nell’età del pieno vigore fisico” (ejx ajkmazovntwn). Ma le preoccupazioni eugenetiche erano

caratteristiche della politeia spartana (sulla “matrice laconizzante” della riflessione filosofica greca relativa all’eugenetica, si veda Lupi 2000, pp. 122-28). Erano queste preoccupazioni a motivare la scelta di far iniziare alle donne l’attività procreativa a un’età più avanzata (diciotto-vent’anni) di quella in uso